Alla ricerca della bellezza perduta
Gli studi sull’estetica contemporanea sono concordi nel rilevare lo smarrimento della bellezza come segno di una crisi di civiltà. Basterebbe dare anche una rapida occhiata alle pubblicazioni più diverse in proposito per trarre una medesima conclusione: la bellezza ci ha abbandonato.
«Vogliamo dirla tutta sin da subito? E cominciare dalla fine? La bellezza per lo più nel Novecento non c’è. Questo secolo ne sperimenta sino in fondo l’assenza. Più che con personaggi in carne e ossa, abbiamo a che fare con una ghost-story, ove il fantasma della bellezza incombe insistente»[1].
«La pittura, alla fine di questo nostro secolo, va male. Per chi ama la patria dei quadri, presto non resterà che il recinto dei musei, come per chi ama la natura non restano ormai che le riserve, per coltivare la nostalgia di ciò che non c’è più»[2].
«L’impulso dell’arte moderna consisteva in questo desiderio di distruggere il bello»[3].
«Oggi, nel ricco e mai sazio Occidente, la massa ha accesso a una sovrabbondanza di beni di consumo quotidiano, a una quantità senza precedenti di beni strumentali e a una quantità praticamente inesauribile di svaghi. Ma non ha quasi più accesso alla bellezza. Se hanno un senso le nostre considerazioni sul bisogno umano di sinergia tra etica ed estetica, diventa necessario domandarsi: la moderna inaccessibilità della bellezza non può essere fra i responsabili della diffusa indifferenza verso la giustizia?»[4].
«Il Novecento ha bandito la bellezza dalla sua arte e l’ha ignorata come problema filosofico. Questo secolo, ricco di speranze tecnologiche e di utopie ideologiche, si è affannato a dare alla bellezza il volto della morte, senza concederle neppure la dignità della morte: un teschio senza segni, anonimo, oramai senza dolore»[5].
La crisi della bellezza come crisi epocale
La crisi dell’arte evidenzia la crisi culturale dell’epoca presente, caratterizzata da un’incapacità fondamentale, quella di rappresentare l’ideale, arrendendosi così alle sue derive.
Se la bellezza parla di un ordine e di un’armonia legati a una rilevazione di senso che attrae[6], lo smarrimento culturale moderno si traduce in pesantezza del vivere – «il male di vivere», come direbbe Montale – e nell’incapacità di apprezzarne la possibile bellezza.
La presenza sempre più invadente del brutto, come vedremo, è la constatazione di un posto vuoto, di un’assenza: il bello se ne è andato, ma non senza lasciare, come ultimo segno di sé, la presenza della sua assenza. Ciò era stato intuito
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