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L’arte non è «per l’arte»
Dall’8 maggio al prossimo 18 settembre, in edicola ogni settimana con il Corriere della Sera apparirà un volume della collana “La Biblioteca di Papa Francesco”, realizzata in collaborazione con La Civiltà Cattolica. Leggendo l’intervista rilasciata alla nostra rivista e pubblicata il 19 settembre scorso(1), si comprende come Bergoglio sia una persona che vive l’arte e l’espressione creativa come una dimensione che fa parte integrante della sua spiritualità e della sua pastorale. È accaduto varie volte di ascoltare una citazione di passaggio, posta lì senza premesse né spiegazioni «colte». Ad esempio, la citazione del Divino impaziente di José María Pemán durante la sua omelia ai gesuiti per la festa di sant’Ignazio nella chiesa del Gesù di Roma, il 31 luglio 2013. Così anche il riferimento a Joseph Malègue nella nostra intervista, per parlare della «classe media della santità». Per Bergoglio l’arte è vita e discorso sulla vita. L’arte non è «per l’arte», non è un mondo a parte, colto, dotto, aulico, sostanzialmente «borghese». La sua visione radicalmente «popolare» tocca anche la produzione artistica e la sua fruizione. Il Papa è molto sensibile al «genio» e alla «creatività», che per lui non sono eccezioni, ma dimensioni della vita ordinaria affrontata con energia e intensità.
Seguendo nell’intervista i nomi dei suoi scrittori preferiti, e così degli artisti, registi, musicisti e direttori d’orchestra, si è formato non un elenco di puro gusto estetico, ma un vero e proprio territorio di esperienza umana. Le sue letture sono legate a visioni della realtà, alla sua stessa comprensione del mondo, che poi ha generato anche uno stile pastorale e una comprensione della missione della Chiesa.
La dinamica popolare dell’estetica bergogliana
«Io amo gli artisti tragici», ha detto il Papa nella nostra intervista. La sua non è pura attrazione per la tragedia intesa come genere letterario, ma è desiderio di entrare dentro la condizione umana anche per la via della rappresentazione estetica. Non è il tragico elitario, raffinato (o che tale diventa) a colpire Bergoglio, ma il tragico «popolare». A tal punto che egli fa sua la definizione di opera «classica» che si ricava da Cervantes: l’opera «classica» è l’opera che tutti in qualche modo possono sentire come propria, non quella di un gruppetto di raffinati intenditori.
La passione per il neorealismo è da inserire in questa visione dell’arte legata al popolo. Così come l’interesse per un’opera che a Bergoglio piace, anche se non si tratta affatto, per sua stessa ammissione, di un capolavoro: il poema epico argentino Martín Fierro. Scritto da José Hernández nel 1872, esso dà forma al desiderio di una società in cui tutti trovano posto: il commerciante porteño, il gaucho del litorale, il pastore del Nord, l’artigiano del Nord-Est, l’aborigeno e l’immigrante, nella misura in cui nessuno di essi desidera avere tutto per sé, espellendo l’altro dalla terra. I suoi accenti nel parlare di Martín Fierro ricordano il romanticismo democratico e popolare di un Walt Whitman, contemporaneo di Hernández, che mette in campo il falegname del Dakota e il minatore della California, il meccanico e il muratore, il battelliere e il calzolaio.
È interessante dunque notare come la dinamica popolare dell’estetica bergogliana sia la stessa della sua visione pastorale ed ecclesiologica. L’arte non è un «laboratorio» di sperimentazione di dinamiche culturali ed espressive: è invece parte del flusso della storia, parte del cammino dell’uomo sulla terra. Semmai è frontiera avanzata, ma non circolo elitario. Gli artisti non sono isolati dagli altri: creare arte e coltivare la bellezza sono patrimonio della comunità, non del singolo.
Ma un uomo come Bergoglio, che ha sempre vissuto una intensissima attività pastorale di contatto e di relazione con molta gente, che ha conosciuto tante situazioni esistenziali, avrebbe dunque avuto bisogno di leggere romanzi e poesia per fare esperienza di umanità?
