a cura di V. FANTUZZI
Cuori (Francia – Italia, 2006). Regista: ALAIN RESNAIS. Interpreti principali: P. Arditi, S. Azéma, I. Carré, A. Dussoier, L. Morante, L. Wilson.
Sotto i titoli di testa scorre il panorama di Parigi avvolto da una fitta nebbia. La torre Eiffel, che si intravede a distanza, sembra la propria riproduzione in miniatura racchiusa in una sfera di vetro dove turbinano fiocchi di neve. La macchina da presa sorvola con una carrellata aerea il quartiere che circonda la Grande Bibliothèque. La neve non cessa di cadere a larghe falde. I suoi fiocchi onnipresenti fanno da trait d’union tra le diverse scene del film. Fiocchi artificiali, come è ovvio, sparsi con abbondanza sui cappotti, le sciarpe e i copricapi dei personaggi che provengono dall’esterno. Fiocchi che non si sciolgono nel corso dei dialoghi ambientati all’interno. Segnato dalla presenza ossessiva della stagione invernale, il film Cuori di Alain Resnais parla del freddo che attanaglia i cuori nell’età avanzata quando, spento l’ardore delle passioni giovanili, la vita si avvia verso la stagione che precede la morte.
Sei personaggi, tre coppie di cuori che non riescono a scaldarsi reciprocamente. Thierry (André Dussollier) e Gaëlle (Isabelle Carré) sono un fratello e una sorella che convivono da scapoli anche se lei ha trent’anni meno di lui. Thierry lavora in un’agenzia immobiliare e ha come collega Charlotte (Sabine Azéma), personaggio misterioso che esercita sui maschi maturi che incontra pulsioni contrastanti tra attrazione e senso di colpa. Nicole (Laura Morante) e Dan (Lambert Wilson) vivono un difficile rapporto a due e sono in procinto di lasciarsi. Lionel è un barman impeccabile. Lavora nel bar dell’hôtel du Globe dove Dan, ex-militare dedito all’alcool, sosta in permanenza. Lionel ha a suo carico il padre anziano e infermo, Arthur, che nel film non si vede anche se si sente ripetutamente la sua voce. Charlotte, che fa del volontariato, si prende cura di tanto in tanto del vecchio Arthur e intreccia frammenti di conversazione con Lionel.
Il film deriva da un testo teatrale del drammaturgo inglese Alan Ayckourn, che ha per titolo Private Fears in Public Places: una serie ininterrotta di brevi scene nelle quali i personaggi (quasi mai più di due insieme) scambiano dialoghi infarciti di luoghi comuni: parole come quelle che sono solite rivolgersi le persone che appartengono al ceto medio, sia che vivano a Londra, dove è ambientata la pièce originale, o a Parigi, dove si svolge il film (i cui dialoghi sono stati adattati da Jean-Michel Ribes), oppure in una delle tante città piccole o grandi sparse nel continente europeo. I personaggi si sfiorano senza incontrarsi realmente. Girano gli uni attorno agli altri come figure diafane, sospese a mezz’aria. Nessuno è disposto a dire ciò che pensa realmente di se stesso e degli altri. Nessuno presta attenzione a ciò che gli altri dicono.
Cuori è un film nel quale non accade praticamente nulla. Tra una battuta e l’altra si sente aleggiare il desiderio che i personaggi hanno di uscire dalla solitudine. Ma è un desiderio che non ha alcuna possibilità di tradursi in realtà. Più che un desiderio vivo, si direbbe che è l’ombra di un desiderio ormai tramontato. C’è un senso di malinconia che si distende su tutto il film. È il declino di chi si sente avviato su una strada che non ha ritorno. Il rimpianto di ciò che probabilmente non c’è mai stato, ma che avrebbe potuto esserci. Forse, a pensarci bene, questi personaggi non sono mai stati felici, ma, in una fase precedente della loro esistenza (della quale sappiamo ben poco), c’è stato un momento nel quale era viva in loro l’illusione di poter essere un giorno felici. Ora quell’illusione si è spenta. La vita, non più vita, scorre con la fluidità e l’eleganza delle immagini di questo film che, dal punto di vista formale, rasenta la perfezione. Mai l’insignificante è stato trattato con altrettanta dignità.
La neve, presente dalla prima all’ultima immagine, è una metafora che chiede di essere decifrata. Nelle scenografie che si susseguono (tutti interni filmati in studio) non manca mai un’apertura verso l’esterno dove si vede la neve cadere. L’arredamento frappone sovente tra i personaggi e la macchina da presa oggetti che ostruiscono parzialmente la vista: cortine di perle nel bar, vetri parzialmente smerigliati nell’agenzia, pareti traforate o pannelli trasparenti negli appartamenti. La porta aperta della camera di Arthur è un limite invalicabile. C’è sempre un ostacolo che si intromette tra l’occhio di chi osserva e la cosa osservata. La neve, in una scena che tende al surreale, cade all’interno di una stanza.
La ricerca affannosa di un appartamento di tre stanze nel quartiere elegante (uno dei fili che si intrecciano nel tessuto del film) fa pensare alla ricerca di un loculo nel cimitero. Nessuno degli appartamenti visitati corrisponde alle caratteristiche richieste. Il lusso non è sinonimo di buon gusto. Il comfort stende su tutto una patina di uniformità che appiattisce le condizioni esteriori della vita e non soddisfa le esigenze interiori ma, al contrario, le deprime. I fiocchi di neve allora, che cadono impalpabili tra una scena e l’altra del film, possono assomigliare a frammenti di cenere, a quanto rimane dopo un incendio dove il fuoco non arde più perché ha divorato tutto ciò che si trovava sul suo cammino.