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Gli abusi su cui si riflette in questo articolo sono distorsioni dell’esercizio dell’autorità e del modo di vivere l’obbedienza, virtù che accomuna tutti i cristiani e che li identifica con Cristo, egli stesso obbediente al Padre fino alla morte in croce[1]. A maggior ragione, l’identificazione con Cristo nell’obbedienza è vissuta dalle persone consacrate quando, mediante voto, si impegnano a obbedire ai loro legittimi superiori. In modo simile, lo stesso è vissuto dai diaconi e dai sacerdoti diocesani quando promettono obbedienza al proprio vescovo nel momento dell’ordinazione.
L’importanza dell’obbedienza è riconosciuta nella vita della Chiesa sin dai suoi inizi. Clemente Romano ce ne dà un esempio quando, nella Lettera ai Corinzi, fa appello alla sottomissione alla gerarchia ecclesiastica come modo di rispettare il mandato di Cristo stesso. Così ognuno, nell’adempimento del proprio dovere e nel rispetto della dignità degli altri, contribuisce, proprio tramite l’obbedienza, alla costruzione del corpo di Cristo[2].
A volte, specialmente nella vita consacrata, si può essere chiamati a vivere l’obbedienza in circostanze particolarmente difficili in cui può sorgere la tentazione dello scoraggiamento e della sfiducia. A questo proposito, san Benedetto, padre del monachesimo, chiedeva sempre un dialogo fiducioso tra monaco e abate e invitava a un’obbedienza per amore di Dio e confidando nel suo aiuto. E san Francesco d’Assisi insisteva su un’«obbedienza caritativa», in cui il frate, anche sacrificando le proprie opinioni, esegue quanto richiesto perché in questo modo «soddisfa a Dio e al prossimo»[3].
La dimensione teologica dell’obbedienza va custodita e preservata senza riserve, perché si tratta di una dimensione fondamentale nella vita delle comunità cristiane, garantendo la loro unità e la loro missionarietà. Una tale realtà, così presente nella storia della Chiesa, specialmente nelle varie forme di vita religiosa, anche in quelle più capitolari, va apprezzata e difesa. Proprio nella società odierna, dove vengono giustamente sottolineate la soggettività e l’autonomia della singola persona, l’obbedienza vissuta in modo adulto è un segno dell’appartenenza a Cristo e di una vita donata al servizio del Suo Regno[4]. Perciò, abusi di potere, di autorità o di coscienza costituiscono delle ferite nel tessuto ecclesiale, ossia lacerazioni nel corpo di Cristo che è la Chiesa.
Di questa problematica è ben consapevole papa Francesco, il quale, in un’intervista rilasciata a un canale televisivo portoghese, ha dichiarato: «Voglio essere molto chiaro su questo: l’abuso di uomini e donne nella Chiesa – abuso di autorità, abuso di potere e abuso sessuale – è una mostruosità! E una cosa è molto chiara: tolleranza zero. Zero! Un prete non può continuare a essere prete se è un abusatore. Non può! Perché è malato o è un criminale, non lo so… Ma è chiaramente malato. È bassezza umana, non è vero?»[5].
In una Chiesa che vuole essere seguace di Cristo e del suo Vangelo, il fatto che si parli di abuso di autorità, di potere[6] o di coscienza[7] da parte di esponenti della Chiesa nei confronti di altre persone, all’interno o all’esterno di essa, oggi non è più un tabù e anzi è diventato un dovere[8]. Alla radice di tali abusi c’è l’inadeguata gestione del potere, spesso aggravata dalla manipolazione della coscienza[9]. A poco a poco nella Chiesa – analogamente a quanto accade nel mondo – abbiamo imparato a sedurre, a distorcere i fatti e a manipolare l’attenzione e le emozioni del ricevente, utilizzando la disinformazione al servizio dell’emittente e screditando la vittima affinché la sua eventuale reazione non venga apprezzata da nessuno[10].
