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Nel 2020 la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (30 novembre – 12 dicembre 2015) verrà ricordata come un successo o un fallimento, perché ogni nazione ne è uscita con la responsabilità di assumersi davvero i propri impegni[1]. Oltre 110 Paesi hanno sottoscritto i cosiddetti Nationally Determined Contributions («Contributi programmati e definiti a livello nazionale» [NDCs])[2]. L’anno 2015 è stato contrassegnato anche dal lancio, avvenuto a New York, dei Sustainable Development Goals («Obiettivi di sviluppo sostenibile» [SDGs]) [3]. Non è stata certo secondaria, rispetto a questi eventi, l’enciclica di papa Francesco Laudato si’, che si rivolge all’intera umanità[4]. Inoltre, si potrebbero menzionare i disastri accaduti negli anni, connessi con i cambiamenti climatici[5], e alcuni record climatici raggiunti[6].
Man mano che cresce la conoscenza scientifica e si rafforza un dialogo sociale sui bisogni, cambia anche il nostro modo di pensare. Ora, mentre il mondo si concentra sui problemi, un intreccio crescente di valori umani viene a interpellare il nostro stile di vita. Le persone e le istituzioni stanno riflettendo su dove far rientrare i valori fondamentali quando ci chiediamo il perché e il come facciamo scienza, e su ciò che comunichiamo e insegniamo.
La sfida
Alcuni scienziati cercano di risolvere problemi significativi per l’essere umano, altri inseguono la trasparenza degli investimenti e della produzione scientifica delle aziende, e gli studenti si trovano a scegliere tra un numero crescente di corsi scientifici integrativi. Tutto questo rientra nella speranza di una società globale che si preoccupi degli altri, della terra e dei mari, sebbene a tutt’oggi non siamo nemmeno in grado di gestire i nostri rifiuti, né sul piano personale né su quello comunitario.
Come sarà il mondo quando ci saranno intere università dedite esclusivamente a trasformare gli SDGs in realtà, coinvolgendo la gente? Che cosa può guidare i nostri processi decisionali verso questo fine? Ecco la sfida. Dati i limiti del nostro pianeta, serviranno tutte le nostre energie per promuovere una scienza umana capace di prendersi cura dell’umanità e del nostro contesto ambientale. Non sappiamo ancora quali aspetti presenterà questa scienza della sostenibilità, ma il percorso per stabilire priorità necessarie sta diventando sempre più chiaro in diverse istituzioni, comunità e società.
Sulla base di interessi locali e regionali, alcuni ricercatori, professionisti e gesuiti si sono incontrati per discutere sulla scienza della sostenibilità, sulla saggezza locale e sulla resilienza ai rischi. Il primo incontro regionale ha riguardato l’Asia Pacifica, ed è avvenuto a Mindanao, nelle Filippine[7]. Sul posto, il gruppo di studiosi si è potuto rendere conto del processo di ripresa dopo i tifoni Washi e Bopha. Ha incontrato agricoltori e comunità indigene delle zone montuose, per valutare l’impatto dei sistemi intensivi monoculturali di mais e zucchero sull’utilizzo del suolo, sul tessuto socio-culturale, e le sfide rivolte ai giovani. Ha parlato con i funzionari locali di ciò che è necessario per la gestione delle risorse territoriali e idriche.
Un secondo incontro ha riguardato l’Asia meridionale: un gruppo si è riunito a Calcutta e si è concentrato sulle esigenze idriche, visitando le comunità delle Sundarbans[8].
Per quanto riguarda la regione Africa-Madagascar, un gruppo, riunito a Nairobi, ha prestato attenzione all’acqua e alla situazione dell’istruzione urbana di base, considerando anche gli altri otto limiti planetari (planetary boundaries) nell’esperienza ambientale locale[9].
Infine, l’ultimo incontro regionale, che si è tenuto in Europa, nell’Università di Namur, ha preso in considerazione le sfide su aspetti filosofici e accademici dell’insegnamento di oggi e la necessità di una trasformazione personale[10].
