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Dopo aver lavorato alla stesura del suo primo romanzo, intitolato Acciaio contro acciaio, in cui l’azione si svolge durante il Primo conflitto mondiale, la rivoluzione e la guerra civile russa, nell’autunno del 1926 Israel Joshua Singer fu sollecitato a tornare in Unione Sovietica dal direttore del Forverts, il quotidiano in lingua yiddish che veniva pubblicato a New York.
Lo studioso vi era già stato qualche anno prima, tra il 1918 e il 1921. Dal nuovo viaggio, che sarebbe durato diversi mesi, avrebbe avuto origine il reportage che sarebbe stato dato alle stampe nel 1928 e del quale vede ora la luce la versione italiana, a opera di Marina Morpurgo.
Nella brevissima Introduzione, rivolgendosi ai lettori, l’A. scrive: «Queste immagini e impressioni sono state scritte di getto, sul momento, come accade nei viaggi, e forse non sono sufficientemente cesellate e precise: vi prego quindi di giudicarle come tali» (p. 12). Malgrado l’understatement che sembra caratterizzare queste parole, va subito sottolineato come questa opera costituisca una testimonianza di grande valore, perché Singer, che aveva osservato a fondo il Paese dei Soviet nel pieno della tempesta rivoluzionaria, non si limita a descrivervi uno scenario radicalmente mutato, ma riesce a cogliere in nuce quelli che saranno i principali connotati del regime staliniano: l’enorme potere della burocrazia, la pervasività dell’apparato poliziesco, il fanatismo dell’obbedienza, il riaffiorante antisemitismo, gli ideali comunisti ridotti ormai a slogan propagandistici.
Lo scrittore non trascura poi di percorrere le campagne della Bielorussia e dell’Ucraina, né di visitare le maggiori città del Paese, da Mosca – che gli appare «grande, straordinaria e bellissima», fantastico miscuglio di vecchio e nuovo – a Kiev e Minsk, fino a Odessa: itinerari che, oltre a dargli l’opportunità di fornirci un’avvincente polifonia di testimonianze, gli consentono di restituire un quadro vivace e composito, ricco di contrasti, della nascente società sovietica, e di far vedere le feroci contraddizioni che si moltiplicano sotto lo sguardo vigile e severo del «santo Vladimir», icona laica tanto onnipresente quanto venerata.
Occorre inoltre notare come Singer riservi grande attenzione al mondo ebraico orientale. Animato dal proposito di comprenderne i cambiamenti in atto, egli nota la grande varietà di atteggiamenti che lo contraddistingue: molti ritengono ormai superati i rabbini, altri indossano di nuovo gli scialli da preghiera, altri ancora rispettano le usanze solo di tanto in tanto, i giovani non vi si attengono mai. L’A. osserva poi la recrudescenza dell’antisemitismo, constata il declino della cultura yiddish soprattutto nelle grandi città, ma vede con soddisfazione che migliaia di israeliti hanno trovato un lavoro nelle campagne e altrettanti sono stati assunti nelle fabbriche e negli uffici, mentre parecchi bambini frequentano le scuole religiose, e vengono istituiti numerosi tribunali, consigli e distretti ebraici. Egli conclude, quindi, con una certa spavalderia: «Sono cifre lusinghiere! Avanti così per altri vent’anni, e in Russia non esisterà più una questione ebraica» (p. 255).
Vanno infine rilevate, sotto il profilo stilistico, la scorrevolezza della prosa, la concisione dei periodi, l’essenzialità del lessico: peculiarità, queste, che contribuiscono a fare di La nuova Russia un testo pregevole e, talvolta, illuminante, nell’ambito del quale l’Unione Sovietica dei tardi anni Venti sembra delinearsi come un Paese completamente diverso dagli altri, un vero e proprio mondo a sé.