Il maltrattamento delle persone – laici o consacrati – da parte di coloro che detengono il potere all’interno della Chiesa ha distrutto troppe vite. Cresce la consapevolezza che non si tratta di casi isolati, ma piuttosto di un problema strutturale e sistemico che è rimasto a lungo inavvertito solo grazie al ricatto emotivo, all’occultamento, alla paura e al silenzio delle vittime. Siamo di fronte a un grave problema nell’esercizio dell’autorità, radicato nel clericalismo, che è presente nelle stesse istituzioni ecclesiastiche[11]. Ciò che sconvolge di più è che tutto questo viene perpetrato da persone a cui la Chiesa ha affidato l’ufficio sacerdotale e la guida di comunità religiose. Per raggiungere i loro scopi, gli autori degli abusi si avvalgono della fiducia riposta in loro dalla Chiesa e dalle vittime stesse, e sono favoriti dall’occultamento e dal silenzio complice. Il silenzio e la paura sono canali privilegiati di diffusione del male e costituiscono il più grande ostacolo a una possibile riforma[12]. Allo stesso modo, coloro che detengono il potere e hanno a disposizione mezzi finanziari e canali di comunicazione riescono facilmente a trasformare le vittime in colpevoli. Viviamo, però, in un tempo che non può più tollerare le ingiustizie di un’autorità mal esercitata, e questo ci ha permesso di denunciare molti abusi.
Il problema di fondo sta nel fatto che le strutture di potere sono, in molti casi, avvelenate e inquinate. D’altra parte, in un abuso – sia esso di autorità, di potere[13] o sessuale – tutti coloro che vedono e rimangono in silenzio sono complici per omissione. Quel silenzio, a causa delle sue conseguenze, è spesso più grave dell’abuso stesso. L’atto di lavarsene le mani non è mai neutrale, ma significa piuttosto schierarsi dalla parte di chi abusa[14].
Abuso di potere
Useremo l’espressione «abuso di potere» in un senso specifico: la capacità di qualcuno di provocare, attraverso la coercizione e la violenza, grazie alla posizione che occupa, un condizionamento della libertà altrui, portando chi lo subisce a decisioni contrarie alla propria volontà. Costituiscono materia di abuso l’eccesso, l’ingiustizia o il modo indebito. L’abuso di potere è alla base di tutti gli abusi; al contrario, l’esercizio appropriato del potere ci rende simili a Dio e promuove la dignità degli altri[15].
Quando qualcuno abusa del potere, sente di non avere, o di aver perso, l’autorità morale di cui era stato investito[16]. L’abuso di potere si manifesta anche nel tentativo, da parte dell’abusatore, di imporre chiavi interpretative, mostrando che è lui a dare una lettura corretta della realtà. Pertanto, egli costruisce narrazioni in base a ciò che vuole imporre, manipolando per ottenere i propri fini e, se necessario, umiliando e denigrando[17]. Inoltre, egli si basa sulla posizione che occupa, sulle «informazioni» di cui dispone e sul richiamo alla propria vicinanza al potere che gli è gerarchicamente superiore.
È importante notare che tutti noi, a causa della nostra peculiare vulnerabilità[18], ci portiamo dentro una «energia» di potere[19]. Va anche aggiunto che esiste sempre il pericolo di un culto della personalità nei confronti di chi detiene il potere. Si tratta delle due facce di una stessa medaglia: al culto della personalità voluto da chi ambisce e ricerca il potere si accompagna la conseguente spersonalizzazione dei propri «adoratori». Il culto della personalità ha come inevitabile corollario il culto dell’impersonalità e l’annullamento nefasto di chi si presta a tale idolatria. In queste situazioni – particolarmente gravi nel mondo religioso –, giochi di potere, tirannia e sottomissione si uniscono all’irrazionalità causata dalla paura, dalla codardia e dalla menzogna.