I relatori di questi quattro incontri regionali stavano già discutendo di «un mondo a rischio» e volevano sentire altre riflessioni su come contribuire a cambiare la situazione. Per questo sono stati invitati a collaborare con lo Stockholm Environmental Institute. Nel novembre del 2015 si è avuto un incontro — «Un appello al dialogo sulla scienza della sostenibilità e sui valori» —, a cui ha partecipato un gruppo di 40 scienziati, educatori e professionisti, e in cui si è cercato di comprendere meglio la necessità di coniugare scienza della sostenibilità e valori[11].
Scienziati, accademici, avvocati, medici, ingegneri e ambientalisti sono consapevoli della sfida interdisciplinare della sostenibilità e della necessità di una più ampia partecipazione sociale, che è troppo grande per ciascuna disciplina o istituto. Per quanto riguarda l’istruzione superiore, negli Stati Uniti c’è già mezzo milione di professori in 5.000 università, e un numero simile c’è in Europa. Questa istruzione è destinata a crescere rapidamente: l’Unesco parla di «massificazione»[12] in Africa e in Asia, mentre i processi di apprendimento devono cambiare radicalmente per soddisfare le esigenze di sostenibilità delle persone.
Come rendere possibile questo processo di incontro delle esigenze umane di sostenibilità con una chiara discussione sui valori e sulle priorità? Dai colloqui regionali sopra citati sono emersi elementi necessari per una trasformazione delle istituzioni e delle persone con la creazione di una scienza della sostenibilità che serva il cambiamento della società e affronti la fonte delle preoccupazioni. Sono stati individuati 9 punti riguardanti le istituzioni e 4 relativi alla trasformazione personale. Li presentiamo qui con alcune riflessioni.
1) Il dialogo a livello sociale è fondamentale per ottenere partecipazione e diversità di idee, e con ciò il riconoscimento della necessità di cambiare. L’instaurarsi dei dibattiti a tutto campo può condurre a una più profonda comprensione della (2) chiarezza delle priorità, dell’uso della conoscenza, e di ciò che deve essere fatto. Il principio di precauzione è fondamentale quando la società discute di rischi che nelle aree marginali sono già una realtà sofferta. Quindi qual è (3) il processo decisionale che prescrive alla società le priorità e le politiche necessarie? Le società hanno bisogno di fissare pubblicamente chiare norme per proteggersi nei casi in cui le aziende multinazionali influiscono pesantemente sulla programmazione economica e sullo sviluppo del Paese; diversamente, lascerebbero campo libero a uno sfruttamento massiccio.
La società civile e le riunioni pubbliche corrono sempre più il rischio di una sospensione per il timore della violenza, ma sono molto necessarie (4) come un elemento di consapevolezza sociale, acquisizione di consenso, (5) sostegno e (6) sviluppo di altri punti di leadership. In che modo la società può sostenere un maggiore (7) impegno sociale globale in un mondo globalizzato dagli accordi economici e dagli affari dei social media e delle comunicazioni? (8) L’esperienza dell’ambiente e il suo impatto sulle persone e sugli ecosistemi, e (9) l’opzione per i poveri devono intervenire prima che si giunga agli accordi conclusivi.
Sebbene parliamo delle nostre istituzioni e professioni in modo professionale e scientifico, noi siamo anzitutto esseri umani, e i nostri atteggiamenti e le nostre scelte personali sono importanti. Tutti siamo chiamati a cambiare — e, a detta di molti, radicalmente —, per rispondere alle sfide globali di oggi. Quanto più vogliamo trasformare la società e gli altri, tanto più il vero cambiamento inizia da noi stessi. Gli elementi di un tale processo comprendono (1) un cambiamento nel modo di pensare, (2) un maggiore approfondimento e comprensione di tutti gli aspetti della globalizzazione, il riconoscere (3) lo spirito umano e il valore della spiritualità in una vita impegnata, e (4) il dedicarsi a un contesto che promuova speranza.
