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«Siamo circondati e ci muoviamo tra i diversi tipi di organizzazioni» (p. 9). In questo contesto, la responsabilità del singolo e la sua possibilità di scelta nei processi decisionali vengono mantenute, o si riducono ai minimi termini? A questa domanda prova a rispondere Gianni Manzone, professore emerito di Dottrina sociale della Chiesa ed etica sociale, orientando la riflessione etica e teologica alla ricerca del senso dei doveri e delle regole procedurali, dei modi con cui la coscienza può e deve assumere le necessità organizzative che appaiono private di ogni senso religioso. Concepire l’organizzazione soltanto come un sistema strutturato chiuso, costituito da attori razionali che massimizzano l’utilità, quasi senza caratteristiche umane, conduce alla separazione dell’individuo dalle sue azioni, che già Marx aveva riconosciuto come «alienazione».
Questo comporta, fra l’altro, «il rischio della diluizione della responsabilità fino all’irresponsabilità», che «diviene regola di condotta aziendale» (p. 84). La tragedia del crollo del ponte Morandi di Genova è un esempio di quanto sia rilevante, a livello di sistema, la responsabilità personale dell’individuo. Bisogna offrire adeguati «punti istituzionali di riferimento, che permettono di dare alla responsabilità individuale effettività pratica» (p. 89). La Dottrina sociale della Chiesa «considera sia la persona sia il risultato, dando priorità allo sviluppo umano dentro i sistemi organizzativi» (p. 55).
Tuttavia, occorre prendere atto che spesso l’azione si compie in un ambiente conflittuale, impegnando moralmente i membri di un’organizzazione a indirizzare il dissenso verso le forme positive della vita organizzativa, come critica costruttiva, obiezione di coscienza, dimissioni, fino alla denuncia. Inoltre, nelle organizzazioni, come nell’animo umano, c’è il lato oscuro, situazioni in cui le persone feriscono altre persone, le ingiustizie sono perpetrate e magnificate, e il perseguimento della ricchezza, del potere e della vendetta conduce a comportamenti spregevoli, corruzione e manipolazione. L’aspetto impersonale delle organizzazioni può portare l’individuo a perdere il proprio senso di responsabilità, a quella che Hannah Arendt definisce «banalità del male». Diventa allora necessario il «discernimento responsabile» richiamato da papa Francesco. E questo non è una cosa semplice, quando il bene sembra irraggiungibile e il male inevitabile. L’oggetto rimane il «bene possibile» in quella situazione concreta, perseguendo soluzioni che cercano di integrare i vari interessi, differenti e spesso in conflitto tra loro.
L’interesse della teologia morale per le organizzazioni «riguarda l’uomo e il senso degli ordinamenti strutturali», per «contribuire alla creazione di una comunità in cui ogni persona può fiorire come essere umano» (p. 154). Si tratta di un impegno complesso, che deve prendere la forma di un progetto sociale collettivo, dove entra in gioco la politica, in un ambiente sociale caratterizzato da individualismo e da indebolimento della partecipazione. L’eventualità di tensioni e conflitti «può essere gestita dalla politica in modo da far emergere armonizzazioni e integrazioni, in una prospettiva dinamica e alla luce della questione più radicale, complicata dal pluralismo culturale: verso quale causa io sono responsabile? Quale causa può darmi fiducia?» (p. 156).