Abuso di autorità
L’abuso del servizio dell’autorità[20] comincia con la sua centralizzazione verticale, che fornisce giustificazione alla coscienza di chi la esercita[21] e non tiene conto del fatto che la corresponsabilità nell’esercizio dell’autorità libera l’autonomia. Un superiore o una superiora che prendono una decisione sulla vita di una persona consacrata a Dio senza ascoltarla e senza considerarne il punto di vista stanno usurpando un posto che non è il loro. In altre parole, chi non è preparato e disponibile a un dialogo che conduca alla pacificazione della coscienza dell’altro, si rivela una persona incapace di portare a termine la missione che ha ricevuto.
Il servizio dell’autorità[22] nei confronti di altri deve favorire la creazione di legami più forti di impegno verso l’istituzione, proprio perché riguarda una persona che si è consacrata a Dio mediante i voti religiosi. Nessuna autorità – nemmeno un fondatore – può ritenersi unica interprete del carisma, né può collocarsi al di sopra della legge universale della Chiesa[23]. Chi esercita l’autorità deve essere attento a non cedere alla tentazione dell’autosufficienza, cioè alla convinzione che tutto dipenda da lui. Ma un’autorità autoreferenziale non ha nulla in comune con la logica del Vangelo.
Negli Istituti di vita consacrata occorre prestare molta attenzione all’autoritarismo[24]. Proprio per ragioni di giustizia e trasparenza, si deve indagare sul rapporto tra abusi di autorità, di potere e sessuali[25] e casi di abbandono e di suicidio nella vita consacrata. Bisogna passare, nella maniera più netta, dalla centralità del ruolo dell’autorità alla centralità della dinamica della fraternità[26], perché l’autorità ha senso solo se è al servizio della comunione evangelica.
Abuso di coscienza
Uno dei principali ostacoli che si incontra a proposito dell’abuso di coscienza, già al momento di parlarne, è il fatto che la sua gravità e la sua diffusione nella Chiesa non sono ancora riconosciute[27]. È una questione venuta alla ribalta con la crisi degli abusi sessuali, ma merita una trattazione specifica e non può essere esposta esclusivamente come una tappa preliminare all’abuso sessuale. È un attentato alla dignità umana, e chi lo subisce, anche se non è vulnerabile nella sfera sessuale, va incontro a gravi conseguenze spirituali e psicologiche, perché spesso si entra nel campo dell’esperienza religiosa, che è molto più sottile, ma anche molto più perverso. La coscienza è la sede della libertà di giudizio e il luogo dell’incontro a tu per tu con Dio; di conseguenza, l’abuso di coscienza mina tale libertà e tale incontro, corrompendo due elementi fondamentali dell’antropologia cristiana: la libertà, che caratterizza l’essere umano, e il suo legame con Dio, suo fine ultimo[28]. L’abuso di coscienza poggia su un’antropologia pessimistica che non valorizza la dignità e la soggettività umana. Al centro di una tale antropologia non c’è l’immagine di Dio nell’essere umano, bensì la corruzione che deriva dal peccato. Se la natura umana è corrotta, non ci si può fidare della coscienza o della ragione, ma soltanto dell’«illuminato» che, per grazia soprannaturale, conosce e trasmette la volontà di Dio[29].
Un abuso di coscienza è possibile solo nell’ambito di un rapporto di fiducia. La sequela generosa di Gesù implica fiducia nelle mediazioni ecclesiali, ma questa fiducia può comportare il rischio di porsi in una condizione di fragilità e vulnerabilità. Le vittime di abuso di coscienza non hanno colpa per essersi fidate. La fiducia, infatti, non è una debolezza, ma una condizione per seguire Gesù Cristo. Chiunque esercita un ministero nella Chiesa è investito della fiducia ecclesiale. Pertanto, l’abuso di coscienza, anche se avviene nelle relazioni private, ha sempre una dimensione istituzionale, e non si può negare una responsabilità ecclesiale quando qualcuno si presenta come degno di fiducia, mentre in realtà non lo è.
