a cura di V. FANTUZZI
I vicerè (Italia, 2007). Regista: ROBERTO FAENZA. Interpreti principali: A. Preziosi, L. Buzzanca, C. Capotondi, G. Caprino, L. Bosè, F. Branciaroli, A. Serna, S. Lo Monaco, G. Valodi, P. Calabresi.
Non è facile per lo spettatore districarsi nel groviglio dei personaggi che il regista Roberto Faenza ha portato dalla pagina allo schermo nella trasposizione cinematografico del romanzo I vicerè di Federico De Roberto. Consalvo (Alessandro Pre-ziosi), protagonista e voce narrante, è il giovane, ambizioso e caparbio erede della stirpe degli Uzeda, discendenti dei viceré di Sicilia. Il principe Giacomo (Lando Buzzanca), padre di Consalvo, per bramosia di possesso si scontra con i fratelli e le sorelle, spinge la moglie alla morte, caccia il figlio di casa e costringe la figlia, Teresa, a un matrimonio infelice. Giovannino Radalì (Guido Caprino), innamorato di Teresa, non potendola sposare perché cadetto, si toglie la vita. Michele (Jorge Calvo), fratello primogenito di Giovannino, sposa Teresa che non lo ama. Il conte Raimondo, fratello del principe Giacomo, dedito al lusso e ai piaceri, viene espropriato della sua parte di eredità. Don Blasco (Pep Cruz), zio del principe Giacomo, costretto dalla madre a farsi monaco, getta la tonaca alle ortiche per conservare le proprie ricchezze. Si vendicherà degli avidi parenti con un testamento burla.
Il duca Gaspare (Sebastiano Lo Monaco) è un altro zio di Giacomo. Dopo la caduta dei Borboni si dà alla politica barcamenandosi tra destra e sinistra. Fra Carmelo (Vito), fratello bastardo di Don Blasco, gli fa da servitore devoto e diventerà suo erede. Benedetto Giulente (Paolo Calabresi), avvocato liberale innamorato di Lucrezia, sorella di Giacomo, riuscirà a sposarla soltanto dopo essere diventato sindaco di Catania. Baldassare (Biagio Pelligra), fratello bastardo di Giacomo e suo maggiordomo, si prende cura di Consalvo perseguitato dal padre. Federico (Danilo Maria Valli) sposa Chiara, sorella del principe. Succube della moglie, che non riesce ad avere figli, accetta di fare un figlio con la serva pure di accontentarla. Carino (Mario Pupella), marito di Lucia, l’amante di don Blasco, sfrutta la situazione per motivi di interesse. Il conte Fersa (Pino Calabrese), marito di Isabella, amata da Raimondo, scopre il tradimento per un orologio dimenticato nel suo letto. Questi gli uomini. Passiamo alle donne.
Teresa (Cristina Capotondi), figlia di Giacomo e sorella di Consalvo, è costretta a rinunciare a Giovannino, che ama, per sposare Michele, che non ama. Donna Ferdinanda (Lucia Bosè in età ormai veneranda) è la zia benevola presso la quale Consalvo si rifugia quando il padre lo caccia di casa. Donna Margherita (Katia Pietrobelli), moglie di Giacomo e madre di Consalvo e Teresa, viene soppiantata dalla cugina Graziella (Giovanna Bozzolo) che sposerà in seconde nozze il principe rimasto vedovo. Chiara (Anna Marcello), ossessionata dal desiderio della maternità, adotta il figlio che il marito ha avuto da una serva. Lucia (Daniela Terreri) è l’amante che don Blasco mantiene lautamente assieme al marito. La duchessa Radalì (As-sumpta Serna) è la madre di Michele e Giovannino, responsabile assieme a Giacomo del destino infelice dei figlioli. Concetta (Larissa Volpentesta) è la giovane popolana che Consalvo conosce durante la liberazione di Catania da parte dei garibaldini. Consalvo se ne invaghisce e abusa della sua condiscendenza pagando poi a caro prezzo l’affronto in un agguato che gli tendono i fratelli di lei.
Siamo, come si è capito, nella Sicilia della seconda metà dell’Ottocento, già descritta da Giuseppe Tommasi di Lampedusa nel romanzo Il gattopardo, portato sullo schermo a suo tempo da Luchino Visconti. Forte è la tentazione di mettere a confronto i due libri e i due film. Visconti intreccia la prosa «musicale» di Tommasi con riferimenti a Verga e a Proust per intonare un epicedio alla classe sociale, l’aristocrazia siciliana, che sta per uscire di scena. Nella lunga sequenza conclusiva, quella del ballo, riesuma un inedito valzer di Verdi per farne suntuosa cornice a una meditazione sulla morte. Alle prese con un romanzo nel quale la trasformazione sociale e politica dell’isola è descritta in termini molto più crudi di quelli adottati da Tommasi, Faenza propone un quadro a tinte fosche, che fa pensare a Goya, dove si addensa, come si diceva, una folla di personaggi, nessuno dei quali è esente da tare e turbe psichiche accumulate nel corso delle generazioni.
L’elemento attorno al quale gira il film è la sopraffazione esercitata impunemente dai forti sui deboli, dai ricchi sui poveri, dai potenti sugli inermi. Un distorto senso del dominio guida più o meno tutti i personaggi, i quali si fanno strada travolgendo e calpestando tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Lezione di morale e di storia valida per ogni epoca e per ogni ambiente. I vizi che affliggono la comunità degli uomini, la resistenza a ogni cambiamento, l’attaccamento al conformismo, la disposizione a piegare la schiena di fronte a chi esercita il potere… Di questa materia è impastata la pellicola, che si snoda mescolando ai toni del dramma quelli del grottesco.