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Chiesa e spiritualità Pontificato

«Magnum Principium» e l’inculturazione liturgica nel solco del Concilio

Cesare Giraudo

18 Novembre 2017

Quaderno 4018

foto: Pufui Pc Pifpef

ABSTRACT – È davvero un «grande principio» quello che la costituzione Sacrosanctum Concilium ha proclamato nell’articolo 36, riconoscendo alle singole assemblee liturgiche il diritto di colloquiare con Dio nella propria lingua. Il problema era già stato affrontato, e risolto con successo, a metà del secolo IX, dai santi Cirillo e Metodio, i quali elencavano la lingua liturgica tra i beni di cui nessuno può essere privato.

In Italia, il primo che osò mettere nelle mani del popolo cristiano la traduzione di tutte le preghiere della Messa, compreso il canone, fu Lodovico Antonio Muratori nel suo libretto Della regolata divozione de’ Cristiani, edito nel 1747. Tuttavia bisogna riconoscere che, dal mettere in mano al popolo il testo della Messa nelle lingue popolari all’effettiva adozione di tali lingue per la celebrazione, c’era ancora di mezzo un abisso. Colmando tale abisso, il concilio Vaticano II con la Costituzione liturgica ha risposto positivamente alla lunga attesa. Diciamo subito che a livello di recezione, già dai primi anni, è intervenuta una leggerezza di comportamenti che non di rado ha oscurato la bontà del proposito conciliare.

Ora, con il Motu Proprio Magnum Principium papa Francesco, preoccupato di ridefinire i rapporti tra la Sede apostolica e le Conferenze episcopali in una materia particolarmente delicata e sentita, ha restituito a queste «il diritto e il compito» (ius et munus) sulla traduzione dei libri liturgici. Per fare ciò ha dovuto riallineare il canone 838 del codice di diritto canonico, e altri documenti complementari, con la normativa conciliare.

D’altronde, chi meglio delle Conferenze episcopali, a ognuna delle quali fa capo lo stuolo di esperti che hanno elaborato le traduzioni, può giudicare la conformità delle stesse ai testi originali? Del resto, ogni traduzione è già per se stessa una interpretazione. La traduzione pura, asettica, non esiste. Chi ne pretende la possibilità finirà presto o tardi per scontrarsi con formulazioni che non traducono, ma tradiscono l’originale.

Dopo la promulgazione del Motu Proprio, accompagnato da una nota e da un commento esplicativo, è comparsa su alcuni organi di stampa una lettera intitolata Humble contribution pour une meilleure et juste compréhension du Motu Proprio «Magnum Principium», che il cardinale Robert Sarah aveva indirizzato al Pontefice, nella quale si finisce per ricondurre la nuova prassi alla situazione precedentemente conosciuta. Dinanzi a questa interpretazione erronea, il Pontefice si è visto costretto a intervenire nello stesso modo, ossia pubblicamente. Chiariti dunque i cambiamenti, a beneficiare del provvedimento sulle traduzioni sarà sicuramente l’inculturazione liturgica, destinata ad apportare linfa sempre nuova al patrimonio della Chiesa in preghiera.

********

«MAGNUM PRINCIPIUM» AND LITURGICAL INCULTURATION ON THE PATH OF THE COUNCIL

With Motu Proprio Magnum Principium Pope Francis, who is concerned with redefining the relations between the Apostolic See and the Bishops’ Conferences on this particularly delicate and close felt subject, has returned to the Conferences “the right and the task” (ius et munus) the translation of liturgical books. In doing so, the pope had to align canon 838 law, and other complementary documents, with conciliar legislation. To benefit from this new measure regarding translation will surely be liturgical inculturation, destined to bring ever new lymph to the patrimony of the Church in prayer.

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«Magnum Principium» e l’inculturazione liturgica nel solco del Concilio

Cesare Giraudo

Docente emerito di Liturgia e di Teologia nell’Istituto Orientale di Roma e membro ordinario della Pontificia Accademia di Teologia.


18 Novembre 2017

Quaderno 4018

  • pag. 311 - 324
  • Anno 2017
  • Volume IV

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Si parla di:

Concilio Vaticano II Francesco Inculturazione Linguistica Liturgia Magistero Sacrosantum Concilium

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