L’abuso di coscienza non si identifica con l’abuso del potere spirituale, perché può essere commesso anche dal potere giuridico. Occorre quindi definire il reato di abuso di coscienza, che è quella tipologia di abuso di potere – giuridico o spirituale – che indebolisce o annulla la libertà di giudizio e impedisce al credente di restare da solo con Dio[30]. Quando il discernimento del superiore viene assolutizzato, vengono relativizzati il discernimento e la ragione degli altri; il potere del superiore resta sbilanciato, e quindi tende a essere esercitato in modo arbitrario, senza sottomettersi alla razionalità. Quando il potere è soggetto a un criterio, l’arbitrarietà non può regnare. L’assolutizzazione dell’obbedienza a un superiore è spesso accompagnata, paradossalmente, dalla disobbedienza al resto della Chiesa. Quando si assolutizza l’ispirazione del superiore, la conseguenza è che la ragione viene relativizzata o squalificata, perché la ragione mostra che le cose non sono lineari; chi abusa, invece, preferisce che regni un pensiero semplice e unico, cioè il proprio: è vietato il dissenso.
La radicalità evangelica viene allora presentata come qualcosa che supera la ragione e, per conseguenza, l’interferenza razionale appare come un segno di mediocrità, sinonimo di mancanza di generosità. Si cerca di trasmettere l’idea che concedere spazio alla razionalità significa scendere a patti con il mondo. Questa esaltazione della «follia» evangelica elogia l’irrazionale, deplora lo spirito critico e promuove l’arbitrarietà. Tutto ciò favorisce il superiore che abusa, che non tollera di essere messo in discussione. La richiesta di un’obbedienza «cieca» implica che il pensare in modo critico sia considerato come un segno di orgoglio, e persino come un sintomo della presenza dello spirito cattivo. Si dice che «gli apostoli non portano problemi, ma soluzioni»: questa frase ha un senso, ma è anche ambigua, se viene intesa come un messaggio che blocca le domande e l’approfondimento delle problematiche.
Conclusione
Il limite è parte costitutiva di chi ha un’autorità, e ciò all’interno della Chiesa non dovrebbe essere considerato come una novità. Il principio dell’incarnazione implica che si condivida con gli altri una responsabilità a tempo. In altre parole, nella Chiesa l’autorità deve essere una testimonianza chiara, trasparente, esemplare di un modo alternativo di esercitare il potere[31].
Poiché l’arbitrarietà è una tentazione sempre presente in ogni essere umano, è necessario vigilare e prevenirla. Per raggiungere tale obiettivo occorre promuovere sistemi di controllo indipendenti rispetto a chi esercita il potere, e questo a sua volta richiede l’esistenza di protocolli pratici ed efficaci che garantiscano la trasparenza delle decisioni e che consentano la segnalazione di situazioni di abuso e arbitrarietà nell’esercizio del potere. È essenziale eliminare la sensazione che determinati comportamenti abusivi non abbiano conseguenze e restino impuniti[32]. Chi abusa del potere e coloro che vi partecipano con l’azione o l’omissione lasciano una scia, un’«impronta di peccato» che rovina e distrugge irrimediabilmente tante vite innocenti.
D’altra parte, all’abusatore piace avere «collaboratori» che lo accompagnino. Pertanto capita spesso che, malgrado la regola della limitazione temporale degli incarichi, si diventi superiori a vita. La tendenza a mantenere sempre le stesse persone per lunghi anni in posti di autorità comporta rischi per chi li ricopre: in particolare, quello di identificarsi nel ruolo, al quale si aggiunge il pericolo di confondere la propria volontà con quella di Dio, imponendola in modo rigido agli altri. D’altra parte, per chi obbedisce c’è il rischio di confondere la ricerca della volontà di Dio con il benestare dell’autorità. Così, in nome dell’«unità», ogni pensiero che non si limiti a riecheggiare la voce di chi governa viene emarginato, se non eliminato[33]. È ciò che papa Francesco chiama «pensiero rigido»: la persona identificata con il suo ruolo, e l’unità confusa con l’uniformità[34].
