Il dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e Comunità cristiane ebbe inizio all’indomani del Concilio Vaticano II (1962-65), con l’approvazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio. Questo documento segnò l’ingresso ufficiale della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico. Il gesto simbolico che sottolineò questa svolta ecumenica avvenne alla vigilia della conclusione di quel Concilio (7 dicembre 1965), quando furono cancellate le reciproche scomuniche tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, condanne che erano in vigore fin dal Grande Scisma del 1054.
Da quel momento in poi, la Chiesa cattolica si è impegnata in vari dialoghi, soprattutto bilaterali, con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. Una delle questioni maggiormente dibattute in tali dialoghi è stata certamente quella del primato papale[1]. Ne fece menzione indirettamente Paolo VI nel discorso rivolto ai membri dell’allora Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani (28 aprile 1967), dicendo con franchezza che il Papa «è senza dubbio l’ostacolo più grande sul cammino dell’ecumenismo»[2]. Questa constatazione venne ripresa successivamente nell’enciclica Ecclesiam Suam (ES), del 6 agosto 1964, in cui ancora una volta il Papa ribadì: «Un pensiero, a questo riguardo, Ci affligge, ed è quello che fa vedere come proprio Noi, fautori di tale riconciliazione, siamo da molti Fratelli separati, considerati l’ostacolo ad essa, a causa del primato di onore e di giurisdizione, che Cristo ha conferito all’apostolo Pietro, e che Noi abbiamo da lui ereditato. Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l’unificazione delle Chiese separate con la Chiesa cattolica sarebbe più facile?»(ES 114).
Poco più di trent’anni dopo, il 25 maggio 1995, sempre in un’enciclica, questa volta dedicata all’impegno ecumenico, Ut unum sint (UUS), Giovanni Paolo II indicò una via per rimuovere, almeno in parte, questo ostacolo, cioè «[trovando] una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova» (UUS 95). Per fare questo, bisognava ripensare non tanto l’essenza quanto la forma dell’esercizio del primato. In quella enciclica, il Papa invitava i responsabili ecclesiali e i teologi delle altre Chiese a instaurare con lui «su questo argomento un dialogo fraterno, paziente», nel quale potersi ascoltare «al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa» (UUS 96).
Anche papa Benedetto XVI fece suo l’invito di Giovanni Paolo II, insistendo sul discernimento tra la natura e
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