La gestazione di quelli che oggi riconosciamo come “missionari digitali” o “influencer cattolici” (ma la distinzione è importante, come vedremo) è durata diversi anni, gli anni dei pionieri: fedeli laici, religiosi e religiose, presbìteri (qualcuno nel frattempo è diventato vescovo, come lo statunitense Robert Barron) che sperimentavano la possibilità di annunciare il Vangelo, catechizzare, ascoltare e accompagnare i fratelli- follower con creatività nei linguaggi e con le tecniche proprie dell’ambiente digitale. La maggioranza di loro è nata di fatto nei mesi sospesi del lockdown imposto dal Covid. […]

Dunque la comunità cristiana è oggi chiamata a valorizzare il loro servizio, ma anche a vigilare sulla sua effettiva ecclesialità, con tutto ciò che questo comporta. Nell’architettura ideata dal Papa e dalla Segreteria del Sinodo per passare dalla prima alla seconda sessione, il tema « La missione nell’ambiente digitale» è stato affidato a uno dei dieci Gruppi di studio coordinati a livello interdicasteriale, che approfondiranno autonomamente alcune delle questioni emerse in Sinodo. L’articolo “Missionari nell’ambiente digitale: pensare la sinodalità al tempo delle reti” firmato da padre Bruno Franguelli e da Moisés Sbardellotto sull’ultimo quaderno de “La Civiltà Cattolica” (in uscita domani) si colloca nel contesto di questa riflessione. […]

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