Viene in mente a questo punto una riflessione apparsa in un vecchio numero de L’Annuario del parroco, fondato dal celebre letterato don Giuseppe De Luca nel 1955(2), in cui si notava che l’affinamento della sensibilità estetica può portare a un impulso nell’arte pastorale, perché la lettura permette di comprendere meglio le vicende umane, le sue altezze e le sue miserie. In realtà lo aveva già scritto Marcel Proust nel primo tomo della sua Recherche: il romanziere «scatena in noi nello spazio di un’ora tutte le possibili gioie e sventure che, nella vita, impiegheremmo anni interi a conoscere in minima parte, e di cui le più intense non ci verrebbero mai rivelate giacché la lentezza con la quale si producono ce ne impedisce la percezione»(3). Insomma: leggendo si fa esperienza concentrata della vita, si conosce meglio e più estensivamente l’animo umano.
In fondo noi, leggendo, diventiamo lebbrosi, ciechi, ricchi epuloni, ma anche facciamo l’esperienza di essere drogati, pirati, amanti sull’orlo della disperazione, omicidi, eroi… Il campo della nostra esperienza si amplia perché «viviamo» cose che altrimenti mai potremmo o vorremmo vivere. Cresce la comprensione dell’uomo e anche la capacità di discernere le mozioni che lo agitano e lo spingono ad agire e a scegliere. Ecco dunque perché Bergoglio ama la letteratura e l’arte: perché amplia la sua capacità di fare esperienza e gli permette di essere più vicino a chi ha effettivamente accanto, di comprenderlo meglio. Ecco perché, come aveva scritto Flannery O’Connor in un suo saggio, «un impoverimento dell’immaginazione significa anche un impoverimento della vita religiosa»(4).
Uno dei gravi problemi della fede, per Bergoglio, consiste nel fatto che non possiamo «immaginare» le verità che crediamo: ci mancano immagini potenti. Questo è uno dei motivi per cui egli ama la «pietà popolare», perché è una riserva aurifera di immagini forti e ben innestate nell’immaginario collettivo di un popolo. È questa capacità immaginifica che, a volte, rischia di essere mortificata dall’austerità del concetto astratto. La letteratura latinoamericana, in generale, potrebbe aiutarci a comprendere meglio il legame tra la pietà popolare e la formazione di un immaginario ricco.
La riprova del legame che lui avverte tra opera d’arte e visione della vita si ha proprio nel momento dell’intervista in cui Bergoglio ha sottolineato con forza che le forme di espressione della verità possono essere varie e discordanti, e che anzi l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso. Per esprimere il concetto, ha preferito non ricorrere a riflessioni sofisticate sul cambio antropologico, ma dire, più semplicemente e direttamente, che una cosa è l’immagine ellenistica di uomo che ha prodotto la Nike di Samotracia, altra è quella che trova la sua forma nelle tele del Caravaggio, e altra ancora è quella del surrealismo di Dalí. Poi, per parlare del pensiero che inganna l’uomo e della necessità che la Chiesa recuperi «genialità» nel comprendere la vita e l’esperienza umana, ha citato Ulisse, Tannhäuser e Parsifal. Dunque la letteratura, la musica, l’arte sono da considerare pienamente «dentro» il discorso sull’uomo, sulla spiritualità, sulla pastorale e la missione della Chiesa.
La letteratura, in particolare, insegna a confrontare la parola con la vita. A questo proposito è utile notare, nell’intervista, il riferimento ai Promessi sposi. Il Papa ha implicitamente citato questo romanzo quando, incontrando i movimenti ecclesiali nella veglia di Pentecoste, ha scritto: «Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita». In particolare qui cita il capitolo che più ama, quello della conversione dell’Innominato, lì dove leggiamo: «La vita è il paragone delle parole». Ecco il punto: la vita è il paragone delle parole.
Perché e come ricostruire la biblioteca di Bergoglio?
