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«Il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo, essendo, come ho già detto, […] un sistema completo di repressione delle tendenze depravate dell’uomo, è il più grande elemento di Ordine sociale […]. Io scrivo in omaggio di due Verità eterne: la Religione e la Monarchia». Chi scrive queste frasi non è un nostalgico dichiarato del vecchio regime, del tipo Chateaubriand o Joseph de Maistre, ma un personaggio che sorprenderà molti: Honoré de Balzac, lo scrittore della Commedia umana, il maestro di realisti e più tardi di naturalisti (e veristi), leader riconosciuto delle tendenze più laicistiche nella cultura letteraria. Da sempre considerato un oracolo dalla cultura progressista, egli nutriva in realtà idee piuttosto nostalgiche e misticheggianti (era un appassionato studioso di Emanuel Swedenborg, filosofo e mistico del XVIII secolo). Molti altri scrittori, che vengono considerati maestri dalla sinistra, sono stati in realtà conservatori, se non reazionari.
Questo lungo equivoco è analizzato da Gli antimoderni, scritto da Antoine Compagnon, docente alla Sorbona e alla Columbia University, oltre che membro del prestigioso Collège de France. Egli ci rivela che Baudelaire, uno dei maestri dichiarati della cultura progressista, impegnata nella polemica contro il vecchio, in realtà era uno spirito religioso che non poteva sopportare la moderna democrazia e la città a lui contemporanea, abbrutita da nuove e poco aristocratiche presenze.
L’A. lo riscopre attentissimo alla dimensione della fede, e anzi contestatore dei contestatori, che lui vede come sciagurati e illusi fuggiaschi da Dio che in realtà si allontanano dall’unica verità. La nuova scienza della civiltà a lui contemporanea, scrive Baudelaire ne Il mio cuore messo a nudo, «non consiste nel gas, né nel vapore, ma nella diminuzione delle tracce del peccato originale». La libertà tanto sbandierata, in realtà è una fuga dalla sola dimensione che ci potrebbe salvare.
Non è vero, dice Compagnon, che il dopo Rivoluzione francese è stato tutto un rincorrersi di laicità e progressismo anticlericale: molti scrittori, come lo stesso Baudelaire, ma anche Chateaubriand (che era partito da posizioni rivoluzionarie), Joseph de Maistre, l’abate Bergier e altri si sono posti inquietanti domande che avevano sempre a che fare con Dio.
D’altra parte, tanti presunti maestri di progressismo materialista e laico sono stati nostalgici dei bei tempi passati: Taine, ad esempio, uno dei totem del naturalismo (e quindi del progressista Zola), era tutt’altro che simpatizzante della Rivoluzione. Un altro grande padre della modernità, Flaubert, amava tutto fuorché quella modernità che gli si attribuisce come una carta d’identità; per non parlare di Bourget, che prende nettamente le distanze dal suo antico maestro Zola e dal materialismo, imputandogli anzi tutte le malattie del presente.
Noi italiani potremmo portare anche altri esempi: Pirandello si considerava un nemico giurato della modernità e del progressismo politico, tanto da aderire al fascismo, sebbene la sinistra lo consideri uno dei padri della modernità.
Questo libro di Compagnon ci insegna a non generalizzare, facendoci capire che «stare al passo con i tempi» non è in sé un valore, come non lo è esecrare i tempi antichi in quanto ignoranti e oscuri. Ogni epoca ha avuto una sua specificità, che non è possibile ridurre a parole d’ordine: i «destri» di ieri sono divenuti i «padri della sinistra» di oggi. Persino il campione del nostro verismo, Giovanni Verga, considerato un totem dalla sinistra, era tutt’altro che tenero con la sinistra del suo tempo e con le manifestazioni di piazza. Scherzi delle facili e superficiali parole d’ordine senza reali approfondimenti.
ANTOINE COMPAGNON
Gli antimoderni
Milano, Neri Pozza, 2017, 512, € 28,00.