Nel dialogo avvenuto, nel novembre 2015, allo Stockholm Environmental Institute sulla scienza della sostenibilità e sui valori, il dibattito principale ha toccato molti di questi punti.
Dialogo e relativismo
La necessità del dialogo apre un terreno comune perché le persone partecipino in modo democratico, e l’università è un pilastro fondamentale per un tale dialogo nella società. La professoressa Astrid Söderberg Widding, vicecancelliera dell’Università di Stoccolma, insieme ad altri colleghi, ha discusso sul modo in cui l’università promuove il cambiamento come un luogo in cui analizzare e dialogare sul ruolo dei valori nei processi decisionali.
Le scuole svedesi richiedono lo sviluppo sostenibile come un valore fondamentale per l’integrazione in tutte le materie per la generazione presente e per quelle future. La sfida è quella di sviluppare le competenze tra i docenti, e in modo efficace. La Widding si domanda se l’università debba coltivare una simile ambizione, quella di promuovere la sostenibilità in tutte le discipline. L’Università di Stoccolma possiede una certificazione ambientale, e lei dice: «Abbiamo inserito questa materia tra le nostre aspirazioni, ma ci vorrà molto tempo e fatica, sebbene noi abbiamo già sviluppato notevolmente le scienze ambientali».
La legge svedese sull’istruzione superiore impone alle Università di contribuire a uno sviluppo sostenibile. «Questo significa — si chiede la Widding — che, oltre a trasmettere conoscenze scientifiche, abbiamo il dovere di contribuire a creare valori? Dato che i valori sono creati in base al modo in cui percepiamo il mondo, la conoscenza scientifica è di estrema importanza». Il punto cruciale della sfida per ogni università è comprendere il proprio ruolo nell’educazione ai valori all’interno delle culture e della società che rappresenta, e comunicarli. Anche i valori della natura e le conseguenze di uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali devono essere trasmessi attraverso la scienza. La professoressa sostiene che «il paradosso dell’ideale dell’università è formare individui liberi e un pensiero critico, mentre si comunicano e si trasmettono certi valori e norme».
Va segnalata anche la tensione ideologica riguardo al concetto di sostenibilità. Ci sono alcuni che «sostengono soluzioni interne al sistema, i tecno-ottimisti, e altri che invocano la necessità di un cambio di paradigma e di un cambio nelle nostre abitudini e stili di vita». Il valore della natura può anche essere oggetto di discussione «tra coloro che assumono una posizione antropocentrica e prendono i bisogni e i valori umani come loro punto di partenza, e coloro che invece affermano i valori propri della natura».
La Widding parla di tre modi di vedere l’istruzione superiore: «Si potrebbe considerarla basata sui fatti, con l’ambizione di trasmettere i fatti come il proprio obiettivo finale, e in questo caso le questioni ambientali vengono viste come un problema di conoscenza, e noi dovremmo lottare per raggiungere una base comune di conoscenza. Il secondo modo è quello normativo, e in questo caso le questioni ambientali sono questioni di atteggiamenti e di stile di vita, e l’istruzione superiore dovrebbe contribuire attivamente ad adeguare il mondo e le norme che si possono dedurre dai fatti scientifici. Il terzo modo è pluralistico: «In questo caso le questioni ambientali vengono viste come problemi politici, in parte basati su conflitti tra differenti valori, opinioni e interessi. Gli studenti dovrebbero imparare a riflettere criticamente sulla base dei fatti e dei valori».
È molto significativo che la Widding si chieda: «Quando si consente il conflitto sulle opinioni e sui valori, c’è il rischio del relativismo?». Lei spera di no, perché dice: «Io credo infatti che quando agli individui è consentito di usare la loro capacità intellettuale per costruire e sviluppare argomenti, la posizione che essi assumono alla fine diventa meglio fondata e sfumata. Credo che sarebbe opportuno sviluppare maggiori processi decisionali per far capire davvero agli studenti come la conoscenza scientifica possa costituire la base ed essere inclusa nei processi decisionali della società».
