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Che cosa intendiamo per «aldilà»? Si tratta di una dimensione parallela a quella terrena? Oppure del prolungamento, triste o felice, della vita presente? Quale significato assume lo specifico annuncio cristiano della risurrezione rispetto al desiderio di una rivincita del corpo sui vincoli e le malattie che lo soffocano e umiliano? In che modo verranno finalmente sanate le ingiustizie e premiati i meriti? Storico, biblista e teologo francese, André Paul è un noto specialista di testi dell’antichità e in questo saggio delinea le diverse forme, religiose e culturali, remote o contemporanee, in cui si è declinato il sogno di un oltrevita.
Particolare attenzione viene posta dall’autore alle opere visionarie di genere apocalittico elaborate nella società giudaica negli ultimi due o tre secoli prima di Cristo. Il libro di Enoch, scritto in aramaico, era probabilmente un bestseller ai tempi di Gesù e narrava di un viaggiatore cosmico che scopre il carcere degli astri colpevoli e degli angeli peccatori, responsabili degli sconvolgimenti naturali e delle depravazioni spirituali. Nell’Ade i morti sono divisi in classi, secondo il grado della loro colpa, «ma la loro detenzione è solo transitoria. Non vi sarà alcun altro verdetto se non quello del Giudizio finale, alla fine dei tempi» (p. 21).
L’intero volume può essere letto come una preparazione alla corretta interpretazione di quel passo della Prima lettera ai Corinzi (15,35-50) in cui Paolo utilizza metafore vegetali, animali, inorganiche e astrali per parlare della risurrezione dei morti: «Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale». Il corpo animale, o «corpo di anima» (sōma psychikón) è opposto al «corpo di spirito» (sōma pneumatikón). Paolo risente delle idee stoiche di allora (secondo cui l’anima stessa consisteva in un corpo, per quanto puro ed etereo), ma se ne distacca, valorizzando la tradizione giudaica (la visione delle ossa inaridite in Ezechiele, i libri di Enoch e dei Giubilei): lo spirito non ha sostanza né forma proprie (nel senso greco), ma «è una forza e, molto di più, una riserva illimitata di forze […] ri-creative» (p. 137).
Proprio riformulando un’espressione della filosofia stoica, Paul suggerisce di tradurre sōma pneumatikón con «corpo dissolto nello spirito», ossia trasfigurato nel principio vivificante e dotato di un’illimitata capacità germinale, come lo spirito che aleggiava sulle acque un istante prima della creazione (cfr Gen 1,2). Le conseguenze sono molteplici: la morte sarebbe essenziale, perfino necessaria, per far spazio a una nuova «nascita». La morte va «riabilitata» (p. 160), come emblema della nostra finitudine, come quel vuoto che esige di essere riconosciuto e pensato, senza volerlo addomesticare a ogni costo, perché essa ha una natura selvaggia e sollecita l’angoscia autentica.
La vita si apprende «alla scuola della morte» (p. 160), ma morire non equivale al separarsi di corpo e anima, come nel pensiero platonico; e risorgere non implica assumere una natura angelica, né ripristinare l’assetto organismico precedente, né ricostituire «tali e quali tutte le relazioni o le socialità perdute» (p. 141), liberate da imperfezioni. Si risuscita non per non morire più, ma per vivere in modo diverso. Qualunque reincarnazione è inammissibile, perché l’«anima» è «legata a un corpo unico che la identifica una volta per tutte» (p. 140).
La fede cristiana dà credito alla prospettiva di una vita ritrovata al di là della morte, una vita «reinventata nella differenza» (p. 144) e al contempo coniugata con l’identità della persona. Non è infatti il solo corpo fisico che risorge: l’intera vita personale diventa eterna, grazie a forze rigeneranti che la conducono a una vittoria che ingoia la morte, nello stesso movimento che rifonda tutto il mondo. E il motore di tale redenzione è lo stesso principio del corpo di Cristo risorto. Egli «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21).
D’altra parte, le stesse lettere paoline (cfr 1 Ts 4,15 e 1 Cor 15,51) mostrano che la trasformazione escatologica riguarda non soltanto i morti, ma anche i viventi. Il Figlio incarnato e risorto dà fin d’ora la vita eterna al credente, e il futuro ultimo è la prosecuzione della sconvolgente novità che è già in atto. «Viene l’ora, ed è adesso…», dice Gesù nel quarto Vangelo (Gv 5,25)
ANDRÉ PAUL
Immortalità o risurrezione? Affacciarsi oggi sull’oltrevita, fra utopia e fede
Brescia, Queriniana, 2019, 176, € 15,00.