
Giuseppe Dossetti morì il 15 dicembre 1996 a Monteveglio, una delle sedi della comunità monastica da lui fondata e fu sepolto nel piccolo cimitero di Casaglia di Monte Sole, dove avvenne il noto eccidio nazista di Marzabotto. Egli, che era nato a Genova nel 1913, fu un uomo di Chiesa straordinariamente attento ai valori spirituali, improntati alla meditazione della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa, e ai processi di cambiamento della società civile, vero apostolo di un cristianesimo incarnato nella storia. Ma fu anche, negli anni del dopoguerra, un uomo politico di prima grandezza, il quale svolse nella Democrazia Cristiana di De Gasperi, in quegli anni presidente del Consiglio, compiti di responsabilità, sebbene i suoi rapporti con il leader trentino fossero spesso segnati da conflitti di carattere politico, improntati però a reciproco rispetto e, in ogni caso, a grande rigore intellettuale e morale. Com’è noto, egli fu uno dei maggiori protagonisti e artefici della Costituzione repubblicana; successivamente fu, oltre che deputato, anche membro della direzione centrale e, se pure per breve tempo — agli inizi degli anni Cinquanta abbandonò la vita pubblica e la politica per diventare sacerdote e monaco[1] —, vicesegretario della Democrazia Cristiana.
Il decennale della morte di Dossetti è stato ricordato con significative manifestazioni culturali, convegni, corsi di studio, lezioni ecc., organizzate da diverse istituzioni del mondo laico, accademico ed ecclesiastico[2]. In questo articolo si cerca di ripercorrere una delle vicende che lo videro protagonista principale, quella cioè relativa alla scrittura dell’art. 7 della Costituzione, sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. Su tale aspetto in sede storica, nonostante i pregevoli studi finora prodotti[3], non si è ancora fatta pienamente luce. Nella ricostruzione della vicenda faremo riferimento a una documentazione di parte ecclesiastica, finora poco conosciuta o in alcuni casi inedita.
La discussione sui rapporti tra Stato e Chiesa
Il 21 novembre 1946 iniziava nella prima Sottocommissione[4] la discussione sullo «Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti», in particolare con la Chiesa cattolica. Relatori erano Dossetti e il demolaburista Mario Cevolotto, figura questa di secondo piano sotto il profilo sia politico sia intellettuale, non certamente adatta a confrontarsi su tale delicata materia con il leader democristiano reggiano. L’attività di Dossetti alla Costituente viene generalmente identificata, perfino dagli studiosi di diritto costituzionale, con la trattazione di questa materia, di cui era specialista, anche se la sua attività fu determinante pure in altri momenti del percorso costituzionale, per l’esame di altre importanti questioni.
La discussione tra i commissari sui rapporti tra Stato e Chiesa fu abbastanza vivace e in alcuni momenti anche tesa; essa si sviluppò in un arco temporale piuttosto ampio (21 novembre – 18 dicembre 1946), intervallato da interruzioni e riprese. Inoltre si svolse in un momento in cui, tra i partiti che sostenevano il Governo, le divergenze di carattere politico e programmatico si facevano di giorno in giorno più marcate: l’alleanza tripartita, che aveva segnato il primo tratto del percorso costituzionale, iniziava a entrare in crisi sotto la spinta di forze ad essa avverse[5], mentre la spaccatura tra democristiani e socialcomunisti andava assumendo caratteri di vera e propria contrapposizione politica, anche in vista delle successive competizioni elettorali. Tutto questo influì non poco sui fragili equilibri che si erano venuti a creare in sede di redazione della Costituzione: l’accordo, che fino a quel momento c’era stato sui contenuti della materia costituzionale tra dossettiani e sinistra comunista, iniziò a dare i primi segni di cedimento, e cominciarono a emergere nel dibattito in commissione (come poi anche in aula) gli elementi di divisione e di contrapposizione ideologica, anziché i punti di contatto e di intesa. Insomma, la crisi del tripartito ebbe come conseguenza il «raffreddamento» dei rapporti tra cattolici e sinistre in sede costituente, segnando il passaggio da una fase improntata alla collaborazione sui contenuti a un’altra più politico-ideologica, fondata sul patteggiamento e sul «compromesso costituzionale»[6]. Questa terminologia ebbe negli anni successivi molta fortuna, per motivi però opposti, sia nei partiti di sinistra sia in quelli di destra, che consideravano la Costituzione un semplice patto tra cattolici e comunisti, per di più legato a un particolare momento storico, segnato cioè dalla collaborazione ciellenista e da un sorta di ibrido concordismo, tipico dei periodi di transizione politico-istituzionale.
