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Cultura e società

MELANCHOLIA

Virgilio Fantuzzi

7 Gennaio 2012

Quaderno 3877

Melancholia (Danimarca, 2011). Regista: LARS VON TRIER. Interpreti principali: K. Dunst, Ch. Gainsbourg, K. Sutherland, A. Skarsgard, C. Rampling, J. Hurt, J. Christensen.


Allontanato dal festival di Cannes 2011 come persona non grata a motivo di alcune frasi inopportune sul conto di Hitler pronunciate nel corso della conferenza stampa per la presentazione del film Melancholia, il regista danese Lars von Trier ha evitato con questa gaffe di entrare in competizione diretta con il collega americano Terrence Malick, autore di The Tree of Life (cfr Civ. Catt. 2011 IV 49-62), per la conquista della Palma d’oro. I due film, presenti in concorso, hanno diversi elementi in comune, come, ad esempio, la forza immaginativa degli autori, che li spinge entrambi a confrontare dettagli minimi della vita quotidiana con il roteare dei pianeti e delle galassie negli spazi infiniti.
Assonanze e dissonanze si ripercuotono tra macrocosmo e microcosmo alla ricerca di segrete corrispondenze… Ma, mentre il film di Malick, che evoca la Genesi, è intriso di cristianesimo e di spiritualismo, quello di Trier, proteso verso l’Apocalisse, ostenta un atteggiamento disincantato, venato di ateismo e di nichilismo. Il secondo, insomma, ha in sé gli elementi che possono attirare la simpatia di tutti coloro che non hanno visto di buon occhio l’assegnazione al primo del massimo riconoscimento.
Melancholia inizia con un prologo nel quale, con immagini spettacolari riprese al ralenti ed elaborate con tecnica digitale, viene annunciata come in una profezia la fine catastrofica della vicenda. La terra sta per entrare in collisione con un pianeta dieci volte più grande di lei. Le due ore di durata del film non sono che l’attesa di questa fine annunciata, che sarà una fine definitiva per tutti, perché non c’è nessun’altra forma di vita fuori dalla terra. Questa attesa si divide in due parti contrassegnate dal nome delle due protagoniste, due sorelle: Justine (Kirsten Dunst, Palma d’oro come migliore attrice, magra consolazione per chi si aspettava di più) e Claire (Charlotte Gainsbourg).
Le due parti del film si oppongono reciprocamente come il pieno e il vuoto. In un castello svedese di smagliante bellezza, sia come edificio, sia per il paesaggio che lo circonda, si svolge nella prima parte uno sfarzoso ricevimento di nozze. Justine e Michael (Alexander Skarsgard), dopo il matrimonio in chiesa, raggiungono gli invitati con due ore di ritardo. Il programma del ricevimento, che è costato un fiume di denaro, è stato predisposto con sagacia e viene gestito con energia dall’efficientissima Claire. Ma i contrattempi, che si susseguono a catena, non fanno che prolungare l’attesa della catastrofe di cui si parlava, catastrofe planetaria che va di pari passo con quella personale, familiare, culturale ecc., unica realtà che si nasconde dietro gli orpelli di un rito sociale nel quale nessuno crede. Il matrimonio fallisce prima che i festeggiamenti abbiano termine.
Passiamo alla seconda parte. Spariti gli invitati della festa, che riempivano il castello in ogni anfratto, il cast si riduce a pochi personaggi: oltre alle due sorelle, è presente John (Keifer Sutherland), marito di Claire, di professione astrofisico, e il loro figlioletto. Si precisa meglio il rapporto tra le due donne. Justine, la sorella minore, soffre per una forte depressione. Ciò spiega il suo strano comportamento durante il ricevimento di nozze. Claire assume nei suoi confronti un atteggiamento materno. Cerca di sostenerla per quanto può.
Nella seconda parte, terminata la baldoria con tutti i suoi contrattempi, non resta che aspettare l’inevitabile collisione tra la terra e il pianeta, di nome Melancholia, che sta per stringerla in un abbraccio mortale. Questa volta è Claire, la sorella maggiore, a entrare in crisi. In fondo, Justine, che non è legata a nessuno, non ha nulla da perdere. Claire invece ha un marito, un figlio… John è uno di quegli uomini, innamorati della scienza, che pensano di poter dare una spiegazione logica ad ogni fenomeno. Questa volta vuole spiegare perché il pianeta non colpirà la terra. Per tutto il film rassicura la moglie. Ma a un certo punto smette di farlo e allora lei si sente perduta.
Il film nasce dall’esperienza personale del regista, che ha attraversato lunghi periodi di depressione. «La “melancolia” — egli dice — è l’aspetto positivo della depressione». È il sentimento dolceamaro che rende sopportabile la sofferenza. Tante opere d’arte sono nate da questo stato d’animo contrassegnato da una fondamentale ambiguità. Il romanticismo vi si è immerso a fondo, e Lars von Trier, assecondato da Kirsten Dunst sua complice perfetta, vi attinge a piene mani. Basta pensare all’uso che il regista fa dello struggente preludio dell’opera Tristano e Isotta di Wagner, o alle incursioni nel dominio della pittura: dal realismo de I cacciatori sulla neve di Bruegel al simbolismo de L’isola dei morti di Böklin, fino agli estenuanti languori del preraffaellita Millais, con la sua Ofelia che galleggia sull’acqua stringendo al petto un mazzolino di mughetti.

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MELANCHOLIA

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


7 Gennaio 2012

Quaderno 3877

  • pag. 105
  • Anno 2012
  • Volume I

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Cinema

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