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Tra i Paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti d’America ebbero un ruolo certamente preminente nella riorganizzazione del nuovo ordine internazionale, rispetto ai Paesi cosiddetti «alleati» che conobbero l’occupazione nazista e la devastazione. La Conferenza di Yalta, del 4-11 febbraio 1945, aveva diviso il mondo sulla base di zone di influenza fra le tre grandi potenze vincitrici (Usa, Unione Sovietica e Gran Bretagna), che divennero poi effettive durante il periodo della guerra fredda. In realtà gli Usa, sotto il profilo militare, economico e politico, furono anche nel lungo periodo i veri vincitori della guerra. Il territorio nazionale, a parte l’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, non fu mai toccato dal conflitto e non conobbe la crisi economica come altre parti del mondo, anzi l’industria degli armamenti sviluppò settori importanti del campo siderurgico ecc.
Ricordiamo, inoltre, che molti Stati europei, grandi o piccoli, che parteciparono alla guerra erano a quel tempo «Stati coloniali», che possedevano o controllavano, in Asia o in Africa, grandi estensioni di territorio, da cui traevano le materie prime, necessarie per lo sviluppo economico[1]. Anche gli Usa in quel periodo possedevano ufficialmente una loro colonia, le Filippine, che avevano conquistato nella guerra contro la Spagna nel 1898, anche se il presidente William McKinley disse in diverse occasioni che gli Usa non sapevano che farsene: per un Paese costituito da un insieme di Stati, essa era considerata più un impaccio che un guadagno.
Questo indica la distanza tra gli Usa e gli Stati europei, come quello britannico, da cui i primi hanno ereditato la vocazione oceanica, sostanzialmente coloniale. Ma Londra non ha mai ambito «alla redenzione universale, su cui Washington ha poggiato la sua influenza nel mondo»[2], né si proponeva come «la città splendente sulla collina», voluta da Dio, destinata a illuminare e guidare le generazioni future[3]. In ogni caso, gli inglesi non disponevano dello strapotere militare ed economico e, ancor meno, del soft power di cui gli Usa hanno goduto nell’ultimo secolo.
Prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, su influsso della politica e della cultura europea, non era ancora esclusa l’ipotesi che gli Usa intraprendessero, come gli altri grandi Paesi, una qualche forma di espansione territoriale. Nel 1940 il vicesegretario di Stato americano, Adolf Berle, predisse apertamente che la guerra avrebbe trasformato gli Usa in «una potenza imperiale, la più grande che il mondo avesse mai conosciuto»[4]. Oggi
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