Dalla documentazione di parte ecclesiastica sappiamo che la Santa Sede era molto interessata allo svolgimento dei lavori costituzionali. Di fatto le autorità vaticane[7], qualche tempo prima, avevano chiesto ai padri della Civiltà Cattolica di preparare un testo, una sorta di «piccola Costituzione», sulle materie più importanti che toccavano la religione e i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, da far conoscere poi discretamente ai relatori democristiani e anche ad altre personalità: sappiamo, ad esempio, che una copia fu consegnata a Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75. Sulla stessa materia, con l’assenso della Santa Sede, era anche intervenuta pubblicamente l’Azione Cattolica, segnalando in particolare le materie di rilevanza costituzionale che stavano maggiormente a cuore ai cattolici italiani[8]. Tale intervento, che — affermava un comunicato — non si interessa direttamente di questioni di carattere politico, «mira unicamente allo scopo di ottenere che la futura Costituzione sia conforme ai dettami dell’etica cristiana, agli insegnamenti della Chiesa e alla tradizione del nostro popolo italiano nella sua grande maggioranza cattolico». In sostanza, si chiedeva che il deposito della tradizione e della dottrina cattolica in ambito morale divenisse, nel nuovo ordinamento, «elemento essenziale e primario del carattere, della civiltà, della grandezza della Nazione»[9].
Quando la Sottocommissione iniziò a lavorare sui rapporti tra Stato e Chiesa, le autorità vaticane ritennero opportuno, a motivo della delicatezza dei problemi trattati, far presente in modo più esplicito e diretto ad alcuni commissari democristiani (in particolare a Dossetti, incaricato della materia, e a La Pira) il punto di vista della Santa Sede sulla questione dei rapporti tra Stato e Chiesa. Una Nota della Segreteria di Stato vaticana del 5 novembre 1946 afferma a tale riguardo: «All’on. Dossetti più di una volta è stato detto di attenersi al Concordato. Riterrei, però, opportuno, al punto in cui stanno le cose, che l’on. Dossetti fosse invitato in Segreteria e autorevolmente dall’Ecc.mo Superiore gli si ripetesse la medesima cosa». Di fatto così avvenne, e a partire da questo momento i rapporti tra Dossetti e le autorità vaticane si andarono intensificando: «Questa mattina — è detto in una Nota vaticana del 18 novembre — alle ore 11, è venuto in Segreteria di Stato l’on. Dossetti, deputato democristiano e relatore presso la prima Sottocommissione per la Costituzione sui problemi riferentisi alla libertà religiosa e ai rapporti tra Chiesa e Stato. L’on. Dossetti mi ha portato i qui uniti documenti ove, quasi a conclusione dei vari colloqui avuti, ha formulato gli articoli che i democristiani intenderebbero proporre e difendere in proposito»[10].
Secondo lo storico Paolo Pombeni, Dossetti nel presentare la sua «relazione» sullo Stato come ordinamento giuridico e sui relativi rapporti con gli altri ordinamenti, in particolare con la Chiesa cattolica, fece il possibile per deconfessionalizzare la materia, e così anche la relativa discussione che ne sarebbe seguita in Sottocommissione, inquadrandola all’interno di categorie giuridiche laiche, intelligibili anche a persone non troppo sensibili ai problemi religiosi. Ma l’operazione, egli scrive, non riuscì. «Il mondo cattolico, con in testa il pontefice e tutta la gerarchia, reclamarono come conditio sine qua non per la non-belligeranza la ricezione nel testo costituzionale dei Patti Lateranensi»[11]. La strategia posta in essere da Dossetti per inserire nella Costituzione i Patti del 1929, invisi a tutti i partiti antifascisti (in particolare alla sinistra a motivo della «firma di Mussolini») e anche a una parte del mondo cattolico, consisteva «nell’accontentare il Vaticano con la menzione del Concordato nella Costituzione, ma in modo che questo avvenimento aprisse la strada ad un sistema di delimitazione dei due campi e non irrigidire troppo la registrazione del Concordato del ’29»[12]. Insomma, secondo tale posizione, i deputati democristiani, in particolare i dossettiani, per tutelare gli interessi sia ecclesiastici sia statali implicati in tale delicata materia, si mossero su piani diversi, cercando di conciliare sistemi ideologici e valoriali tra loro difficilmente compatibili: da un lato, essi fecero di tutto per inserire nella Costituzione la citazione dei Patti Lateranensi; dall’altro, agirono, attraverso gli strumenti della scienza giuridica, per limitare la portata di tale inserimento sotto il profilo giuridico-interpretativo.
