a cura di V. FANTUZZI
Spider (Canada – Francia, 2002). Regista: DAVID CRONENBERG. Interpreti principali: R. Fiennes, M. Richardson, G. Byrne, L. Redgrave, B. Hall.
Come ne L’uomo senza passato del finlandese Aki Kaurismäki (cfr Civ. Catt. 2003 II 209 s) anche in Spider del canadese Cronenberg c’è un uomo che, nelle prime immagini del film, scende da un treno. Anche in questo caso, come nel precedente, l’uomo si aggira smarrito a causa di un vuoto di memoria. Nel film di Kaurismäki la perdita della memoria è dovuta a una brutale aggressione che il protagonista subisce da parte di un gruppo di teppisti sotto gli occhi degli spettatori. Lo smemorato di Cronenberg soffre invece di un’amnesia che ha radici profonde nella sua psiche e risale a un trauma subìto nell’infanzia. Dimesso da un ospedale psichiatrico, Dennis Cleg detto Spider (ragno), interpretato da Ralph Fiennes (Dennis adulto) e Bradley Hall (Dennis bambino), giunge nel poco attraente quartiere periferico dove, all’ombra di un enorme gasometro, aveva vissuto da bambino, figlio unico di una coppia di genitori che, a dire il vero, non sono un modello di serenità e unione familiare.
L’aspetto spettrale del luogo suggerisce alla mente di Dennis un va e vieni tra l’East End londinese degli anni Ottanta (tempo dell’età adulta) e lo stesso luogo come appariva, senza modifiche di rilievo, negli anni Sessanta (tempo della fanciullezza). Il film asseconda questo alternarsi di ricordi (non sempre nitidi) e frammenti di realtà sottoposti a una visione distorta. Lo spettatore è indotto a rivivere l’esperienza di uno schizofrenico, il cui caso è ricostruito con precisione da manuale. Non è facile distinguere il vero dal falso: ciò che è realmente accaduto e ciò che Dennis ha potuto immaginare quando era bambino oppure ritiene adesso di aver immaginato allora.
Dennis adulto e Dennis bambino recitano sovente nella stessa scena suggerendo l’uno all’altro le battute da pronunciare. Costruito come un puzzle, il film intreccia tre distinti piani narrativi (quello della realtà attuale, quello del ricordo e quello dell’immaginazione) senza che la differenza tra l’uno e l’altro venga indicata con precisione. L’immagine del puzzle (come accadeva in Quarto potere, 1941, di Orson Welles) è inserita nel film stesso, quando si vedono gli ospiti di una pensione per anziani ex degenti del manicomio tentare di comporne uno. Dennis, che non riesce a far combaciare i pezzi del gioco, si impazientisce e manda tutto all’aria suscitando le ire della direttrice della pensione.
Muovendosi con visibile difficoltà tra allucinazione e ricordo, Dennis tenta di ricostruire gli eventi che lo hanno indotto a perdere progressivamente il contatto con la realtà. Qualcosa di tremendo è accaduto, quando lui era bambino, nella sua famiglia. Sua madre è morta. Dennis pensa che sia stata uccisa da suo padre per poter convivere con una prostituta. Può darsi che la madre si sia tolta la vita e che Dennis, sentendosi in colpa per averne desiderato la morte, ne attribuisca l’uccisione al padre e si ritenga responsabile dell’uccisione della pro-stituta che il padre ha introdotto in casa al posto della madre morta. Può darsi che Dennis abbia ucciso la madre, servendosi del gas, dopo essersi convinto che quella donna non era la sua mamma adorata, ma una prostituta complice del padre nell’assassinio della madre. Può darsi ancora che nella casa di Dennis bambino non sia successo nulla e che ciò che l’adulto immagina di ricordare sia frutto delle elucubrazioni di una mente malata.
Una chiave di lettura del film potrebbe essere fornita dai titoli di testa, nei quali si vedono carte da parati, lacerate e ammuffite, che compongono macchie simili a quelle dei test di Rorschach. Ogni spettatore può cogliere nel film quello che crede o, meglio, quello che i residui della sua storia personale, accumulati nel profondo della sua psiche, lo inducono a pensare che sia vero. Secondo noi, il segreto della malattia mentale che ha colpito fin dall’infanzia il povero Dennis va cercato nella composizione della sua famiglia. Un padre operaio piuttosto grossolano. Quando rincasa la sera vuol trovare pronto in tavola. Non ammette di essere disturbato mentre legge il giornale. Se si astiene dal dare in escandescenze al minimo rumore molesto, provocato involontariamente dal figlio, è solo perché la moglie lo supplica di non farlo. Un uomo così non ha delicatezze né attenzioni nei confronti della moglie, ma solo esigenze e pretese. La madre di Dennis è una donna dall’aspetto più fine di quello che ci si potrebbe aspettare da una persona della sua condizione sociale (casalinga moglie di un idraulico). È sul punto di sfiorire. Da giovane aspirava probabilmente a un avvenire diverso. Ora si sente delusa. La sua condizione di donna frustrata la spinge ad assumere nei confronti del bambino (figlio unico, intelligente e sensibile, ma introverso) qualche attenzione che oltrepassa il limite della discrezione e di quello che dovrebbe essere un naturale riserbo.
Il complesso di Edipo, che in altre circostanze avrebbe assunto forme tollerabili e passeggere, diventa così una fissazione pericolosa che influisce negativamente sullo sviluppo della mente del piccolo. C’è qualcosa di sottilmente morboso che circola al fondo del film pur senza trovare mai una formulazione esplicita che, data la delicatezza dell’argomento, risulterebbe intollerabile. A tratti si ha l’impressione che la sofferenza espressa dal volto del piccolo Dennis, innamorato della madre e geloso del padre, assomigli a quella del nano Hans ingannato dall’acrobata Cleopatra nel film Freaks (1932) che Tod Browningh ha ambientato tra i «mostri» di un circo. Al riparo delle mura domestiche si celano talvolta casi di infanzia violata, anche là dove, in assenza di maltrattamenti, privazioni o atti di violenza esteriormente verificabili, si sviluppano situazioni che incidono sugli aspetti più segreti della personalità provocando danni dalle conseguenze im-prevedibili.