Il secondo precetto del Decalogo[35] è l’unico fra tutti i comandamenti a prevedere una punizione esplicita per chi trasgredisce il divieto di invocare invano il nome di Dio. Un’aggiunta, questa, che mostra la gravità di un simile atto. Invocare invano il nome di Dio non implica solo la bestemmia, ma anche l’appropriazione del suo nome per giustificare interessi e colpe personali, violenza, e persino omicidi. Il testo prende le distanze da tali perversioni, affermando che esse distorcono gravemente il rapporto con Dio e, al tempo stesso, attesta la loro presenza nel corso della storia. Gli abusi di coscienza sono, in larga misura, una conseguenza dell’abuso del nome di Dio, strumentalizzato per giustificare le proprie azioni.
È il momento di valorizzare chi ha il coraggio di dire «no» all’abuso, chi pone limiti a ciò che è inappropriato e non evangelico e osa denunciare comportamenti abusivi. Nell’ambito religioso, la dignità umana può essere facilmente deformata, perché la disponibilità, l’abnegazione e lo spirito di servizio rischiano di essere male interpretati, e ciò porta a un annullamento malsano, menzognero, irresponsabile e vile, che non ha nulla in comune con il Vangelo. La grande differenza tra «servizio» e «servilismo» passa attraverso la riconquista della libertà, il coraggio di respingere proposte incompatibili con la dignità dell’essere umano e il Vangelo[36].
Dall’abuso alla «cultura dell’abuso» il passo è breve. La conversione e la riforma personale e istituzionale sono le strade necessarie per combattere tale tendenza, che a volte viene normalizzata e perfino «normata» in modo assai surrettizio. Passare dalla «cultura dell’abuso» a una «cultura della cura» richiede il riconoscimento dell’uguaglianza conferitaci dal battesimo, indipendentemente dalla specifica vocazione o dal servizio che ciascuna persona svolge nella comunità. Richiede anche la promozione di sistemi di partecipazione in cui la voce di ogni persona sia ascoltata – anche se non è allineata a una narrazione ufficiale – e il riconoscimento dell’apporto che ogni battezzato può offrire alle istituzioni ecclesiali.
Quando l’esercizio del potere non è evangelico, occorre riconoscere che ciò che veramente si nasconde dietro l’abuso – o dietro l’acquiescenza a esso tramite l’azione o l’omissione – è una crisi di spiritualità[37], in quanto esso si basa su ciò che c’è di più problematico nei rapporti umani: il desiderio di dominare e di imporsi sugli altri. Chi concede il potere è Dio, che ci ha insegnato che il potere è servizio. Il potere come Dio lo esercita in quanto Amore è la via della libertà e della pienezza per ogni creatura. Qualsiasi potere che non crea empatia, tenerezza, rispetto, e non cerca il bene degli altri, ma, al contrario, opprime, divide e crea sofferenza, non è frutto dello spirito buono.
Difficilmente gli abusi di potere – ad intra e ad extra – verranno completamente sradicati dalla Chiesa, che è costituita anche da persone che in essa trovano un «ombrello» molto ampio per i propri abusi. Esse riescono perfino, sotto la copertura di «spiritualità, gentilezza e amore», a manipolare e a soffocare la Chiesa. Dopo tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo siamo chiamati a risvegliare le coscienze e a sensibilizzarle al problema degli abusi nella Chiesa da parte di persone che, secondo le parole di papa Francesco, sono «malate o criminali»[38].