Ora, dalla documentazione di parte ecclesiastica, considerando anche la particolarità di tali fonti, risulta che la posizione di Dossetti e dei suoi in materia di rapporti tra Stato e Chiesa coincideva nella sostanza con quella vaticana. Anzi, da essa risulta che su tale materia il deputato reggiano lavorò in piena sintonia e accordo non soltanto con i suoi interlocutori alla Segreteria di Strato, ma anche con alcuni padri della Civiltà Cattolica[13]. Egli, inoltre, quando il testo poco dopo fu portato in Commissione plenaria, si adoperò perché la formulazione proposta dai democristiani su «suggerimento» della Santa Sede, non subisse alcuna modifica[14]. «L’on. Dossetti — afferma una Nota vaticana del 16 gennaio 1947 — è ritornato a Roma martedì in serata. Ieri nel pomeriggio mi ha telefonato dicendomi che desiderava vedermi al più presto, avendo urgente bisogno di farmi alcune comunicazioni e chiedere qualche direttiva […]. Egli mi ha chiesto se era vero che la Santa Sede avesse accettato la formula proposta da Sua Eccellenza De Nicola per l’articolo della Costituzione riferentesi ai rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano. Gli ho risposto di no autorizzandolo a smentire ogni contraria affermazione. Ho aggiunto che i democristiani devono dare battaglia e attenersi alla formula precedentemente votata. Quindi da escludersi in modo assoluto anche la nuova formula proposta dall’on. Ruini […]. L’on. Dossetti si mostrò lietissimo di questa risposta perché confermava in pieno il suo punto di vista, cioè di intransigenza; punto di vista che purtroppo non sempre — ha aggiunto — è condiviso da tutti i membri democristiani»[15]. Con queste parole si faceva riferimento alla posizione del gruppo degasperiano (e dello stesso Presidente del Consiglio), inclini a trovare su tale materia, per motivi di opportunità politica, un accordo con altre forze politiche.
La relazione presentata da Dossetti in realtà era un progetto articolato in 11 punti o articoli, a loro volta divisi in due parti: i primi sette trattavano dello «Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti», e gli altri quattro della «Libertà di opinione, di coscienza e di culto». Il primo articolo definiva la funzione giuridica e politica dello Stato, quale ente di secondo livello, come supremo regolatore della vita civile e sociale. Seguiva poi la norma cardine del sistema, che diceva: «La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi». Un terzo articolo, in realtà molto avanzato per la cultura giuridica di quel tempo, attribuiva agli individui e alla collettività il diritto di opporre resistenza agli atti del Governo o dell’amministrazione pubblica posti in violazione dei diritti fondamentali delle persone: tale principio, come nella Costituzione francese del 1946, era indicato come «il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri». Queste tre norme non entrarono a far parte della Costituzione, perché considerate superflue o troppo generiche dal punto di vista del contenuto, mentre invece non lo erano affatto[16].
Un altro articolo dello schema Dossetti prevedeva che lo Stato si riconoscesse membro della comunità internazionale e «riconoscesse come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa». L’articolo successivo prevedeva la rinuncia alla guerra da parte dell’autorità pubblica come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. L’articolo 6 stabiliva, inoltre, la ricezione automatica da parte dell’ordinamento giuridico delle norme di diritto internazionale, alle quali veniva attribuito un valore superiore a quello delle leggi ordinarie. Alla fine c’era la norma più importante del testo: quella che, secondo Dossetti, interpretava «la coscienza cattolica della grande maggioranza del popolo italiano». Essa recitava: «Fermi restando i princìpi della libertà di coscienza e della uguaglianza religiosa dei cittadini, la religione cattolica — religione della quasi totalità del popolo italiano — è la religione dello Stato. Le relazioni fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica restano regolate dagli accordi del Laterano». Secondo Dossetti, tale richiamo ai Patti Lateranensi era giustificato dalla volontà di mantenere «quella pacificazione religiosa auspicata da tutti gli italiani»: infatti, anche se l’accordo era stato concluso da un regime autoritario come quello fascista, esso era già nei desideri e nell’opera degli ultimi Governi democratici[17]. Commentando il suo testo, il leader reggiano — che intervenne dopo la relazione di Cevolotto, tutta orientata a condannare l’inserimento del principio concordatario nella Costituzione — difese con forza il regime necessariamente bilaterale dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, osservando che un regime di unilateralità, come chiedeva la vecchia tradizione liberale (principio sempre sconfessato dalla Chiesa), avrebbe fatto cessare ogni distinzione tra i due ordinamenti originari «e si avrebbe o la teocrazia o il giurisdizionalismo».