Serietà e processo decisionale
Sverker Sörlin, docente di Storia ambientale nel KTH Royal Institute of Technology, ha affrontato il problema dell’uso delle conoscenze e del processo decisionale. Aveva appena partecipato all’incontro della History of Science Society of America, a San Francisco, dove aveva trovato una delle rare occasioni della sua vita per intrattenere discussioni di questo tipo. Perché quella è stata un’esperienza così positiva? «Credo che il valore di quella conversazione fosse dovuto al fatto che le persone che hanno parlato erano sincere». Non è stato un avvenimento puramente accademico: i professori hanno condiviso le loro esperienze e il loro modo di affrontare problemi reali attraverso le loro competenze. Per esempio, le persone che vengono danneggiate da pratiche di aziende farmaceutiche hanno bisogno della consulenza di esperti al momento di presentare il loro caso in tribunale, ma quando i professori esprimono il loro parere competente, ci sono interessi politici che influiscono sulla loro carriera universitaria.
Afferma Sörlin: «Abbiamo bisogno di essere quanto più possibile onesti e seri quando parliamo del nostro impegno per la sostenibilità e i cambiamenti climatici. Sono pienamente d’accordo sul fatto che sia una questione di valori e di rapporto tra conoscenze e valori. Quale che sia la disciplina di cui ci occupiamo, è in ballo la nostra conoscenza!». Sörlin parla di John Henry Newman come di un punto di riferimento imprescindibile nel campo dell’istruzione superiore, e del compito di formare la persona umana: «Il problema, per quanto riguarda gli esperti, è se essi pensino a se stessi come a esseri umani in primo, in secondo o in terzo luogo. Quando ci si considera in primo luogo esperti, si possono commettere le più orribili crudeltà. Josef Mengele era il medico di Auschwitz, un esperto ma non un essere umano, quando ha condotto esperimenti in quel luogo. Nel campo dell’istruzione superiore e della scienza abbiamo a che fare con cose molto pericolose, e dobbiamo trattarle con grande responsabilità».
Riflettendo sulla storia recente della scienza, Sörlin sostiene che dopo la Seconda Guerra Mondiale la maggior parte delle società ha avuto una visione ristretta, in cui la scienza veniva messa principalmente al servizio di scopi militari, e secondariamente di quelli industriali. «Ricordate — dice — gli anni Novanta, quando la parola d’ordine per la politica della ricerca era la competitività? Certamente in questo quadro erano compresi anche lo sviluppo e molti altri obiettivi, ma lo sviluppo sostenibile veniva sottomesso a quei concetti generali». «Sembrava che ciascuno dovesse essere d’accordo che la crescita economica e la competitività erano buone idee. Ma questi sono valori molto primitivi. Alcuni guardano a crescite graduali, e sperano per il meglio. Noi non dobbiamo rinunciare a questi valori primari e, se potessimo ampliarli per includere la sostenibilità, sarebbe una buona cosa. E questo comporta la fedeltà alla trasformazione».
Sulla libera scelta, egli dice: «Non nego che essa debba essere offerta agli studenti, ma qual è il risultato? La formazione aziendale è cresciuta al massimo, e in ciò non c’è niente di intrinsecamente sbagliato. Ma non ci si è preoccupati abbastanza delle nostre priorità; esse non sono state considerate attentamente per risolvere i tipi di problemi che affrontiamo. Quale genere di priorità può stabilire la società sin dall’inizio, quando si assume la sua necessaria responsabilità?». «Possiamo forse accettare che sia un regime di politica della ricerca a formulare certe priorità sin dall’inizio e a dirigere le cose che noi facciamo in un modo migliore?».
