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In questo libro Chiara Volpato, professoressa di Psicologia sociale presso l’Università di Milano-Bicocca, mostra innanzitutto che la disuguaglianza non è un qualcosa di connaturato alla specie umana, ma un fenomeno dannoso che provoca «problemi sanitari e sociali, rafforza razzismo e violenza, ostacola la mobilità sociale ed è responsabile dell’abbassamento del livello di istruzione e del benessere generale».
Nel primo capitolo l’A. analizza le più recenti ricerche e gli studi pubblicati da economisti e sociologi su questo tema, per concludere che, dato che la ricchezza in quasi nessuno Stato al mondo (ad eccezione della Svezia, in cui il 36% della ricchezza appartiene al primo quintile della popolazione, il 21% al secondo, il 18% al terzo, il 15% al quarto e l’11% al quinto) viene equamente distribuita, una situazione di disuguaglianza non è mai desiderabile.
Se in Italia la ricchezza nelle mani del primo quintile è pari al 67,7%, e quella desiderabile – stando alle ricerche delle Università di Padova e di Roma del 2016 – è pari al 34%, che cosa separa la realtà dall’ideale? Diversi fattori, tra cui la situazione personale degli intervistati, il ruolo dei media e l’interesse riguardo al fenomeno. L’A. spiega che la maggior parte degli intervistati è favorevole, più che a una totale uguaglianza, a un sistema di moderata disuguaglianza, lo stesso che gli studiosi ritengono essere più adatto a far prosperare l’economia e il benessere individuale e sociale.
L’A. conclude il primo capitolo con un rapido, ma puntuale excursus sui motivi che hanno indotto ad accettare il desiderio di disuguaglianza piuttosto che quello di uguaglianza: la legittimazione del potere, le ideologie, l’egemonia, il neoliberismo, il mercato come paradigma, la vita come «capitale su cui investire».
Nel secondo capitolo si passa a parlare delle classi, e innanzitutto della borghesia, cioè di coloro che dopo la Grande guerra hanno saputo risollevare le sorti dell’Europa, puntando tutto su un lavoro qualificante, volontario e spesso internazionale. Di nuovo, si verifica qui la divisione tra ricchi e poveri, con diversi accessi a beni e servizi. Così vengono riletti Marx, Engels e Max Weber attraverso la magistrale analisi di Pierre Bourdieu, sociologo, antropologo e filosofo francese, che si è dedicato alla sociologia dei processi culturali e, in particolare, alla «relazione tra disuguaglianza sociale, cultura e autorità, mostrando come la cultura costituisca uno dei principali meccanismi di riproduzione delle strutture di classe». Per questo studioso, la cultura è anche habitus, «l’insieme dei valori, norme, aspettative e privilegi che derivano da una data condizione materiale». In altre parole, per capire a fondo l’uomo immerso nel sociale non si può prescindere dal suo contesto.
Nel terzo capitolo l’A. prende in considerazione la classe dominante, con la sua eccessiva autostima, il narcisismo, una spregiudicata autodeterminazione, soprattutto agli occhi dei più svantaggiati, ma anche con la paura di perdere i propri privilegi. Nel capitolo successivo tratta dei dominati, della loro condizione di subalternità, come è stata vissuta nella storia dell’Occidente e che oggi appare più complessa. Senza dubbio il fattore materiale è determinante – in Italia nel 2017 si contavano 5 milioni di poveri, secondo l’Istat –, ma non vanno neppure trascurate le ricadute di questo fenomeno a livello psicologico e sociale.
Dopo aver esaminato la situazione, la Volpato presenta le prospettive future. Le disuguaglianze non spariranno, ma potranno essere ridotte favorendo l’accesso delle classi povere al sapere e alla cultura, che portano a una maggiore presa di coscienza politica e sociale.
CHIARA VOLPATO
Le radici psicologiche della disuguaglianza
Bari, Laterza, 2019, 264, € 18,00.