A parte La Pira, che intervenne in favore del progetto-Dossetti, la maggior parte dei commissari si dimostrò alquanto perplessa di fronte a una dottrina giuridica così articolata e complicata e che, a loro avviso, metteva insieme materie tra loro molto diverse. Togliatti, che mostrò molto interesse alla relazione di Dossetti, anche se la definì materia «da trattato di diritto pubblico o di filosofia», disse che il suo partito «non sarebbe stato contrario ad inserire nella Costituzione un articolo in cui si dica che la Chiesa cattolica, che corrisponde alla fede religiosa della maggioranza degli italiani, regola i suoi rapporti con lo Stato per mezzo dell’esistente Concordato». La proposta fu immediatamente respinta da Dossetti, che si era impegnato con la Santa Sede a sostenere la suddetta formulazione e a non accettare nessun cambiamento a tale proposito. Anzi, da questo momento in poi, egli si adoperò per una difesa «intransigente» di tale testo, scombinando così i giochi di quei democristiani, primo fra tutti De Gasperi, che intendevano patteggiare tale delicata materia con le altre forze politiche, accedendo a formulazioni che eliminavano il richiamo esplicito ai Patti.
In questa prima discussione il punto di vista di Dossetti, che poi era anche quello della Santa Sede, fu difeso soltanto dai deputati del suo gruppo; gli altri democristiani si mostrarono su tale materia piuttosto dubbiosi, se non ostili. L’on. Tupini concluse la seduta in Sottocommissione invitando i relatori a rivedere il lavoro svolto e a tale proposito fu anche nominata un’apposita Commissione della quale facevano parte Togliatti, Mastrojanni, Basso, Lucifero. Insomma, l’indicazione era di rielaborare da capo l’intera materia, possibilmente semplificandola. In realtà, le vicende successive, cioè i ripetuti rinvii nella trattazione della materia e le alleanze trasversali che si vennero a creare, finirono per smontare completamente il complesso sistema giuridico creato da Dossetti per non isolare la questione concordataria da tutto il resto e non esporla al rischio dei patteggiamenti. La questione dei rapporti tra Stato e Chiesa ritornò per l’ultima volta in Sottocommissione il 18 dicembre 1946; al dibattito e alla votazione non fu però portata la formulazione presentata da Dossetti, ma un’altra proposta da Tupini a nome dei democristiani, che successivamente diventerà l’art. 7 della Costituzione, e che in questa sede ottenne la maggioranza relativa dei voti.
«L’articolo 7 — commenta Pombeni — che è quasi sempre presentato come il frutto ultimo della presenza dossettiana alla Costituente non era in realtà opera di questo gruppo, ma nasceva dall’azione di Tupini e Lucifero»[18]. Ma fu veramente così? Dalla documentazione vaticana risulta al contrario che la formulazione di tale articolo fu opera soprattutto dei dossettiani e che, una volta ottenuto l’assenso della Santa Sede, fu fatto proprio da tutti i democristiani presenti alla Costituente, che si impegnarono a difenderlo sino alla fine. Una Nota della Segreteria di Stato del 13 dicembre 1946, che riporta un colloquio tra La Pira e un esponente vaticano, su tale punto è abbastanza esplicita: «Ieri pomeriggio, alle ore 16, mi sono incontrato con l’on. La Pira. […]. Mi ha sottoposto due nuove formulazioni: a) Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuna nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati da concordati. La Repubblica riconosce i Patti Lateranensi. b) Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuna nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Gli ho risposto che preferisco senz’altro la seconda dicitura. Meglio riconoscere l’attuale stato di fatto senza mettere le mani avanti per l’avvenire. Detta seconda formula sarà quella che verrà proposta e difesa dai democristiani. L’on. La Pira ha, poi, aggiunto che essa è già stata approvata, anzi sottoscritta, dal rappresentante dei Qualunquisti, On. Mastrojanni, e che si spera venga accettata anche dai liberali. L’on. La Pira pensa che il 1° comma dell’articolo non incontrerà forte opposizione neppure dai social-comunisti, repubblicani o demolaburisti. L’on. La Pira ha nuovamente e caldamente raccomandato di tenere duro e non accettare nessun’altra formula che possa in qualche modo mettere in discussione, oggi o domani, i Patti Lateranensi»[19].
