|
Pur tra eccessi e contraddizioni, la globalizzazione ha prodotto un livello di integrazione internazionale e di benessere senza precedenti. Essa è, però, in crisi: «È in corso un progressivo scollamento che sta mutando profondamente le relazioni internazionali e dividendo il mondo in blocchi» (p. 1). Sulla base di questa constatazione e delle attuali sfide che richiedono collaborazione e dialogo (cambiamenti climatici, emergenze sanitarie ecc.), l’economista e saggista Marco Magnani propone un’interessante riflessione sul «mondo che verrà».
Partendo dal presupposto che «la storia fornisce chiavi di lettura per interpretare con maggiore distacco le tendenze in corso e meglio prepararsi ad affrontare il futuro» (p. 12), l’A. ci offre un agile excursus di storia economica sui fenomeni del passato assimilabili alla globalizzazione. Prendendo in rassegna quanto avvenuto nell’antica Roma, durante l’espansione arabo-islamica, con l’Impero mongolo, all’epoca delle grandi scoperte geografiche e del dominio delle potenze coloniali, rileva forti analogie tra quei periodi, che vedono l’avvicendarsi di fasi di frammentazione e integrazione, laddove quest’ultima rende gli esseri umani sempre più interdipendenti. Un’interdipendenza rafforzata da alcuni elementi condivisi nelle fasi storiche esaminate: vie di comunicazione e di trasporto efficienti, stabilità politica, sicurezza, innovazione e progresso tecnologici diffusi.
Pace, cornice politico-istituzionale, diffusione del benessere sono tra i propulsori della globalizzazione individuati da Magnani: «Oggi alcuni di questi motori hanno rallentato» (p. 45). Accanto ai benefici della globalizzazione, stanno emergendo limiti e distorsioni, che mettono in luce la vulnerabilità delle catene globali di valore, la fragilità a shock esterni, gli impatti sul mondo del lavoro e sull’ambiente, le disuguaglianze tra e all’interno dei Paesi, soprattutto per le fasce più fragili. Queste tensioni rischiano di far prevalere istinti di chiusura, protezionismo e competizione tra Paesi per accaparrarsi risorse naturali strategiche (energia, acqua, alimentazione, materie prime, terre rare). Di particolare rilievo è l’osservazione dell’A. che «a fronte di dissidi e guerre, non è infrequente che sia la diplomazia della Santa Sede, in via ufficiale o ufficiosa, a tenere aperti i canali di comunicazione tra le parti in causa e cercare una mediazione» (p. 190).
La lettura del volume ci aiuta a comprendere meglio i vari segnali di crisi che dall’inizio del XXI secolo hanno riguardato la globalizzazione, facilitandone un rallentamento, che ha cause diverse: congiunturali (guerra commerciale Usa-Cina, pandemia ecc.), cicliche (riduzione della domanda aggregata ecc.), strutturali (ristrutturazione delle filiere produttive con il fenomeno del reshoring), «favorendo un progressivo scollamento tra i pezzi del mondo» (p. 157) e la tendenza verso un mondo frammentato che potrebbe portare alla balcanizzazione del mondo.
Il fulcro della riflessione dell’A. è che un possibile/probabile arretramento del processo di integrazione internazionale comporterebbe ingenti costi economici, sociali, ambientali e di sicurezza per tutti. Atteso che l’aspetto chiave di questa «esposizione» della globalizzazione è il «rischio sistemico», il filo conduttore del volume è che di fronte a questi «rischi sistemici» la risposta non è porre freni alla globalizzazione, bensì garantire un rafforzamento della governance globale.
C’è bisogno di una governance internazionale riformata, allargata e condivisa, più attenta alla resilienza, elemento spesso trascurato dai processi di globalizzazione. Per arrivare a tale risultato, «è necessario che sia diffusa la consapevolezza, nei governi e nei popoli, che in un mondo aperto […] i benefici sono complessivamente superiori agli svantaggi» (p. 226) e che le sfide globali possono essere affrontate solo attraverso una saggia cooperazione internazionale.
Siamo in un momento storico di «crisi», che offre anche importanti opportunità. Magnani conclude rilevando che «per ambire a una nuova governance globale servono soprattutto leadership […] capaci e lungimiranti» (ivi), in grado di tener conto degli errori del passato, che ci insegna che, dopo fasi particolarmente buie, «il mondo ha saputo ritrovare la luce» (p. 227).
Risuonano qui le parole di papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ (LS): «Un mondo interdipendente […] significa […] fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (LS 164).