Dunque la parola letteraria, la fiction, vive della vita reale sia perché ne è espressione, sia perché l’aiuta a comprendere più profondamente. Questo ha a che fare anche col motivo per cui è nata l’idea de “La Biblioteca di Papa Francesco”. Certamente il suo primo obiettivo è quello di comprendere meglio la visione del Pontefice circa il mondo, la realtà e la persona umana, entrando nel suo immaginario. In ultima analisi, ciò significa indagare meglio che cosa il Signore sta chiedendo oggi alla Chiesa. Ma significa anche comprendere meglio lo spirito del tempo, che riconosce nella sua figura un leader. Dunque, ricostruire la biblioteca di Francesco intende essere un’operazione di valore spirituale e culturale.
Il primo passo nella scelta dei volumi da pubblicare ha coinciso con la mia intervista, con il colloquio diretto con Papa Francesco nel quale sono emerse alcune letture importanti. Il secondo passaggio è maturato nel confronto con vari scritti di Bergoglio nei quali fa riferimento ad autori significativi. Il terzo passaggio è stato reso possibile dal colloquio diretto con persone che negli anni lo hanno conosciuto bene: alunni, confratelli gesuiti, amici; ma anche dalla lettura di scritti su di lui che qua e là hanno fatto riferimento a opere letterarie a lui care. Dunque ho cercato di ricostruire una mappa sulla base di testimonianze scritte e orali.
In un paio di occasioni però ho avuto anche occasione di poter continuare il discorso con lo stesso Pontefice, dialogando su questa o quell’opera, a volte persino chiedendogli se esse avevano avuto davvero una certa importanza nella sua formazione. Questo confronto diretto, una sorta di scambio sulle preferenze personali, ha avuto importanza anche sulla scelta di opere di autori per lui significativi. Un esempio: Dostoevskij. Sapevo che il grande romanziere russo era tra i più amati da Bergoglio, ma quale opera in particolare? I fratelli Karamazov? Era quella che avevo segnato. Papa Francesco mi ha corretto: Memorie del sottosuolo. Ovviamente mi si è aperto un mondo di riflessioni, e così spero accada al lettore.
La scoperta di un territorio dell’anima
Scorrendo l’elenco delle venti opere che appariranno nella collana è possibile riconoscere i tratti fondamentali del pontificato di Bergoglio, oltre che avvertire le vibrazioni della sua sensibilità personale. E sarà anche l’occasione per scoprire opere di grande valore dimenticate o leggerle per la prima volta o anche rileggere con un’ottica differente opere ben note.
Intrecciando la lettura di Hernández, Malègue, Dostoevskij e Manzoni, si avvertirà qual è l’umanità che Bergoglio ha nel cuore. Si estende come dentro un quadrato. Si parte dalla schietta dimensione popolare di Renzo e Lucia, fino all’umanità gaucha dei personaggi dell’epopea di Martín Fierro; si prosegue a partire da les classes moyennes de la sainteté — quelle della gente modesta, semplice, umile, sconosciuta, ma con un forte senso della bontà e della misericordia di Dio che troviamo nelle pagine di Malègue — fino alla brutalità della vita sociale dell’antieroe dostoevskijano, uomo del «sottosuolo», condizione che respinge sempre più la persona nell’oscurità, che rimane, pur sempre, una vita interiore dal significato cupamente spirituale. Ma soprattutto il fatto che per Bergoglio, come per Dostoevskij in questo romanzo, non è detto che «due-per-due-quattro», ma potrebbe essere anche «due-per-due-cinque». «L’uomo — si legge infatti nel romanzo — ha una tale passione per il sistema e per la deduzione logica che è disposto ad alterare consapevolmente la verità, a non vedere il vedibile, a non udire l’udibile pur di legittimare la propria logica». Per Bergoglio, lo sappiamo, la realtà viene sempre prima dell’idea, e la complessità del poliedro è superiore alle equidistanze della sfera.
Collegando tra loro la lettura dell’Autobiografia e degli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio al Memoriale di Pietro Favre, si coglieranno le coordinate spirituali profonde di Bergoglio e il significato della parola chiave e centrale del suo pontificato: il «discernimento».