Dossetti e il Vaticano
Dalla documentazione di parte ecclesiastica risulta che i rapporti tra Dossetti e la Santa Sede, soprattutto nei mesi in cui egli lavorò alla prima Sottocommissione, furono molto intensi. In realtà, anche gli altri componenti del gruppo, cioè La Pira e Moro, furono ricevuti o chiamati dall’autorità ecclesiastica per riferire sui lavori alla Costituente; ma soltanto Dossetti, in realtà fin da subito, fu considerato come il leader indiscusso del piccolo gruppo di deputati democristiani presenti nella Sottocommissione. Ciò significa che in Vaticano erano state notate le sue doti di politico intelligente e lungimirante, nonché la sua capacità di mettere immediatamente a fuoco la materia giuridica e di guadagnarsi la stima e la simpatia anche dei propri avversari politici. Dai documenti risulta che egli quasi settimanalmente era chiamato in Segreteria di Stato «a riferire» sui lavori in Sottocommissione, e spesso era lui stesso che chiedeva di essere ricevuto per sottoporre all’autorità ecclesiastica casi particolarmente delicati o per ricevere istruzioni sicure su alcune materie. Di fatto egli lavorò alla Costituente confrontando in ogni momento il suo punto di vista e quello del suo partito con quello vaticano; anzi su alcune questioni delicate — come, ad esempio il testo del secondo comma dell’art. 7 — fu lui stesso a spingere l’autorità ecclesiastica, pressata in alcuni momenti da richieste di mediazione, a tenere un atteggiamento di massima intransigenza: «Meglio — disse una volta al Sostituto — la nostra formula anche con un solo voto di maggioranza, che quella di De Nicola approvata all’unanimità»[20].
La stessa redazione degli 11 articoli del progetto Dossetti relativi al rapporto tra l’ordinamento dello Stato e gli altri ordinamenti, compreso quello della Chiesa, furono, come si è prima ricordato, rivisti e in qualche punto anche corretti dalla Segreteria di Stato. Eppure essi sono stati spesso considerati come un ingegnoso strumento, creato a tale scopo dal giurista reggiano, per «deconfessionalizzare» la materia dei rapporti tra Stato e Chiesa, e, in ultima analisi, per limitare l’influsso della Chiesa sulla Costituzione. Su tale punto va però riconosciuto a Dossetti il merito di essere riuscito a organizzare tale materia creando un sistema valoriale compatibile con la sensibilità moderna e, allo stesso tempo, a esprimere contenuti di carattere confessionale, per di più invisi sia alla sinistra sia ai liberali, secondo i canoni della cultura laica.
«Questa mattina — è scritto in una Nota vaticana del 19 novembre 1946 — è ritornato in Segreteria di Stato l’on. Dossetti. Gli ho detto che, sostanzialmente, gli articoli proposti sono stati giudicati buoni (ciò dopo aver parlato, naturalmente, con l’Ecc.mo Superiore). Gli ho, poi, fatto presenti i piccoli rilievi a cui si accenna nell’appunto. L’on. Dossetti ha ringraziato. L’on. Dossetti si è incontrato anche con S. E. Rev.ma Mons. Tardini, dal quale ha avuto le opportune direttive. Si è rimasti intesi che i membri democristiani della prima sottocommissione presenteranno e difenderanno tali articoli. L’on. Dossetti ha assicurato che tempestivamente informerà la Segreteria di Stato su le eventuali difficoltà che i membri democristiani avessero da incontrare nella discussione. All’on. Dossetti ho detto che si sarebbe pensato a fare avvicinare gli onn. Lucifero e Mastrojanni perché sostengano i democristiani»[21]. Tale incarico fu affidato lo stesso giorno dalla Segreteria di Stato al p. Martegani, direttore della Civiltà Cattolica, al quale furono anche fatti conoscere gli articoli di Dossetti, che trovò «ben redatti»; i citati deputati si impegnarono personalmente a sostenete il punto di vista vaticano su tale materia.
Dalla documentazione vaticana risulta che, a partire dall’inizio del nuovo anno, cioè del 1947, le visite in Segreteria di Stato di Dossetti e dei suoi amici andarono diminuendo, fino a cessare del tutto. Nel frattempo, infatti, molte cose sul piano politico generale erano cambiate, mentre il lavoro svolto dai dossettiani nella prima Sottocommissione era ormai giunto alla fine: gli articoli preparati in questa sede passarono per un ulteriore vaglio nella Commissione plenaria; a partire da marzo, poi, iniziarono i lavori in Assemblea, con le relative discussioni e successive votazioni dei singoli articoli. La situazione politica, invece, nel frattempo si era andata velocemente trasformando: dopo il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, la «coabitazione forzata» del Governo Tripartito entrò in una fase di crisi irreversibile, che sarebbe poi sfociata nella rottura dell’alleanza ciellenista e nella formazione, alla fine di maggio, di un nuovo Governo guidato da De Gasperi e appoggiato dai moderati, senza la presenza dei socialcomunisti.