Il linguaggio dell’Unione Europea sta affrontando alcune di queste sfide sociali, che, assieme alle misure più severe per gli SDGs, possono influire sulle iniziative sociali e sull’istruzione superiore, dando forma alle priorità necessarie. «C’è la missione — dice Sörlin — di insegnare valori, e di riflettere su di essi; di insegnare i fatti e di cogliere fatti e valori, e di riflettere su di essi. Ma abbiamo bisogno anche di tempo per fare la ricerca. Questo lavoro di base, dunque, non è responsabile? Sì, credo che possiamo rendere tale lavoro molto responsabile».
Le tensioni sui valori non scompaiono, ed è necessario discuterne più ampiamente e dettare l’agenda della sostenibilità. Sörlin è ottimista e sottolinea la necessità di essere convinti: «Dobbiamo esprimere le nostre convinzioni; ci sono alcune cose che non si possono basare sulla scienza».
Educazione e impegno sociale globale
Il gesuita p. Michael J. Garanzini è Segretario per l’istruzione superiore della Compagnia di Gesù ed è stato recentemente nominato Cancelliere della Loyola University di Chicago. Egli parla del lavoro o missione globale dei gesuiti e di come l’intera Compagnia di Gesù debba operare all’unisono. Afferma che l’istruzione deve essere globalizzata. Oggi c’è una tensione tra l’essere completamente locali e inculturati e un’istruzione che non riguardi soltanto questo contesto locale, ma anche la preparazione a un mondo che può diventare un’esperienza minacciosa.
Garanzini dice che «la natura di un’università è che “noi diventiamo” un’università, diventando esperti in un campo». Oggi un’università è chiamata a impegnarsi pienamente in questa scienza collaborativa e «riformatrice», sebbene ciò «vada contro la tendenza naturale del mondo accademico. È molto difficile mettere un membro della facoltà di fronte a una classe per parlare di cose esterne alla sua disciplina, ma deve farlo. Non ha forse egli un parere, un punto di vista? Non scorge che c’è qualcosa di più ampio rispetto alla scienza o etica che studia, e che deve conoscere?». Quando si parla di scienza della sostenibilità e dell’impegno di risolvere i problemi della società, si richiede grande responsabilità e integrità; e si richiede un grande adattamento da parte di tutti i settori, perché siano in grado di avere fiducia e di lavorare insieme.
D’altra parte, che cosa deve fare un’università per difendere un professore che cerca di rispondere a una situazione? Non esiste un adeguato sistema di ricompensa per questo. Se uno si impegna nel sociale, allora si dice che egli diventa un antropologo. Chiede p. Garanzini: «Come possiamo far sì che l’università esca dalla torre d’avorio? È difficile abbatterla dentro o fuori». A suo parere, ciò fa parte della sfida a stare con gli altri che è stata lanciata da papa Francesco.
La Compagnia di Gesù è chiamata a rivedere il modo in cui concepisce i suoi apostolati, le scuole superiori, le università, gli apostolati sociali, e a vederli non come entità separate, ma come un tutt’uno. Insieme essi formano la stessa missione che costituisce un «lavorare» per il mondo, cioè utilizzare la vita intellettuale per aiutare le persone a cambiare i loro cuori. Tutti noi dobbiamo pensare a noi stessi in modo diverso in relazione agli altri apostolati. Abbiamo un’opportunità che non abbiamo sfruttato finora: lavorare all’unisono. Viviamo in un mondo globalizzato, e la sostenibilità è una sfida concreta.
L’ esperienza dell’ambiente
Mentre l’accordo di Parigi procedeva lentamente, c’è stato un momento di sorpresa quando Tony de Brum, ministro degli Esteri delle Isole Marshall, ha chiesto una «coalizione di alta ambizione» (High Ambition Coalition). Se la temperatura crescerà di 2 gradi Celsius, le Marshall e altre isole si troveranno sotto il livello del mare. Per questo egli ha chiesto un fermo riconoscimento del limite di 1,5 gradi, un obiettivo a lungo termine che presuppone la definizione di come decarbonizzare il mondo, e l’aiuto per i Paesi in via di sviluppo. La coalizione comprende più di 100 membri, tra cui l’Unione Europea. In poche parole, la tempestività di un intervento personale può essere un’occasione per la creatività e per l’espressione di un bisogno riconosciuto che dà speranza.
