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Una saga familiare che, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, si svolge a Palermo. Un contesto «ebraico-tedesco», non molto noto. Una città operosa e fiorente, che andava reinventandosi, il cui ricordo è stato quasi cancellato dal tempo. Grazie al ritrovamento di un diario e rielaborando le tante vicende che le sono state raccontate, Agata Bazzi, architetto «prestato» per la prima volta alla stesura di un’opera letteraria, nonché discendente della famiglia in questione, ha scritto questo romanzo, nel quale è riuscita a fondere efficacemente storie individuali e Storia in una narrazione che vede al proprio centro alcune generazioni degli Ahrens e almeno tre memorabili personaggi femminili.
Dal 1875 – anno nel quale il patriarca Albert dalla natia Germania settentrionale sbarca in Sicilia, intenzionato a impiantarvi e svilupparvi varie attività imprenditoriali – alla difficile situazione in cui la famiglia versa nell’immediato secondo dopoguerra, l’autrice ci descrive una parabola segnata, per un verso, da grandi successi e, per l’altro, da avvenimenti che ne provocano la progressiva decadenza.
Sarà tuttavia opportuno esporre in maniera un po’ più dettagliata una vicenda che, nel suo complesso, ci è sembrata appassionante. Va però osservato, in primo luogo, come al capoluogo siciliano venga attribuito – nell’ambito del racconto – un ruolo di fondamentale importanza. Dai vicoli alle strade monumentali, dal porto alle tante botteghe degli artigiani, dai bassi ai quartieri signorili, Palermo vi svolge una parte che è certamente di primo piano. Come, del resto, appare ben descritta la vivace ed energica classe imprenditoriale dell’epoca, con la quale il giovane Albert entrerà subito in contatto.
Albert, uomo appassionato e caparbio, attivo in particolare nel commercio delle stoffe e dei vini, riesce ad accumulare, in un periodo relativamente breve, un cospicuo patrimonio. Sposa nel frattempo l’ebrea amburghese Johanna Benjamin, che gli darà otto figli, e su una collina situata appena fuori città riesce a far costruire una magnifica villa-opificio, sulla cui facciata spiccano sia una stella di David sia, collocata al di sopra delle sue sei punte, la scritta Lik Dör, che in yiddish significa: «La luce è là».
Sono anni caratterizzati da una condizione di notevole prosperità, vissuti dagli Ahrens in un clima di generale letizia e concordia. Intervengono poi eventi destinati a turbare profondamente la tranquillità della famiglia: il terremoto di Messina, la Prima guerra mondiale, la morte dei due figli maschi e l’approvazione delle leggi razziali, che costringono gli Ahrens a riscoprire la propria identità ebraica, ma ne distruggono la dignità, gettandoli in una condizione di isolamento pressoché totale. Scrive in proposito Marta, sesta figlia di Albert e Johanna, nonché principale io-narrante del romanzo: «La città era indifferente, lontana. Palermo, sempre dalla parte del più forte! Molti amici erano andati via, i rapporti sociali erano stati annientati dall’opportunismo altrui e dalla nostra ritrosia. Era difficile anche solo parlare con gli estranei, ormai avevamo poco da dire» (p. 302).
L’inarrestabile declino delle loro attività economiche non impedisce tuttavia alla madre e alle quattro figlie superstiti di continuare a credere nella «luce», vale a dire nei valori ai quali i vari membri della famiglia avevano sempre ispirato i propri ideali e comportamenti: rigore, disciplina, libertà, coraggio. Valori che, attraverso la loro condotta, avevano incarnato anche quei tre memorabili personaggi femminili di cui si diceva all’inizio: Johanna, il costante punto di riferimento, che con la sua «serena intelligenza» (p. 282) aveva saputo contribuire in misura decisiva alla costruzione della ricchezza familiare; Marta, afflitta da una grave sordità, ma pienamente capace di gestire gli affari; Vera, forse l’unica, autentica erede di quella risolutezza che aveva contraddistinto l’operato paterno.
La luce è là è dunque un romanzo che – oltre che per la prosa scorrevole e sobria, i dialoghi brevi e incisivi, i periodi stringati, che conferiscono alla narrazione un ritmo veloce e costante – si caratterizza per la presenza di un mondo formato in prevalenza da donne: un composito universo femminile che si impone all’attenzione del lettore e sembra destinato a restare impresso nella sua memoria.
AGATA BAZZI
La luce è là
Milano, Mondadori, 2019, 372, € 19,00.