Nel Consiglio Nazionale della Dc che si riunì dal 9 al 15 dicembre 1946 si consumò intanto la rottura tra i degasperiani e i dossettiani. Questi ultimi infatti si erano fatti promotori di una mozione di sfiducia, presentata da Dossetti e Lazzati, nei confronti della Segreteria e della stessa Direzione del partito. Essi si opponevano al nuovo indirizzo «neoliberista» impresso da De Gasperi all’economia nazionale, nonché al suo tentativo di allacciarsi ai «poteri forti». Sul piano più propriamente politico ciò significava spostare verso il centro la collocazione della nuova alleanza di Governo e quindi rompere, come volevano gli imprenditori, gli Stati Uniti e il Vaticano, con i socialcomunisti. I dossettiani sapevano bene che tale scelta avrebbe avuto come conseguenza l’interruzione del dialogo con le sinistre — iniziato all’indomani della guerra nei Comitati di liberazione nazionale e poi proseguito, non senza fatica, nei Governi ciellenisti di unità nazionale e nelle commissioni della Costituente — e consegnato d’ora in avanti la materia costituzionale alla trattativa dei partiti, facendone quindi oggetto di compromesso politico.
Terminato il lavoro preparatorio nelle Sottocommissioni, iniziò, nelle sedi più elevate, quello più delicato della discussione e poi della votazione della materia costituzionale; attività queste che richiedevano ai rappresentanti dei partiti grande abilità politica e capacità di mediazione. A questo punto le autorità vaticane chiesero ai dirigenti politici della Dc di portare avanti essi stessi, sotto la propria responsabilità, il lavoro precedentemente svolto dal gruppo dossettiano: a partire da questo momento il testimone della materia costituzionale passò dai giuristi-ideologi, cioè dai «professorini», ai politici di professione. In questa fase, infatti, i maggiori interlocutori della Segreteria di Stato saranno gli uomini della vecchia guardia, quasi tutti degasperiani, cioè Tupini, Corsanego, Brusasca e lo stesso presidente del Consiglio. Anzi fu la stessa Santa Sede a chiedere a De Gasperi, attraverso il nunzio in Italia, mons. F. Borgongini Duca, che gli indicasse un interlocutore attraverso il quale «i suggerimenti [vaticani] possano arrivare agli onorevoli del partito senza mettere in vista la Nunziatura e la Santa Sede». A tale proposta — secondo una relazione del 5 marzo 1947 — De Gasperi, dopo aver lungamente meditato, rispose: «Dossetti no, egli ha qualche volta espresso il parere che non bisogna ascoltare le reazioni reazionarie del Vaticano. E nemmeno Moro, che […] ha nella Costituente sostenuto articoli sociali di sinistra. Questi professori hanno combinato qualche guaio. Dossetti ha trattato con Togliatti, il quale ad un certo momento gli ha detto perfino di non essere contrario ai Patti Lateranensi, sicché il partito democristiano si è aggrappato a questa posizione; ora Togliatti ha fatto macchina indietro. Lei potrebbe trattare con Tupini o Corsanego»[22].
Ora tali parole furono ascoltate in Vaticano con viva sorpresa: si sapeva che le posizioni di Dossetti non coincidevano in ambito politico con quelle di De Gasperi e dei suoi, si sapeva anche che il gruppo dei professorini era molto sensibile alle questioni di giustizia sociale e che in alcune occasioni si erano trovati a fare fronte comune con la sinistra, ma non si pensava affatto che Dossetti potesse fare il doppio gioco con la Santa Sede. Egli nell’ambiente della Segreteria di Stato era considerato persona affidabile e, sulle questioni riguardanti la materia religiosa, abbastanza vicino alle posizioni vaticane. Perciò, discretamente, si chiesero informazioni alle persone con le quali il deputato reggiano aveva avuto maggiori contatti. Significativa a tale proposito è la risposta data da mons. A. Dall’Acqua: «Non è mia intenzione — scriveva l’8 marzo l’addetto alla Segreteria di Stato — mettere in dubbio quanto l’on. De Gasperi ha detto a S. E. Mons. Borgongini Duca a proposito dell’onorevole Dossetti: mi sento, però, in dovere di ricordare che l’on. Dossetti, tutte le volte che si è incontrato con me per discutere punti della nuova Costituzione italiana, mi si è dimostrato assai deferente verso la Santa Sede. Ma nella risposta a mons. Nunzio è bene non fare cenno di ciò»[23]. Insomma, in Vaticano sia Dossetti sia gli altri «professorini» erano molto stimati e godevano di buona fama: grande infatti era il sentimento di riconoscenza che la Santa Sede provava nei loro confronti per il lavoro da essi svolto nella prima Sottocommissione in favore della nazione italiana e della Santa Sede, da essi entrambe difese con lo stesso coraggio e amate con lo stessa coerenza e generosità.