Le popolazioni rurali appartengono a un ambiente che le sostiene poco. Conoscono fin dall’infanzia gli aspetti del territorio e, se sono emarginate o impoverite, vengono colpite più direttamente dai cambiamenti climatici. La loro sensibilità ambientale è essenziale per qualsiasi azione di recupero, di sostenibilità dei servizi ecologici e della biodiversità. Molte comunità passano dalla siccità alle alluvioni, come avviene con il succedersi del Niño e della Niña. Il coinvolgimento nel governo locale e una più profonda comprensione dei processi di governance riguardanti l’inclusione di queste comunità e valori nelle operazioni e nella pianificazione sono di estrema importanza. Queste comunità hanno bisogno di partecipare significativamente all’elaborazione dei processi e di incorporare le esigenze all’interno dei sistemi sociali più ampi; altrimenti, vengono abbandonate alla mancanza di opportunità e al peso dei rischi.
Molte persone sono già convinte che i cambiamenti siano necessari, ma giorno per giorno si devono limitare a quello che possono raggiungere con il loro senso di sobrietà. Le «comunità di pratica»[13] possono ripartirsi un’area comune per l’orticultura, per un piano di «rifiuti zero», o per lavorare quotidianamente o settimanalmente nelle mense per i poveri. Se condividono un insieme comune di valori e vivono ciò in cui credono, esse sono anche meglio motivate a prendere parte a più ampi eventi sociali e a campagne per il cambiamento, perché condividono una speranza più profonda e lungimirante.
Perché cambi il gioco del commercio globale e della geopolitica, deve cambiare la logica commerciale, facendosi più relazionale e impegnata sulla sostenibilità. Il riconoscimento del bene comune come valore fondamentale va rafforzato, riformulando le politiche pubbliche, regolamentando i mercati economici e finanziari e promuovendo posti di lavoro dignitosi[14].
Scienza e tecnologia non possono avere nessun influsso, se manca l’impegno personale, politico ed economico. L’attenzione ai valori aiuta ad assumere un impegno sociale più ampio, quello che oggi è gravemente carente nel guidare iniziative sociali e decisioni politiche necessarie per rimanere nei limiti planetari. La scienza può sostenere più attivamente le trasformazioni sociali. I ricercatori possono documentare approcci efficaci e insegnamenti trasferibili ad altri problemi e contesti[15]. Ne consegue un terreno comune concreto per una migliore comprensione della necessità di integrare scienza della sostenibilità e valori. Occorre promuovere un impegno di collaborazione e la comprensione tra coloro che si dedicano alle scienze ambientali e coloro che lavorano con le comunità locali per sostenere iniziative in materia di gestione delle risorse, di istruzione trasformativa e di uno stile di vita più semplice.
La chiamata
Johan Kuylenstierna, direttore esecutivo dello Stockholm Environment Institute, parla della sfida di essere «capaci di comunicare nozioni scientifiche in modo che siano applicabili». Preoccupazioni locali, che forse non sono le più cruciali a livello mondiale, sono ovviamente collegate al contesto più ampio degli eventi. È questa crescente consapevolezza del globale rapportato al locale e del locale rapportato al globale che deve animare le iniziative relative alla sostenibilità delle persone e del loro ambiente.
La scienza ci mostra già quali sono i limiti del nostro mondo naturale e fisico e quando si superano le soglie di sicurezza. Sperimentiamo questi limiti negli ambienti in cui viviamo, nelle città o nelle comunità rurali, nelle regioni artiche, temperate e tropicali[16]. La scienza, da sola, non offrirà soluzioni; l’obiettivo chiave nel rispondere alla chiamata all’equilibrio ambientale implica che si affrontino insieme i nostri stili di vita, le priorità della società e le disuguaglianze del mondo.