Una «fedeltà creativa»[39]porta a riformulare consuetudini che, pur avendo avuto forse un significato in altri momenti storici, viste alla luce del momento attuale, ledono i diritti fondamentali, condizionano la libertà delle persone e pretendono di esentare dalla responsabilità coloro che vogliono vivere consapevolmente la propria vocazione[40]. D’altra parte, tutto ciò che rafforza l’immaginario del superiore mettendolo al di sopra degli altri, presumibilmente con doni spirituali che il suo incarico non gli concede, lo pone potenzialmente in una situazione favorevole all’abuso di potere e di coscienza. Allo stesso modo, sarebbe necessario ripensare anche la teologia del voto di obbedienza e le sue pratiche, affinché il discernimento e la responsabilità di ciascuno nella propria vocazione non restino delegati a terzi[41].
Quando, come comunità ecclesiale o come struttura gerarchica, non siamo in grado di prenderci cura di ogni essere umano e di vigilare sulla sua integrità riconoscendo la sacra bellezza della sua ricerca, delle sue debolezze, dei suoi desideri e dei suoi bisogni, stiamo davvero fallendo come Chiesa[42]. Dobbiamo evitare questo fallimento con tutte le nostre forze.
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[1]. Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1269.
[2]. Cfr Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, Bologna, EDB, 1999, capp. 37-44.
[3]. Cfr Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, Roma, 11 maggio 2008, n. 26.
[4]. Cfr Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 11 febbraio 2013, n. 56.
[5]. Intervista di M. João Avilez per TVI e CNN Portugal, 4 settembre 2022 (fb.watch/f_NFXyD2Tk).
[6]. Si potrebbe dire che ogni abuso è un abuso di potere, se intendiamo il potere non come qualcosa di istituzionalizzato, sebbene sia anche questo, ma come la relazione in cui, a causa di diverse circostanze – contesto, situazioni familiari, rapporti sociali o lavorativi ecc. –, una persona ha il controllo su un’altra. L’abuso si verifica quando la persona che ha questo controllo lo usa in modo eccessivo, per imporre la propria volontà senza tener conto dei desideri o della volontà di chi subisce l’abuso. Si tratta, quindi, di un affronto alla dignità della persona. L’abuso presuppone la reificazione, la strumentalizzazione di una vittima, per soddisfare i capricci arbitrari di chi abusa. Cfr J. L. Rey Pérez, «Una reflexión sobre los abusos desde el derecho y lo institucional. La respuesta de los derechos humanos», in R. J. Meana Peón – C. Martínez García (edd.), Abuso y sociedad contemporánea. Reflexiones multidisciplinares, Pamplona, Thomas Reuters Aranzadi, 2020, 377 s.
[7] . L’abuso psicologico o di coscienza consiste nel conquistare, controllare e dominare la coscienza di un’altra persona, costringendola ad agire in un certo modo. Si tratta di comportamenti, assunti in maniera sistematica e ripetitiva, che ledono la dignità e l’integrità psicologica della vittima. Cfr Á. Rodríguez Carballeira et Al., «Un estudio comparativo de las estrategias de abuso psicológico: en pareja, en el lugar de trabajo y en grupos manipulativos», in Anuario de Psicología 36 (2005/3) 299-314. Indurre sottomissione e produrre confusione sono le principali forme di abuso di potere, che portano a conquistare, controllare e dominare la coscienza della vittima. Cfr G. Roblero Cum, «Ejercicios espirituales y abuso de conciencia. Un proceso de liberación del sometimiento y la manipulación afectiva», in Manresa 92 (2020/2) 157.
[8] . Cfr J. Beltrán, «El abuso de poder y conciencia entre religiosas ya no es tabú», in Vida Nueva, n. 3249, 2021, 16 s.
[9] . Il Papa aveva già associato i tre elementi «abuso sessuale, potere e coscienza»: cfr Francesco, Lettera del Santo Padre al popolo di Dio, 20 agosto 2018.
[10]. Cfr G. Asa Blanc, «El sujeto resistente frente a los abusos: vivencia de dignidad y coraje de ser», in R. J. Meana Peón – C. Martínez García (edd.), Abuso y sociedad contemporánea…, cit., 248.