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[1] A metà degli anni Cinquanta fondò la comunità monastica delle Piccole Famiglie dell’Annunziata. Durante gli anni del Concilio fu collaboratore del card. Lercaro, arcivescovo di Bologna.
[2] Segnaliamo il ciclo di incontri, lezioni e conferenze su Giuseppe Dossetti (settembre 2006 – febbraio 2007) organizzato dalla Fondazione per le Scienze Religiose «Giovanni XXIII» di Bologna. Tra i libri recentemente pubblicati su Dossetti ricordiamo il pregevole lavoro di E. GALAVOTTI, Il giovane Dossetti. Gli anni della formazione: 1913-1939, Bologna, il Mulino, 2006. Purtroppo manca ancora una biografia completa di Dossetti.
[3] Cfr P. POMBENI, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana (1938-1948), Bologna, il Mulino, 1979; ID., La Costituente. Un problema storico-giuridico, ivi, 1995; R. RUFFILLI (ed.), Cultura politica e partiti nell’età della Costituente, vol. I: L’area liberal-democratica. Il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana, ivi, 1979. Sul contributo dei costituenti cattolici alla Costituzione si vedano: M. CASELLA, Cattolici e Costituente. Orientamenti e iniziative del cattolicesimo organizzato (1945-1947), Napoli, Esi, 1987; P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico: 1945-1996, Bologna, il Mulino, 1997; ID., La proposta politica di De Gasperi, ivi, 1977; G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano al potere. La DC di De Gasperi e di Dossetti, Firenze, Vallecchi, 1974; G. CAMPANINI, Fede e politica: 1943-1951. La vicenda ideologica della sinistra DC, Brescia, Morcelliana, 1977; A. MELLONI (ed.), La ricerca costituente (1945-1952), Bologna, il Mulino, 1994; G. TROTTA, Giuseppe Dossetti. La rivoluzione nello Stato, Firenze, Camunia, 1996; G. ALBERIGO (ed.), Giuseppe Dossetti. Prime prospettive e ipotesi di ricerca storica, Bologna, il Mulino, 1998; G. SALE, De Gasperi, gli USA e il Vaticano all’inizio della guerra fredda, Milano, Jaca Book, 2005; L. ELIA, «Alcide De Gasperi e l’Assemblea Costituente», in Astrid-Rassegne XV (2005).
[4] Cfr G. SALE, «I cattolici alla Costituente», in Civ. Catt. 2007 IV 213-226.
[5] Tra queste c’erano alcuni settori del mondo imprenditoriale, la Chiesa e l’Amministrazione statunitense.
[6] Cfr A. G. RICCI, Il compromesso costituente. 2 giugno-18 aprile 1948: le radici del consociativismo, Lecce, Bastogi, 1999, 40 s; A. LEPRE, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1943 al 1998, Bologna, il Mulino, 1999, 94.
[7] In realtà, la richiesta di conoscere il punto di vista della Santa Sede su alcune importanti materie di carattere religioso fu fatta nell’ottobre 1946 dal presidente della Commissione dei 74, Meuccio Ruini: «Padre Martegani [allora direttore della Civiltà Cattolica] mi ha detto a tale riguardo — è scritto in una Nota della Segreteria di Stato del 16 ottobre 1946 — a) che alcuni giorni fa ha ricevuto la visita del Principe don Carlo Pacelli, il quale, a nome del Santo Padre, l’ha pregato di far preparare […] le concessioni che, al massimo, la S. Sede potrebbe fare. b) tale promemoria è stato chiesto al principe Pacelli dall’on. Ruini […]. Intendimento dell’on. Ruini sarebbe di fare opera di persuasione sui colleghi perché nulla si metta nella Costituzione che possa dispiacere alla S. Sede. c) che i padri della Civiltà stanno lavorando a tale proposito»: ARCHIVIO DELLA CIVILTÀ CATTOLICA (ACC), Fondo p. Martegani.
