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La fine della cristianità è vicina? La fede sopravvivrà? A questi interrogativi cerca di rispondere in questo libro mons. Marco Prastaro, vescovo di Asti, che per anni è stato sacerdote «Fidei donum» missionario in Kenya. La sua è un’analisi attenta sul mondo postcristiano di oggi, con un invito a non avere paura del futuro, perché non potrà mai essere disabitato da Dio: Lui continua a essere presente nella storia e ha ancora qualcosa da comunicare a noi, al nostro mondo attuale, che si rivela molto complesso, in un contesto multiculturale e in continuo cambiamento.
Le pagine del testo sono arricchite dalle testimonianze di alcune giovani Chiese dell’Oriente cristiano, che possono lanciare un messaggio di luce a noi Chiesa antica dell’Occidente. «La freschezza della loro vita ci può aiutare a ritornare agli esordi dell’esperienza cristiana, a riscoprire la bellezza del Vangelo, a non perdere la speranza in un possibile mondo migliore» (p. 15). Non si va più in Chiesa, pensando che Dio ci abbia dimenticato, e si cerca altrove la felicità, proiettandosi in una realtà che non è più intrisa di relazioni, ma è vita social, virtuale.
Il popolo di Dio è smarrito, vive nella tempesta, e in questo contesto è ridotto a una minoranza, che deve per questo essere ancora più salda in Cristo Signore. Ma il Padre è sempre all’opera, «perché Dio, sempre e comunque, ama stare con gli uomini. Dunque, ama abitare anche in questo mondo, che pare non volerlo o, forse peggio ancora, non esserne interessato. Ecco dove è finito Dio: dove è sempre stato, in mezzo a noi, nelle pieghe più o meno luminose della storia degli uomini» (p. 28).
Vivere da minoranza significa allora tornare all’essenziale, recuperando la semplicità e la condivisione dell’annuncio gioioso del Vangelo, che furono proprie dei primi cristiani e che ancora dimorano in alcune piccole comunità, oasi nel caos, dove ancora si prega e si ascolta con fervore la parola di Dio. Il Vangelo è relazione, dialogo aperto con Dio, ed è per tutti: da questa consapevolezza inizia la prossimità e missionarietà della Chiesa, che oggi molto dipende dal ruolo attivo del laicato, in supporto all’opera dei sacerdoti nell’evangelizzazione.
La Chiesa del santo popolo fedele a Dio è una Chiesa povera, scalza, lontana dal clericalismo e vicina alla gente: «La Chiesa non può che stare là dove Dio ama stare, cioè fra le pieghe oscure della storia, là dove la vita si svolge, là dove la gente vive, soffre, lotta e pecca» (p. 101). È proprio nel buio, nella fatica, nel dolore e nel disordine delle nostre vite che Dio, sorgente della vita, si manifesta con la sua pace, la sua misericordia e il suo amore. «Questo potrebbe essere la Chiesa del futuro: un’oasi di pace e di vita in mezzo al caos in cui ciascuno ritrova la propria identità di figlio amato. Un’oasi in cui entri e ti rigeneri, per ritornare nel caos e farlo diventare materia prima di vita ulteriore, per te, per gli altri, per tutti» (p. 110).
La fede è sempre una scelta di adesione personale, ma la Chiesa deve essere un’oasi attraente, capace di far fiorire legami di fraternità, attenta nell’ascolto dei bisogni di tutti: «Aperta, inclusiva, plurale, fondata sul Vangelo, ecco la comunità attrattiva» (p. 115).
Un focus particolare merita il futuro dei giovani nella Chiesa: la pastorale deve mettere in atto strategie nuove per proporre cammini di fede credibili, con una presenza maggiore nelle scuole pubbliche, dove vengono formate e plasmate le coscienze dei ragazzi. Altresì importante, in un calo delle vocazioni generalizzato, è il ruolo del Consiglio pastorale parrocchiale (CPP), organismo di comunione che ha il compito di promuovere l’attività pastorale, per la crescita dell’intera comunità nella fede, con un reale servizio alla Verità nella carità.
L’A. sottolinea anche la necessità di punti di riferimento stabili nella responsabilità dei ministeri laicali e dei catechisti, figure centrali nelle Chiese in terra di missione, che presiedono la vita delle comunità soprattutto nelle periferie.