Se poi a queste letture si accostano le poesie del gesuita Gerard Manley Hopkins e il romanzo Tardi ti ho amato di Ethel Mannin, scrittrice originale, anarchica e insieme capace di capire che cosa sia la conversione, si comprenderà meglio l’anima del Pontefice, così piena di affetto, di capacità di legame, e anche attenta alla singolarità (l’ecceitas, tanto cara a Hopkins) di ogni situazione, di ogni volto, di ogni realtà. Ma soprattutto, come si legge nel romanzo, si capirà che quella dei gesuiti è «la via migliore per avvicinarsi allo spirito di Agostino nel mondo moderno». Si capirà inoltre la radice della passione bergogliana per le «opposizioni polari» della vita di cui ci parla Guardini, vera radice speculativa del pensiero del Papa.
Fa da contraltare alla passione per la «gloria» e la bellezza del concreto, la distopia de Il Signore del mondo di Robert Hugh Benson, nella quale appaiono i frutti della menzogna di un ideale astrattamente umanitario. In questo romanzo si percepisce qual è per Bergoglio la vera grande tentazione per l’uomo contemporaneo. È da leggere in direzione antinichilista la passione per Hölderlin (che invece oggi spesso è letto nichilisticamente a causa di Heidegger). L’esperienza del poeta tedesco è radicale, tesa verso l’assoluto e, nello stesso tempo, sospesa sull’abisso. Bergoglio riconosce nei suoi versi la condizione di confine tra rischio e salvezza che anima la sua visione drammatica della vita.
Ed è questa direzione di trascendenza che troviamo nel Megafón di Leopoldo Marechal, permeato del simbolismo della guerra. Per l’autore, un classico della letteratura argentina, l’esistenza umana è una immagine barocca del theatrum mundi per cui la vera realtà è al di là di tutte le illusioni e le farse. Marechal scova e stana il ridicolo delle apparenze e delle forme del «sistema». Del resto, Papa Francesco, parlando alla comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica il 6 giugno 2013, ha affermato che quando ci si lascia coinvolgere nelle tante forme e nelle tante maniere di mondanità spirituale, allora ci si rende ridicoli.
Leggendo i Sermoni scelti di Agostino insieme alle Meditazioni sulla Chiesa di de Lubac, si capirà qual è la visione ecclesiale di Francesco e qual è la figura ideale di «pastore» del gregge.
Il senso della «missione» è rivelato dall’Eneide, molto amata da Bergoglio, insieme a Il divino impaziente di Pemán. Se lette insieme, queste due opere creeranno una combinazione virtuosa delle figure di Enea e di Francesco Saverio. Si capirà il senso del destino, del compito, forse anche dell’«utopia» non ideologica, che è vivo nel cuore del Papa. Ma anche il rapporto tra periferia e centro, dove è la prima a fondare il secondo.
A queste letture di viaggio è possibile accostare le Poesie piemontesi di Nino Costa, che esprimono l’animo dell’emigrante e la sua religiosità. Francesco conserva nel suo breviario una poesia di Costa dedicata alla Consolata.
L’esperienza creativa
A Borges lo lega soprattutto la gratitudine per una esperienza che Bergoglio visse a 28 anni (il poeta ne aveva 66) connessa alla sua attività di docente di Lettere presso il Liceo del “Colegio de la Inmaculada Concepción”, una antica scuola di gesuiti. «È stata una cosa un po’ rischiosa», ha detto Bergoglio durante l’intervista per La Civiltà Cattolica. «Dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa, e durante le lezioni io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente loro volevano leggere le opere letterarie più “piccanti”, contemporanee come La casada infiel, o classiche come La Celestina di Fernando de Rojas. Ma, leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e passavano ad altri autori. E per me è stata una grande esperienza. Ho completato il programma, ma in maniera destrutturata, cioè non ordinata secondo ciò che era previsto, ma secondo un ordine che veniva naturale nella lettura degli autori. E questa modalità mi si confaceva molto: non amavo fare una programmazione rigida, ma semmai sapere dove arrivare più o meno. Allora ho cominciato anche a farli scrivere. Alla fine ho deciso di far leggere a Borges due racconti scritti dai miei ragazzi. Conoscevo la sua segretaria, che era stata la mia professoressa di pianoforte. A Borges piacquero moltissimo. E allora lui propose di scrivere l’introduzione a una raccolta».
