a cura di V. FANTUZZI
Sicko (Usa, 2007). Regista: MICHAEL MOORE. Documentario.
Un trentenne impugna un ago con un filo da sutura per chiudere una lunga ferita che ha sulla gamba. Ha perso il lavoro e, di conseguenza, l’assicurazione privata sulla salute. Non gli resta che fare da solo. Un cinquantenne mostra la mano destra. Ha perso due dita mentre manovrava una sega elettrica. La polizza copre soltanto l’intervento sull’anulare. Per il medio non c’è niente da fare. Costa troppo. Inizia con questi casi sconcertanti il film inchiesta che Michael Moore ha dedicato alla sanità negli Stati Uniti. Sicko, questo è il titolo del film, non si occupa dei 40 milioni di americani che non possono pagarsi un’assicurazione sanitaria, bensì dei 250 milioni che sborsano fior di quattrini, ma sono costretti a tenersi i loro malanni perché le Compagnie di assicurazione, quotate in Borsa, le stu-diano tutte per non pagare.
Alle testimonianze dei malati e dei loro familiari si aggiungono quelle di chi, avendo lavorato all’interno delle organizzazioni assistenziali, ha rivelato pubblicamente le strategie messe in atto per rimandare le cure, ritardare i pagamenti, dilazionare il più possibile ogni tipo di intervento sanitario. Un ex-consulente pentito di un’assicurazione privata rivela che i medici ingaggiati dalla società vengono premiati con avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio se aiutano la Compagnia a risparmiare. Basta trovare un «errore» nella scheda per il rimborso, come l’omissione del sintomo di una precedente malattia, e la cosa è fatta. Il sistema è talmente connaturato con il capitalismo statunitense che tutto può accadere nella legalità.
Moore, che fa capolino in diverse inquadrature con la mole ingombrante del suo corpo, il cappellino a sghimbescio e una faccia tonda attraversata da un sorriso sornione, non è nuovo a imprese di questo genere. Con il film Bowling a Columbine (2002) si era scagliato contro il mercato delle armi negli Stati Uniti. Con Fahrenheit 9/11 (cfr Civ. Catt. 2004 IV 207 s) se l’era presa con l’uso spregiudicato dei media da parte della politica. Sicko chiarisce fin dal titolo (un acronimo composto dalle parole sick — malato — e dalla sigla KO, che indica il colpo micidiale con il quale chi ha bisogno di aiuto viene abbattuto da coloro che avrebbero il dovere di aiutarlo) il suo intento provocatorio.
Il film non si limita a elencare casi singoli di malasanità, ma cerca di risalire alle cause dalle quali derivano le condizioni in cui versa il sistema sanitario Usa, affidato per legge a Compagnie di assicurazione private. Le responsabilità, secondo il regista, vanno equamente distribuite tra le diverse amministrazioni (democratiche e repubblicane) che si sono avvicendate negli ultimi decenni alla Casa Bianca. Tra i documenti proposti dal film c’è la registrazione di un colloquio del presidente Nixon con il padre delle assicurazioni sanitarie Edgar Kaiser, e il tentativo compiuto da Hillary Clinton, nella sua qualità di first lady, di promuovere l’intervento pubblico nella sanità, tentativo rientrato quando le Compagnie di assicurazione decisero di elargire lauti emolumenti a chi forniva loro la necessaria copertura politica.
A un certo punto del film, Moore decide di mettere a confronto il sistema sanitario statunitense con quello di altri Paesi come il Canada, la Gran Bretagna, la Francia. Un anziano canadese che ha avuto una disavventura negli Stati Uniti (gli è saltato il tendine di un braccio mentre giocava a golf) è dovuto rientrare precipitosamente in Canada dove l’assistenza sanitaria è gratuita. Ringrazio Tho-mas Clement Douglas, dice il canadese. Ha creato il nostro sistema pubblico ed è stato dichiarato la persona più importante del nostro Paese. In Gran Bretagna, dove l’assistenza sanitaria estesa a tutti fu istituita nell’immediato dopoguerra, Moore scopre che perfino la terribile Margaret Thacher ha dichiarato che la sanità pubblica non si tocca.
In Francia il regista incontra un gruppo di americani che, essendosi stabiliti a Parigi, godono dell’assistenza sanitaria gratuita, medicine comprese. Una giovane puerpera gli dice che può usufruire perfino dell’aiuto gratuito di una baby sitter per quattro ore al giorno. Incuriosito dal fatto che, a detta delle autorità governative statunitensi, i terroristi di al-Qaeda rinchiusi nel carcere di Guantánamo godono di un trattamento sanitario migliore di quello offerto ai cittadini statunitensi dalle assicurazioni private, Moore imbarca su tre piccoli yacht un gruppo di «eroi» dell’11 settembre (così definiti da George W. Bush), pompieri, infermiere, volontari… che si sono ammalati respirando le polveri tossiche delle Twin Towers e sono stati abbandonati dalla sanità statunitense, e si dirige verso la baia di Guantanamo. Non potendo raggiungere per ovvie ragioni la base militare, le tre navicelle fanno rotta su l’Avana, dove uno spray antiasma, che negli Stati Uniti costa 120 dollari, è venduto nelle farmacie a 5 cents, e dove l’ospedale è gratuito.
Il film si conclude con un doppio paradosso. Gli «eroi» di ieri, dimenticati in patria, sono curati amorevolmente dai «cattivi» castristi. Film di propaganda? Può darsi. Sicko non manca qua e là di semplificazioni e ingenuità. Non si può dire tuttavia che Moore non abbia messo il dito sulla piaga di un sistema sanitario che privilegia il profitto a scapito della salute.