La trasformazione richiede conversione. In primo luogo, la conversione è una disposizione interiore, che ci porta a ricalibrare i nostri valori nell’era dell’antropocene: valori non semplicemente scientifici, ma che sono parte integrante di tutte le diverse componenti umane. Come io voglio vivere davvero? In secondo luogo, la conversione è approfondire una comprensione più critica dei processi di globalizzazione, in modo da rispondere in maniera più adeguata ed efficace nei casi in cui le persone vengano escluse e strumentalizzate ingiustamente. Questo significa che la cooperazione deve prevalere sulla competizione. In terzo luogo, la conversione è il riconoscimento che lo spirito umano è decisivo nell’addestrare la mente scientifica a trascendere l’io con un impegno vitale. Questo è serietà, giustizia e spiritualità: senza di esse è difficile raggiungere l’etica e la responsabilità. In quarto luogo, per coinvolgere i giovani, dobbiamo essere fonti di speranza, non di condanna o di profezie apocalittiche. La paura del futuro ci ricorda la necessità dei giovani di avere un contesto che susciti speranza: senza speranza è difficile spingere le persone a un’azione significativa.
Come possiamo fare, dunque, per sostenere ulteriormente il dialogo e la collaborazione? La partecipazione delle persone interessate è essenziale nel progettare i temi della ricerca, perché la conoscenza che ne deriva è destinata alla comunicazione e alla realizzazione. Ciò richiede un coinvolgimento con le comunità emarginate, per capire quale sia il cambiamento significativo per loro, e come esse lo esprimano attraverso valori culturali e prassi rinnovate. I partecipanti, che provengono da diverse discipline, possono esaminare le sfide ambientali, insieme alla povertà e alla giustizia, nel contesto dei valori. È necessario individuare quali valori rientrino nel portare avanti la ricerca della sostenibilità a livello locale? Nel lavorare con le persone interessate alle comunità locali, quali valori sono essenziali per ottenere la trasformazione concreta? E la scienza come può riuscire a comunicare in modo efficace, in una realtà in continuo cambiamento, attingendo ai valori locali?
Le domande che sono sorte nel corso del dialogo illustrano queste esigenze. Come possono i ricercatori riuscire a impegnarsi eticamente lavorando con le comunità locali? Se si lavora con una comunità indigena nel nord della Svezia, come si può scrivere senza imporre percezioni o analisi esterne? Se una comunità non vuole bere l’acqua clorata fornita gratuitamente da un’azienda, questo significa che quell’azienda ha imposto i suoi standard invece di considerare il desiderio della comunità di bere l’acqua pulita del posto? Come possono riuscire gli scienziati a esprimere validamente le loro scoperte in relazione ai valori culturali e sociali nei quali sono impegnati?
E ancora ci si domanda: come fa una comunità a valutare le conoscenze della scienza sostenibile? Come fa a sperimentare la sostenibilità e ciò che in essa ha valore? Come può favorire una migliore gestione dell’ambiente sostenibile? Come si possono sostenere i valori tradizionali della comunità di fronte a politiche e a poteri economici e commerciali che sembrano essere cose scontate?
Le università e le istituzioni sociali hanno bisogno di fare propri questi insegnamenti e di ampliare il discorso. Poi devono impegnarsi nelle tre convenzioni delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sulla biodiversità e sulla lotta contro la desertificazione. Va compiuto ogni sforzo per collegare e creare occasioni che conducano il processo verso iniziative più ampie di partecipazione e di politica. Le risposte a queste sfide devono essere ancora trovate in un dialogo ulteriore e nella collaborazione.
[1]. Cop21: www.unfccc.int/meetings/paris_nov_2015/session/9057.php
[2]. Cfr United Nations Framework Convention on Climate Change («Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici»).
[3]. Sustainable Development Goals: www.un.org/sustainabledevelopment/sustainable-development-goals
[4]. Francesco, Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura per la casa comune, 24 maggio 2015.