Questa esperienza creativa ha un ruolo molto importante nella vita di Bergoglio. Per questo non può mancare nella “Biblioteca di Papa Francesco” il volume dei «racconti originali» che ne sono nati con la prefazione di Borges. Bergoglio, del resto, è stato attento lettore delle storie dei suoi alunni, e da queste ha imparato a dialogare con la visione del mondo dei più giovani facendo anche attento discernimento spirituale. Un esempio inedito: Jorge Cibils, oggi musicista in Germania e allora alunno di Bergoglio, conserva il commento del professore di allora a una sua esercitazione su La hora undécima della scrittrice María Esther de Miguel. L’alunno ritiene che il messaggio finale dell’opera sia che la negazione di sé e la mortificazione portino a Dio. Bergoglio commenta elogiando il lavoro fatto dallo studente, ma propone un cambiamento nella formulazione del messaggio finale, che gli sembra troppo negativo perché, scrive, «la dedizione è frutto dell’amore», non della mortificazione. E conclude tra parentesi con un messaggio personale per José: «Chiaro che stai attraversando un periodo di negatività». L’esposizione all’esperienza creativa o il suo esercizio generano una dinamica che coinvolge psicologicamente e spiritualmente la persona.
Sapere significa anche gustare
E allora infine ecco una domanda: come leggere i libri de “La Biblioteca di Francesco”?
Innanzitutto il lettore si troverà guidato da prefatori che, per la quasi totalità, conoscono non solo l’opera, ma anche direttamente Jorge Mario Bergoglio. Le loro prefazioni hanno anche il tono della testimonianza, dunque, capace di avviare il lettore a comprendere il motivo per cui quel libro ha contribuito a formare la «visione» di Papa Francesco. Ovviamente si tratta di tentativi di comprensione, ma spesso sono fondati su dialoghi o addirittura lezioni ascoltate dall’attuale Pontefice molti anni fa.
Dopo le prefazioni, il lettore si troverà ad affrontare direttamente il testo. Come farlo in modo da essere fedeli anche in questo alla lezione bergogliana? Nella nostra intervista, il Papa, dopo aver parlato della sua passione per il Mozart eseguito da Clara Haskil, ha aggiunto: «Mi riempie: non posso pensarlo, devo sentirlo». In queste poche parole c’è tutta una concezione della fruizione estetica, che distingue «sentire» e «pensare». Un artista si gusta se è «sentito», non se è «pensato». Non che la prima cosa escluda la seconda. Però è possibile che il sentire sia talmente forte, ricco e coinvolgente, da superare immensamente la sua analisi teorica. Aveva scritto Bergoglio nel 2005: «La sapienza non si ferma alla conoscenza. Sapere significa anche gustare. Si sanno le conoscenze… E si sanno anche i sapori».
Occorre comprendere che dietro questa sorta di abbozzo di estetica bergogliana c’è un passaggio degli Esercizi spirituali ignaziani nel quale, proprio all’inizio, si dice che «non è il molto sapere che sazia e appaga l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente (no el mucho saber harta y satisface al ánima, mas el sentir y gustar de las cosas internamente)» (Es. Sp. 2). E per Bergoglio, come per sant’Ignazio, il «sentire», in un modo o nell’altro, ha sempre a che fare con la manifestazione di Dio nell’anima e nella vita di una persona. Ecco un altro buon motivo per leggere i libri cari a Papa Francesco.
1 A. Spadaro, «Intervista a Papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477. Poi in volume, in edizione estesa e commentata, Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Milano, Rizzoli, 2014.
2 G. Badini, «Il posto di Cristo è veramente tra i poeti», in L’Annuario del parroco. Testi e documenti di vita sacerdotale e di arte pastorale 16 (1970).
3 M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto. I. La strada di Swann, Milano, Mondadori, 1983, 104 s.
4 F. O’Connor, «Il romanziere cattolico nel Sud protestante», in Id., Nel territorio del diavolo. Sul mestiere di servire, Roma, minimum fax, 2010, 101.