[8] Tale intervento dell’Azione Cattolica nella materia costituzionale fu incoraggiato dalla Segreteria di Stato, la quale, però, pur trovandolo opportuno, lo censurò in alcune sue parti: «1° = L’Avv. Veronese dell’Azione cattolica ha fatto avere all’Ecc.mo Monsignor Sostituto — il quale ha tutto trasmesso alla 1° Sezione per competenza — le unite conclusioni a cui pervenne la Commissione dell’I.C.A.S. costituita per lo studio dei rapporti fra Stato e Chiesa, in vista della nuova Costituzione. 2° = L’Avv. Veronese vorrebbe rendere pubbliche tali conclusioni, e chiede una risposta entro il 20 corrente. Vorrebbe, infatti, che tutto fosse pubblicato prima della discussione in seno alla Prima Sottocommissione. Lo studio dell’I.C.A.S., in sostanza, mi pare sia fatto bene. Tuttavia, si sarebbe potuto: a) spiegar meglio il concetto espresso a pag. 2 circa il «voto plurimo a favore del capo di famiglia»; b) non insistere troppo su la «perfetta uguaglianza» fra uomo e donna (pag. 4), tanto più che subito dopo — e giustamente — si dice che l’uomo è il capo della famiglia; c) non insistere molto su la retribuzione alle donne lavoratrici (pag. 5) uguale a quella degli uomini, per uguale rendimento etc., anche perché a pag. 2 giustamente si ricorda “la missione domestica della donna”; d) dall’azione cattolica era da aspettarsi una esplicita riaffermazione che la religione cattolica è la religione dello Stato, e non soltanto la constatazione di un fatto, che, cioè la grandissima maggioranza del popolo italiano professa la religione cattolica; e) Forse poteva essere utile anche un accenno alla desiderata sincera collaborazione fra datori di lavoro ed operai, anche per riaffermare la libertà sindacale; 3° = Quanto alla pubblicazione di dette conclusioni si può anche lasciar fare, senza per altro far molta propaganda, anche perché i lavori della prima Sottocommissione sono ormai quasi ultimati. Si aggiunga che qualche desiderata della direzione dell’Istituto Cattolico di Attività Sociali è da considerarsi — praticamente — superato, dopo l’approvazione, già avvenuta, di vari articoli»: ivi, Il documento vaticano è datato 18 novembre 1946.
[9] In L’Assistente ecclesiastico XVI (1946) 146. Su tale materia si vedano: A. GIOVAGNOLI, «Le organizzazioni di massa d’Azione Cattolica», in R. Ruffilli (ed.), Cultura e politica nell’età della Costituente, cit., 263 s; M. CASELLA, Cattolici e Costituente, cit., 287 s.
[10] ACC, Fondo p. Martegani.
[11] P. POMBENI, La Costituente. Un problema storico-giuridico, cit., 250.
[12] ACC, Fondo p. Martegani.
[13] A tale proposito si legge in una Nota della Segreteria di Stato del 16 ottobre 1946: «In questi ultimi tempi ho notato [è l’interlocutore vaticano che scrive] un certo qual avvicinamento della Direzione del Partito Democristiano con la Civiltà Cattolica, che prima, invece, era un po’ ignorata […]. Si tende a far sì che nella Costituzione si faccia esplicito cenno dei Patti Lateranensi: che siano, cioè, accolti e non solo per questioni di politica interna, ma anche sotto l’aspetto giuridico riferentesi al diritto internazionale. Siamo rimasti intesi che quanto prima si farà una riunione alla Civiltà Cattolica con l’on. Dossetti»: ivi.
[14] Furono numerose infatti, a quel tempo, le pressioni esercitate in Vaticano a tale scopo da persone autorevoli molto stimate nei Sacri Palazzi, come il presidente della Repubblica De Nicola, l’on. Orlando, il presidente Ruini e altri. Su tale materia ritorneremo successivamente.
[15] ACC, Fondo p. Martegani.
[16] Cfr F. P. CASAVOLA, «Prefazione», in G. DOSSETTI, I valori della Costituzione, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2005, 12.
[17] Su tale materia cfr F. MARGIOTTA BROGLIO, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Roma – Bari, Laterza, 1966, 43 ss.
[18] P. POMBENI, La Costituente. Un problema storico-giuridico, cit., 260.
[19] ACC, Fondo p. Martegani.
[20] Ivi. La formula proposta da De Nicola diceva: «Le relazioni tra Stato e Chiesa continueranno ad essere regolate da rapporti concordatari». Togliatti aveva promesso al Capo dello Stato di votare tale formula, in quanto non riportava la menzione dei Patti Lateranensi.
[21] ACC, Fondo p. Martegani.
[22] Ivi.
[23] Ivi.