a cura di V. FANTUZZI
Dieci canoe (Australia, 2006). Regista: ROLF DE HEER. Interpreti principali: D. Gulpilil, C. Kurddal, R. Birrinbirrin.
Il regista Rolf De Heer, australiano di origine olandese, dopo aver trascorso diversi mesi tra gli aborigeni del Nord dell’Australia, negli aquitrini della Arnhem Land, prima per preparare e poi per realizzare tra comprensibili difficoltà il film Dieci canoe, interpretato esclusivamente da abitanti del luogo, dice che le condizioni di vita delle popolazioni primitive, rimaste invariate per millenni, si stanno rapidamente trasformando. Una pellicola come questa, tra qualche anno non potrebbe più essere realizzata. Molta della conoscenza tradizionale, tramandata oralmente fino ai nostri giorni, va rapidamente scomparendo. Quando l’economia del baratto viene rimpiazzata dall’economia del denaro, il cambiamento è irreversibile. Oggi gli aborigeni usano internet, ricevono attraverso la televisione immagini dal resto del mondo, vedono i film che vogliono…
Non è stato facile convincere gli abitanti del villaggio di Ramingining a partecipare al film. Non tutti erano d’accordo. I più ricordavano di aver vissuto in passato un’esperienza negativa, quando una troupe belga si era recata presso di loro per realizzare un documentario. Dopo essersi fatti accompagnare qua e là, a dispetto di tutte le assicurazioni che avevano dato in precedenza, i cineasti erano spariti senza far vedere agli aborigeni nemmeno un frammento del materiale che avevano girato. Un’altra difficoltà proveniva dal fatto che il film, al quale erano invitati a partecipare, avrebbe dovuto rappresentare i nativi «come erano stati» nel passato e non «come si preparavano a diventare» nel futuro. Il film li avrebbe riprodotti come «selvaggi», adottando nei loro confronti il cliché in base al quale sono sempre stati osservati e giudicati dai bianchi. In Australia vivono attualmente mezzo milione di abitanti che si dichiarano aborigeni. Soltanto un quarto di essi abita nella regione di provenienza. Gli altri in gran parte si sono definitivamente inurbati.
Il film ci trasporta lontano nello spazio e nel tempo. Assistiamo, con immagini in bianco e nero, a una caccia nella palude. I maschi del villaggio compiono prima una lunga marcia di avvicinamento alla zona paludosa. Costruiscono poi canoe con la corteccia degli alberi, per potersi inoltrare nei canali che attraversano l’acquitrino e spingersi così sulle tracce dei palmipedi che hanno appena deposto le uova. Questa parte del film è girata nello stile di un documentario basato sulle foto scattate nel corso degli anni Trenta dall’antropologo Donald Thomson, custodite nel South Australian Museum di Adelaide. I cacciatori, mentre camminano e mentre lavorano, scherzano tra loro parlando per lo più di donne. Le loro madri, mogli e sorelle sono rimaste al villaggio, dove si dedicano alle faccende domestiche senza trascurare il pettegolezzo, che è la loro occupazione preferita.
Durante la caccia, l’anziano Minygululu, capo del villaggio, racconta al fratello più giovane Dayindi una storia ambientata in un remoto passato. La narrazione è affidata nella colonna sonora alla voce dell’attore aborigeno David Gulpilil, che parla in lingua Mandalpingu, mentre i personaggi del film si esprimono nel dialetto Yolngu. Nell’edizione italiana del film il racconto è doppiato mentre le battute dei personaggi sono sottotitolate. La storia narrata da Minygululu ha lo scopo di convincere Dayindi, che nutre una segreta attrazione per una giovane cognata (terza moglie del fratello), ad assumere un comportamento corretto nei confronti della famiglia. La storia è lunga e complicata, ma alla fine la morale affiora con chiarezza. Quando sullo schermo appaiono i personaggi della storia narrata da Minygululu, il bianco e nero della realtà quotidiana cede il posto agli smaglianti colori della fiaba.
Nel lontano passato, dunque, il giovane guerriero Yeralparil si innamora della terza moglie di suo fratello Ridjimiraril. In seguito alla scomparsa della seconda moglie di Ridjimiraril, questi si convince che sia stata rapita da uno straniero, la cui presenza era stata notata alcuni giorni prima nei pressi del villaggio. Non è così. Ma dall’equivoco parte una catena di dolorose conseguenze che condurranno alla tragica morte di Ridjimiraril, descritta nel film con toni epici. La seconda moglie, scomparsa, torna appena in tempo per partecipare alle esequie del marito. La legge del villaggio vuole che, quando muore un uomo, il fratello più giovane ne erediti le mogli. Dopo la morte di Ridjimiraril, Yeralparil pensa di potersi congiungere con la sua amata, ma non ha tenuto conto delle altre due mogli del fratello, alle quali per motivi di anzianità spetta la precedenza, e sono pronte a reclamare i loro diritti.