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È maldestro cominciare uno studio senza iniziare a una disciplina. Viceversa, una corretta impostazione del discorso scientifico ne prepara l’ordinato svolgimento. A tal fine lavora il gesuita Gaetano Piccolo, decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Che la cura dell’A. verta sul metodo, prima ancora che sul merito, emerge bene dalla Prefazione alla sua nuova opera, vergata da Paul Gilbert, predecessore nella cattedra di metafisica. Il gesuita belga traccia la storia di questo insegnamento alla Gregoriana, disegnando un costante passaggio di consegne tra docenti dell’ultimo secolo, chiamati a formulare «tipi di discorsi responsabili per il loro tempo» (p. 10).
Ebbene, per divenire abili alla risposta occorre far pratica nella domanda: è l’esercizio che dà forma al libro. Proponendo un audace avvio all’insegnamento della metafisica, questo «piccolo manuale» (p. 13) aggiorna il classico genere del protrettico. Non si tratta solo di fornire agli studenti un primissimo orientamento tematico, bensì di invitare allo studio delle questioni primarie che provocano a pensare di più, a pensare ancora, a pensare meglio. Il coinvolgimento del docente viene qualificato da un impegno caratteristico dello spirito con il quale si presenta: «Io cercherò di accompagnarti» (p. 16).
Quanto al metodo, la selezione delle domande compone un settenario di capitoli strutturato secondo tre livelli di lettura. Ogni porzione testuale individua un tema, sviluppato in modo discorsivo. Questo movimento del pensiero è intervallato da approfondimenti, contraddistinti dal corpo minore della grafica, che rimandano a fonti storiche e autori di riferimento. Al termine di ogni capitolo, uno specifico focus introduce pertinenti approfondimenti sulle questioni in esame, ampliando altrettante prospettive di lettura e ricerca.
Quanto al merito, Piccolo muove da un basilare interrogativo ontologico (Che cosa c’è?), proseguendo ad apprezzarne il significato (Cosa vuol dire esistere?) e l’estesa problematicità (Le cose cambiano o permangono? Esiste qualcosa di universale o esistono solo cose particolari?). I primi quattro capitoli dispongono a stimare la rilevanza linguistica delle questioni emerse (Perché possiamo parlare delle cose?), conducendo infine all’interrogativo propriamente metafisico, che il lettore può così meglio apprezzare (C’è un senso, ovvero c’è qualcosa al di là delle singole cose? C’è un fondamento?). Con accorgimento nient’affatto ovvio, «davanti a ogni singola cosa che c’è, ci dimentichiamo innanzitutto di meravigliarci che ci sia» (p. 90); domandare poi che cosa sia porta a chiedere come possa venir pensata, aumentando il vigore interrogativo fino a porre la domanda circa il perché degli enti.
Mantenendo la promessa stretta con il lettore, il testo di Piccolo accompagna alla metafisica mediante la problematizzazione della realtà, ovvero implicando quell’approccio ontologico che conduce dalla prima questione alla questione prima. Chiedere ragione di ciò che esiste suppone la constatazione che ci sia qualcosa riguardo a cui (poter) chiedere. Apprezzare la problematicità dell’ente motiva e rafforza la domanda circa l’Essere. Come dunque un’ontologia senza metafisica mancherebbe l’indagine sulla propria fondamentale condizione di possibilità, così una metafisica senza ontologia dimenticherebbe la pista, ovvero il cammino teoretico, che ha condotto a porre la domanda, motivandola. Dalla prospettiva di chi interroga, a quel che sta prima si accede da quel che sta dopo.
In proposito, porre una qualsiasi domanda richiede di tematizzare la forma linguistica nella quale il pensiero sempre accade. Esibendo un’intrinseca convergenza di essere e di pensiero, «la peculiarità dell’essere umano è che non può interrogare in modo asettico o distaccato, ma è coinvolto nella domanda che pone, perché egli stesso appartiene a quella realtà di cui cerca il senso» (p. 91). Non incontriamo la realtà senza noi stessi: perciò, nella misura in cui ne chiediamo ragione, «la metafisica fa parte della natura dell’uomo» (p. 102).
Con lessico terso, Piccolo consegna un’opera propedeutica, tanto breve quanto agile nel mostrare il valore delle questioni affrontate. Svolgendole, corre il rischio di procedere per cenni e appunti, benché ordinati. Ad esempio, in tre facciate si passa da Tommaso a Hegel, da Ricoeur a Eraclito (cfr pp. 43-45). Proprio non volendo essere esaustivo, tuttavia, il libro svolge efficacemente il compito prefisso: suscitare interesse nel lettore per le questioni che vengono prima. La connessione tra le domande corrobora il senso di un domandare, che non s’avvita su sé stesso, bensì matura con l’attenzione a ciò che studia, metafisicamente, nella sua stessa ragion d’essere. Abile a cogliere direttrici, crisi, istanze della metafisica, l’A. ne sintetizza la posta in gioco senza ridurla a manualistico nozionismo. Mediante una composizione gradevole per semplicità e acuta per profondità, Piccolo porge in scioltezza ciò che è (e resta) da pensare: conta «aver intrapreso il viaggio, nella speranza prima o poi di giungere alla meta, se c’è» (p. 119). Già il fatto di aver dato ragione di questa speranza è un’opera buona.