[11]. Cfr C. Schickendantz, «Fracaso institucional de un modelo teológico‐cultural de Iglesia. Factores sistémicos en la crisis de los abusos», in Teología y Vida 60 (2019/1) 9‐40; R. Luciani, «La renovación en la jerarquía eclesial por sí misma no genera la transformación. Situar la colegialidad al interno de la sinodalidad», in D. Portillo Trevizo (ed.), Teología y prevención. Estudio sobre los abusos sexuales en la Iglesia, Santander, Sal Terrae, 2020, 37-45. Il lettore trarrà profitto dalla lettura della denuncia, da parte di papa Francesco, del clericalismo, espressa nella Lettera al cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016.
[12] . Cfr G. Cucci, «Introduzione», in S. Cernuzio, Il velo del silenzio. Abusi, violenze, frustrazioni nella vita religiosa femminile, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 34.
[13] . Max Weber distingueva tra potere e autorità: il potere è la capacità di imporre comportamenti agli altri, dovendo talvolta superare resistenze; l’autorità è la possibilità di ottenere l’adesione della volontà dell’altro alla propria persona o al contenuto che si presenta. Il potere porta con sé imposizione e coercizione e può essere sostenuto dall’autorità o dalla semplice forza. L’autorità può essere priva di potere socialmente regolato e tuttavia esercitare un’influenza sociale molto decisiva. In questo caso si potrebbe parlare di autorità morale, che richiede coerenza ed esemplarità. Essa gode di un certo potere, perché richiede ad altri responsabilità sempre nel rispetto della libertà, mette in luce i meccanismi del dominio e ha un’influenza sociale. È caratteristico dell’autorità morale pura non avere alcun potere coercitivo. Cfr M. Weber, Economía y sociedad. Esbozo de sociología comprensiva, Madrid, Fondo de Cultura Económica, 2002, 30; 43; 84; 170 s; 183 s; 218; 227 ecc. (in it. Economia e società. L’economia, gli ordinamenti e i poteri sociali, 5 voll., Roma, Donzelli, 2022).
[14]. Cfr A. M. Varaprasadam, «Promoción de la justicia: medio para integrar nuestras vidas», in M. Nicolau et Al., Contemplativos en la acción: respuestas a la carta del P. Arrupe, Roma, Centrum Ignatianum Spiritualitatis, 1978, 79.
[15]. Cfr M. I. Franck, «Intentando reflexionar sobre la raíz espiritual del abuso de poder», in D. Portillo Trevizo (ed.), Teología y prevención…, cit., 124 s.
[16]. Cfr I. Angulo Ordorika, «Bajo la punta del iceberg: abusos de poder en la Iglesia», in E. Gómez García – E. Somavilla Rodríguez (edd.), La Iglesia ante un mundo en cambio, Madrid, Centro Teológico San Agustín, 2022, 200-213.
[17]. Cfr M. I. Franck, «Intentando reflexionar sobre la raíz espiritual del abuso de poder», cit., 129.
[18]. Ciò che ci unisce come esseri umani e che va oltre le nostre evidenti differenze è la vulnerabilità. Cfr F. Torralba i Roselló, Ética del cuidar. Fundamentos, contextos y problemas, Madrid, Institut Borja de Bioética-Fundación Mapfre Medicina, 2002, 247.
[19]. Il potere è un fenomeno essenzialmente umano, al quale si è cercato di porre dei limiti. È disponibilità per qualsiasi cosa, nobile o bassa, costruttiva o distruttiva, perché è essenzialmente governato dalla libertà. L’abuso di potere deriva dal fatto che l’uomo non lo esercita come dono per il servizio: cfr R. Guardini, Il potere, Brescia, Morcelliana, 1963, 14. Non c’è nulla, afferma Guardini, che metta a dura prova la purezza del carattere e le alte qualità dell’animo quanto il pericolo che il potere rappresenta per chi lo esercita: «Essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non è controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto» (ivi, 85).