[5]. Cfr S. Kreft – D. Eckstein – L. Junghans – C. Kerestan – U. Hagen, 2015 Global Climate Risk Index 2015: Who Suffers Most From Extreme Weather Events? Weather-related Loss Events in 2013 and 1994 to 2013, in www.germanwatch.org/en/download/10333.pdf / I Paesi più colpiti nel 2013 sono stati le Filippine, la Cambogia e l’India. Il periodo che va dal 1994 al 2013 ha visto ai primi posti dei danni l’Honduras, il Myanmar e Haiti.
[6]. Cfr National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), Global Analysis: State of the Climate Reports, febbraio 2016. National Centers for Environmental Information, in www.ncdc.noaa.gov/sotc/global/201602
[7]. Cfr www.transformativegovernance.essc.org.ph
[8] . Cfr X. Jeyaraj, «Water security discussion during the Global Earth Summit IV in Kolkata, India», in Ecojesuit, 15 aprile 2015 (www.ecojesuit.com/water-security-discussion-during-the-global-earth-summit-iv-in-kolkata-india/7805/).
[9] . Cfr Jesuit Africa Social Centers Network, «JESAM Ecology Water Week 2015: Access to safe drinking water for all», in Ecojesuit, 15 settembre 2015 (htwww.ecojesuit.com/jesam-ecology-water-week-2015-access-to-safe-drinking-water-for-all/8634/).
[10]. Cfr Gian (Global Ignatian Advocacy Network)-Ecology, «Broadening the dialogue for transformative values: attitudes, simplicity and social inclusion», in Ecojesuit, 15 settembre 2015 (hwww.ecojesuit.com/broadening-the-dialogue-for-transformative-values-attitudes-simplicity-and-social-inclusion/8641/); «A call to dialogue on sustainability science and values», in Ecojesuit, 31 luglio 2015 (www.ecojesuit.com/a-call-to-dialogue-on-sustainability-science-and-values-3/8412/); J. I. García – P. Walpole, «Climate change and the dialogue with values», in Ecojesuit, 15 settembre 2013 (htwww.ecojesuit.com/climate-change-and-the-dialogue-with-values/5725/).
[11]. Cfr C. Devitt, «Objectivity and urgency driving the Stockholm Dialogue», in Ecojesuit, 30 novembre 2015 (www.ecojesuit.com/objectivity-and-urgency-driving-the-stockholm-dialogue/8940/); J. I. García, «Seeking a sincere and committed Stockholm Dialogue that deepens and transforms», in Ecojesuit, 15 novembre 2015 (www.ecojesuit.com/seeking-a-sincere-and-committed-stockholm-dialogue-that-deepens-and-transforms/8899/); Gian-Ecology, «Shifting minds and hearts for a sustainable world: The Stockholm Dialogue on sustainability science and values», in Ecojesuit, 31 ottobre 2014 (www.ecojesuit.com/shifting-minds-and-hearts-for-a-sustainable-world-the-stockholm-dialogue-on-sustainability-science-and-values/7169/).
[12]. Cfr Ph. G. Altbach – L. Reisberg – L. E. Rumbley, Trends in Global Higher Education: Tracking an Academic Revolution. A Report Prepared for the UNESCO 2009 World Conference on Higher Education, p. 24 (www.uis.unesco.org/Library/Documents/trends-global-higher-education-2009-world-conference-en.pdf).
[13]. ll termine «comunità di pratica» compare agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, a opera di Étienne Wenger. Le «comunità di pratica» e di apprendimento sono gruppi sociali che hanno l’obiettivo di produrre conoscenza organizzata e di qualità, alla quale ogni membro ha libero accesso.
[14]. Cfr «Justice in the Global Economy», in Promotio Iustitiae, n. 121, 2016/1, 29.
[15]. Cfr D. M. Hall, «Sustainability science for urban pollinator research and conservation, in Ecojesuit, 15 gennaio 2016 (www.ecojesuit.com/sustainability-science-for-urban-pollinator-research-and-conservation/9135/).
[16]. Cfr www.stockholmdialogue.ecojesuit.com/index.php/category/blogs/page/3/