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ABSTRACT – La musica romantica ha avuto solitamente scarsa fortuna presso i teologi, soprattutto se si confronta quel modesto interesse con l’attenzione e l’entusiasmo giustamente concessi ai grandi musicisti dell’età barocca e classica. Il che stupisce, quando si pensa al debito che l’anima moderna ha contratto con la sensibilità romantica che, per alcuni e non secondari suoi aspetti, corrisponde a una sensibilità che ancora travaglia l’uomo di oggi e la sua cultura.
Le caratteristiche generali della cultura romantica si ritrovano nella grande musica del tempo. In essa, è al centro il soggetto, con la sua continua versatilità. Si passa allora dal romanticismo, che è semplice effusione di tenerezza sentimentale, di nostalgia di spenti o di desiderati amori, di ebbrezze paniche dinanzi alla bellezza della natura, al romanticismo dolente, che è l’espressione psicologica delle più utopistiche aspirazioni ideali, di allucinazioni morbose, di disperazioni mortali.
Come e più di tutte le arti, la musica, per i romantici, ha in sé qualcosa di ambiguo, di inafferrabile, di indicibile, che è l’espressione della tensione, di cui dicevamo, della sproporzione esistente tra uomo e Dio. La musica si fa allora via e mezzo per un salto qualitativo in un’altra dimensione del vivere, che annulla la distanza tra il quotidiano e l’eterno e contiene in se stessa una componente religiosa.
Nell’uomo, che è creatore di bellezza, è insito dunque un tormento che, seppure a sua insaputa, allude a una nostalgia. Come non vedere allora quale grande sorgente di ispirazione possa essere per l’artista quella sorta di patria dell’anima che è la religione?