[20]. Cfr Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza. Faciem tuam, Domine, requiram, Roma, 11 maggio 2008, nn. 12 e 14b (www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/documents/rc_con_ccscrlife_doc_20080511_autorita-obbedienza_it.html).
[21]. Cfr Id., Per vino nuovo, otri nuovi. Dal Concilio Vaticano II. La vita consacrata e le sfide ancora aperte, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2017, nn. 19; 20; 21; 24; 41-45; 48.
[22]. Cfr R. Aguirre, «La mirada de Jesús sobre el poder», in Teología y Vida 55 (2014/1) 92-104.
[23]. Cfr Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Per vino nuovo, otri nuovi…, cit., n. 20; Id., Il servizio dell’autorità e l’obbedienza…, cit., n. 13 f.
[24]. Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Perfectae caritatis, n. 15.
[25]. Cfr Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, cit., n. 3. Papa Francesco ha affermato: «Pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che “usano” il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle – quelli che dovrebbero servire – come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Ma questi fanno un danno grande alla Chiesa» (Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle Superiore generali, 8 maggio 2013).
[26]. Cfr Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Per vino nuovo, otri nuovi…, cit., n. 41.
[27]. Cfr S. Fernández, «Reconocer las señales de alarma del abuso de conciencia», in D. Portillo Trevizo (ed.), Abusos y reparación. Sobre los comportamientos no sexuales en la Iglesia, Madrid, PPC, 2021, 47-65.
[28]. Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, nn. 16-17; Id., Dichiarazione Dignitatis humanae; Giovanni Paolo II, s., Enciclica Veritatis splendor, n. 59; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1732; 1776-1778; Tommaso d’Aquino, s., Somma contro i Gentili, Torino, Utet, 603.
[29]. Cfr S. Fernández, «Reconocer las señales de alarma del abuso de conciencia», cit., 60 s.
[30]. Cfr ivi, 61 s.
[31]. Cfr I. Angulo Ordorika, «Bajo la punta del iceberg: abusos de poder en la Iglesia», cit., 208-212.
[32]. Cfr M. Wijlens, «Rompiendo la oscuridad: consideraciones de Derecho Canónico sobre el abuso espiritual para los líderes de la Iglesia», in D. Portillo Trevizo (ed.), Abusos y reparación…, cit., 67-92. Cfr anche I. Angulo Ordorika, «¿Abusos legislados en la vida consagrada?», in D. Portillo Trevizo (a cura di), Teología y prevención…, cit., 139-158.
[33]. Cfr G. Cucci, «Introduzione», cit., 15 s; 25 s.
[34]. Ha scritto papa Francesco: «Dove lo Spirito è presente, c’è sempre un movimento verso l’unità, ma mai verso l’uniformità. Lo Spirito preserva sempre la legittima pluralità dei diversi gruppi e punti di vista, riconciliandoli nella loro diversità. Quindi, se un gruppo o una persona insistessero sul fatto che il loro modo è l’unico per “leggere” un segno, sarebbe un indizio negativo» (Francesco, Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore, Milano, Piemme, 2020, 75).
[35]. «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano» (Es 20,7).
[36]. Cfr Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle Superiore generali, cit.
[37]. Cfr M. I. Franck, «Intentando reflexionar sobre la raíz espiritual del abuso de poder», cit., 121-130.
[38]. Cfr intervista di M. João Avilez, cit.
[39]. Giovanni Paolo II, s., Esortazione apostolica Vita consecrata, n. 37.
[40]. Cfr E. López Pérez, «Fidelidad sinodal. Liderazgo de discernimiento congregacional», in Confer 59(2020) 480-482.
[41]. Cfr I. Angulo Ordorika, «¿Abusos Legislados en la vida consagrada?», cit., 156.
[42]. Cfr C. Montero Orphanopoulos, «Vulnerabilidad humana y abusos no sexuales en la Iglesia católica», in D. Portillo Trevizo (ed.), Abusos y reparación…, cit., 153.