a cura di V. FANTUZZI
Storia di Marie e Julien (Francia, 2003). Regista: JACQUES RIVETTE. Interpreti principali: E. BÉART, J. RADZIWILOWICZ, A. BROCHET.
Fedele al tema dell’amour fou (che dava sostanza e titolo a un suo film del 1968), J. Rivette, uno dei padri fondatori della nouvelle vague, porta sullo schermo una nuova storia d’amore vissuta al limite dell’impossibile. Ne sono protagonisti un orologiaio quarantenne che vive appartato dal mondo, Julien, e una giovane donna, Marie, che prima gli appare in sogno e poi finisce con l’invadere lo spazio della casa antiquata dove l’uomo abita in compagnia di un gatto. Storia di Marie e Julien è uno di quei film che tengono lo spettatore con il fiato sospeso. All’inizio pare di trovarsi in un intrigo poliziesco dominato dal mistero. Si ha l’impressione che il regista si diverta a disseminare il cammino di indizi, ipotesi, suggerimenti che si rivelano spesso fuorvianti. Ci sono calcolate sfasature nel racconto, che sembrano grossolani errori di sceneggiatura, in singolare contrasto con la cura meticolosa con la quale sono effettuate le riprese.
Quando si parla di un film come questo bisognerebbe fare attenzione a non dire come va a finire per non rovinare la sorpresa a coloro che, non avendolo ancora visto, contano di andarlo a vedere. Difficile è, allo stesso tempo, parlare del film senza dire di cosa tratta. La prima sequenza si svolge in un parco. Un uomo dorme su una panchina. Quando apre gli occhi, vede davanti a sé una giovane che dice di averlo incontrato in precedenza. Ecco Julien e Marie. Il breve dialogo tra i due si conclude in maniera imprevista quando Marie impugna un coltello e tenta di colpire Julien. L’uomo si risveglia. Lo vediamo al tavolo di un bistrot, dove si era addormentato davanti a un bicchiere di birra semivuoto. La sequenza iniziale era dunque un sogno. Bisognerà aspettare la fine del film, quando Julien, addormentato su una sedia nella sua casa, si risveglia di nuovo, per capire che il risveglio nel bistrot non segnava il passaggio dal sogno alla realtà, ma da un sogno a un altro sogno che si protrae per l’intera lunghezza del film. Siamo dunque all’interno della percezione onirica che Julien ha di se stesso e della realtà che lo circonda.
Nel sogno si riversano frammenti mnemonici della vita diurna del protagonista: il suo lavoro, la sua casa, la sua solitudine. La percezione che Julien ha di se stesso è quella di un vuoto che deve essere protetto dall’intrusione di fattori esterni. Non è buono Julien. Esperienze dolorose della vita passata lo hanno indurito. Immagina (sempre nel sogno) di avere un rapporto ricattatorio con una certa Madame X alla quale estorce somme considerevoli di denaro. La donna gli rimprovera con insistenza il suo comportamento abbietto. Si tratta forse del concretizzarsi in maniera simbolica di un vecchio complesso di colpa. Accetta che la sua casa (la sua solitudine) sia invasa dalla presenza dolce di Marie. I due diventano indispensabili l’uno all’altra. È vero amore? Forse. Non mancano però motivi per dubitarne. L’amore infatti non può essere confuso con l’infatuazione che si identifica con l’istinto di possesso.
La situazione si fa confusa (ma, attenzione, siamo sempre dentro un sogno) con l’apparizione di una terza donna: Adrienne, sorella di Madame X, morta suicida. Non trovando pace nell’altro mondo, Adrienne è costretta a tornare tra i vivi in veste di revenant. La vista di Julien a questo punto si complica. Osserva il comportamento strano di Marie, la quale si apparta per arredare una stanza della casa come se fosse il teatro di un misterioso delitto. Indagando sul passato di lei scopre che anche Marie, come Adrienne, è una suicida in cerca di pace. Entrambe hanno fatto ricadere la responsabilità della loro morte su persone innocenti, colpa che scontano con il forzato ritorno sulla terra. Quando si accorge di essere innamorato di una morta, Julien (prima del risveglio definitivo) decide di togliersi a sua volta la vita per non separarsi da Marie. Il suo sacrificio fa sì che Marie riacquisti definitivamente la vita.
Quale il senso di questa metafora onirica? Proviamo ad azzardare un’ipotesi anche se, data la struttura aperta della pellicola, certamente non sarà l’unica e forse nemmeno la più azzeccata. Un uomo maturo e solo, con alle spalle un vissuto doloroso, pensa di poter riempire la sua solitudine con la presenza di una donna giovane e bella. Questo non è amore. È soltanto desiderio di possesso. Perché il rapporto tra due esseri umani diventi amore è necessario che ciascuno dei due, invece di attirare l’altro nella propria sfera, sia disposto a capire che, al di là della propria sfera, c’è un mondo, al quale l’altro appartiene, per raggiungere il quale è necessario uscire dal proprio ambito anche a costo di perdersi.