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Questa opera è il risultato di un lungo percorso esistenziale e intellettuale del gesuita p. Fausto Gianfreda – professore di teologia alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale –, felicemente culminato in un risultato accademico di grande valore. Essa appare, inoltre, in un momento molto opportuno: quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Henri Le Saux (1910-73), il monaco benedettino che fu uno dei pionieri del dialogo tra cristianesimo e induismo. Fin dall’inizio della sua vocazione monastico-contemplativa, egli si sentì attratto dall’accesso indiano al mistero dell’Assoluto, ossia l’advaita, l’esperienza non-duale con l’Essere Supremo. L’A., come Le Saux, indica l’orizzonte più alto del mistero di Dio, il quale, pur irriducibile al pensiero umano, non invalida l’atto teologico, purché scaturisca dal silenzio della contemplazione. Per questo egli ritiene che teologia e spiritualità siano inseparabili. Non si tratta però solo di questo, ma di poter accedere al mistero cristiano di Dio con categorie che non siano solo giudaiche, greche o scolastiche: in questo caso, attraverso la visione advaitica dell’esperienza indiana.
L’originalità e il valore di questo volume non consistono soltanto nell’approfondire, con grande conoscenza e comprensione teologica, il pensiero e l’esperienza mistica del monaco benedettino in relazione con l’advaita indù, ma anche nel metterlo in relazione con la categoria ermeneutica teologico-filosofica dell’«immaginazione analogica» di David W. Tracy. È un tentativo di fare una teologia fondamentale di carattere interreligioso. Tracy (1939) è un teologo e sacerdote cattolico americano, che è stato per molti anni professore presso la Facoltà di Teologia all’Università di Chicago Divinity School. Il suo contributo più importante è la categoria ermeneutica dell’immaginazione analogica, da lui introdotta all’inizio degli anni Ottanta. Questa categoria ha due virtù: una orizzontale e una verticale. L’orizzontale consente di stabilire correlazioni riguardo all’evento religioso fondamentale di ogni religione (Cristo, per il cristianesimo; e l’identità ātman–Brahman, per l’induismo), tra le tradizioni e le forme situazionali e circostanziali che mediano l’esperienza di quella realtà fontale. La verticale consiste nel fatto che l’immaginazione analogica ci permette di comprendere che le religioni usano un linguaggio manifestativo che scaturisce da un’esperienza religiosa profonda, rendendoci consapevoli che parlano di una somiglianza nella differenza, cioè che sono capaci di mantenersi su uno sfondo apofatico, conoscendo l’inadeguatezza di ogni linguaggio nel riferirsi all’ineffabilità di Dio o dell’Assoluto. L’immaginazione analogica consente quindi di riconoscere le differenze tra le religioni su un piano comune di convergenza, il che rende possibile l’avvio di un dialogo trasformativo tra di esse.
A partire da questa categoria, l’A. ripercorre l’intero corpus mistico-teologico di Le Saux nel suo dialogo esperienziale con l’advaita indù, mostrando la coerenza e fecondità del suo percorso. Mentre nel cristianesimo l’evento centrale è l’intima esperienza di Cristo, nell’advaita indù è l’esperienza dell’identità ātman-Brahman. L’immaginazione analogica permette di avvicinare le due esperienze e di comprendere che ciascuna tradizione religiosa – cristianesimo e induismo, in questo caso – esprime l’esperienza ultima secondo le sue categorie, che sono sempre inadeguate.
Ci troviamo quindi di fronte a uno studio interdisciplinare di grande densità e profondità, che si fonda su una duplice convinzione: da una parte, che la teologia contemporanea non può essere estranea al multiculturalismo e alla multireligiosità; dall’altra, che la vera teologia è quella che scaturisce dall’esperienza mistica, cioè quella che nasce dall’abisso del silenzio apofatico. P. Gianfreda ha la capacità di elevare il compito teologico verso l’orizzonte mistico delle religioni attraverso l’avventura esistenziale di Le Saux, una figura che purtroppo è stata dimenticata, forse perché il nostro tempo ha perso il coraggio di perdersi nell’abisso di Dio.