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ABSTRACT – Un secolo fa, il 22 novembre 1916, nasceva David Maria Turoldo; ci ha lasciati 25 anni fa, il 6 febbraio 1992. Religioso dell’Ordine dei Servi di Maria, è stato un uomo di Dio e un personaggio controverso, ma soprattutto un grande poeta e una figura profetica nella Chiesa e nel mondo. Dopo una vita travagliata, prima a Milano, poi a Firenze, infine a Fontanella di Sotto il Monte, con due esili all’estero per le posizioni assunte, p. Turoldo si spegne colpito da un cancro.
Il contributo specifico del servita per capire il mondo e la storia è stato la poetica della liberazione, della speranza e della pace, formulate lungo tutta la sua vicenda terrena. La poesia è stata per lui «la fede senza scampo», la coscienza «furiosa della sua missione», «il diario quotidiano della [sua] battaglia».
Per Turoldo, la poesia è anche profezia. Così egli ne chiosa la relazione: «Il poeta è colui che vede con gli occhi del fulmine, nell’attimo sconvolgente della folgore. Allora si scoprono le nervature del mondo; tutto quello che normalmente appare non c’è più. Allora appunto siamo di fronte alla realtà più misteriosa. Solo che a cantarla sembra un assurdo». Perché la poesia è «il sacramento della creazione […] e tutte le cose non sono che involucri di divine sillabe». Essa è ispirata dalla contemporaneità, ne intuisce i nodi, ne svela le opacità, ne prefigura gli sviluppi. Perciò la denuncia profetica di p. David è contro ogni forma di dominio e di prepotenza: il potere, il denaro, le armi, le ideologie, e perfino le religioni.
Quando a p. Turoldo è stato diagnosticato il cancro, il suo grido di lottatore si è trasformato, paradossalmente, in canto di lode e di adorazione per quel Dio che lo ha sempre inquietato e affascinato. Ne facciamo memoria riportando alcuni dei migliori canti e l’omelia del card. Carlo Maria Martini, amico e confidente, nel suo giorno natale al cielo. Disse tra l’altro l’allora arcivescovo di Milano: «È difficile definirti, pur se qualcuno l’ha tentato: poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini. A me pare che ciascuna di tali definizioni ti stia stretta, perché la tua individualità era prepotente e imprevedibile. Ma certamente la parola che tu ci vuoi lasciare è la stessa di Gesù quando, fermo in mezzo ai suoi discepoli, mostrò loro le mani e il costato, a significare quanto aveva dovuto pagare per renderli partecipi della sua pace. E tu hai sofferto molto per diffondere nel tuo canto, nei tuoi salmi, in tutta la chiesa, questo messaggio di pace!».