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Cultura e società

FISH TANK

Virgilio Fantuzzi

6 Novembre 2010

Quaderno 3849

Fish Tank (Gran Bretagna, 2009). Regista ANDREA ARNOLD. Interpreti principali: K. Jarvis, M. Fassbender, K. Wareing, R. Griffiths, H. Treadeway, S. M. Nash.

Non lontano da Londra, nella pianura dell’Essex attraversata dal Tamigi che corre verso il mare, vive una famiglia composta da tre donne. Joanne (Kierstn Wareing), la madre, giovane e quasi sempre ubriaca; Mia (Kate Jarvis), la figlia maggiore, che ha 15 anni e non lega con nessuno; Tyler (Rebecca Griffiths), la minore, che ne ha 7 e spara in continuazione parolacce talmente grosse da far traballare i pilastri che reggono la casa. La casa? Uno di quei formicai nei quali la moderna edilizia popolare stipa migliaia di persone in appartamenti minimi, tutti uguali come caselle di un alveare, oppure come acquari, se si preferisce la metafora suggerita dal titolo del film, Fish Tank, realizzato da Andrea Arnold, una regista di quasi cinquant’anni, nata nel Kent, premiata a Cannes nel 2006 con il suo primo lungometraggio, Red Road, e premiata di nuovo nel 2009, sempre a Cannes, con questo, che è il suo secondo.
A Roma il film, di pregevole fattura, è uscito alla chetichella du-rante l’estate. Per andarlo a vedere bisognava spingersi alla periferia Nord della città, a 10 chilometri dal centro, verso Settebagni, in uno di quei centri commerciali che sono, per così dire, le cattedrali dove la società dei consumi celebra i suoi riti collettivi, tra parcheggi sovrapposti, collegati mediante scale mobili con negozi di ogni tipo, trattamenti di bellezza e, appunto, una multisala cinematografica con 14 schermi in azione simultaneamente dal primo mattino fino a notte inoltrata.
Torniamo sulle rive del Tamigi. Con le tre donne abita un giovane uomo dalla taglia atletica, Connor (Michael Fassbender), ultima con-quista di Joanne, spiato da Mia in tutte le pieghe dei suoi jeans a cintura bassa. Siamo, come si è capito, all’interno di un tipico film inglese a sfondo sociale. Non a caso la Wareing esce diritta da In questo mondo libero, un film di Ken Loach, del quale ci siamo occupati non molto tempo fa (cfr Civ. Catt. 2007 IV 519 s), mentre Fassbender, uno dei muscolosi eroi di 300 di Zack Snyder, proviene da esperienze piuttosto dure, come Hunger di Steve Mcqueen e Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. Vera trovata del film è Kate Jarvis, un’esordiente che non avrebbe mai pensato di fare cinema, notata per caso dagli addetti al casting alla fermata di un autobus.
L’ambiente che circonda Mia è un mondo chiuso. La ragazzina è destinata alla solitudine più nera. Ferisce una coetanea. La polizia la viene a cercare. Un’assistente sociale propone come soluzione una casa per disadattati. Suo unico sfogo è la danza hip-hop, della quale è appassionata e nella quale si esercita da sola in una stanza abbandonata dell’edificio dove abita. Non c’è grazia nei suoi movimenti. Per Mia la danza è una cosa seria. L’impegno che mette nel cercare di migliorare rende commovente perfino la sua mancanza di scioltezza. Con la videocamera che Connor le presta, si autofilma mentre balla, e manda il provino a un concorso.
Con sua grande sorpresa Mia viene preselezionata, ma quando si presenta per l’audizione, vedendo come si comportano le altre concorrenti, pronte ad assecondare giochi voieuristici di bassa lega, fugge mortificata. Il concorso di danza era una trappola e Mia non c’è cascata. La sola persona che si mostra gentile con lei è Connor, al quale non sfugge che dietro le scontrosità di Mia si nascondono maldestri tentativi di seduzione che fanno della ragazzina immatura la rivale della madre, la quale certamente non è più matura di lei. Sul triangolo anomalo incombe l’ombra del padre assente. Ma non è il caso di andare per il sottile. Una notte, preso dai fumi dell’alcool, Connor abusa di Mia e poi fugge.
Mia lo va a cercare e si accorge che Connor è un uomo sposato con una moglie e una figlioletta che lo adorano. È sera. Mia rimane sola con la bambina di Connor, reduce da una festa alla quale ha partecipato vestita da principessa. Mia e Keira (è questo il nome della bambina) si inoltrano nella boscaglia e giungono sulle rive dell’estuario dove le acque formano vortici minacciosi. Mia e Keira litigano. La bambina cade in acqua. La tragedia viene evitata per un soffio quando Mia riesce a tirare fuori dall’acqua Keira e a riportarla a casa dove, per tutta ricompensa, riceve da Connor un ceffone. Mia accetta l’invito di un giovane zingaro, Billy (Harry Treadeaway), che le propone di andare con lui nel Galles. Il commiato dalla madre e dalla sorellina è struggente. «Ti odio». «Ti odio». Quello che il film non dice con la nitidezza delle immagini, lo suggerisce con metafore che aprono squarci di visionarietà nel monotono grigiore della vita quotidiana. Una vecchia giumenta legata con una catena che Mia tenta invano di spezzare. Un pesce che Connor cattura con le mani nelle acque limacciose di uno stagno. L’estuario del fiume che si getta con impeto nel mare.

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FISH TANK

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


6 Novembre 2010

Quaderno 3849

  • pag. 317
  • Anno 2010
  • Volume IV

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Cinema

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