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«Non temere, perché io sono con te (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo» è stato il tema scelto da papa Francesco per il Messaggio lanciato in occasione della 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, e proprio attorno alle sue parole si snodano i dodici contributi di riflessione contenuti in questo saggio. Macinare non zizzania ma grano nel mulino del flusso informativo, spezzare il pane sul palmo della mano per «essere responsabili delle persone che la vita ci ha dato d’incontrare»: anche i giornalisti sono chiamati a porsi davanti alla realtà con parole, gesti e occhi nuovi, «alla ricerca di uno stile comunicativo aperto e creativo, che non sia mai disposto a concedere al male un ruolo da protagonista».
«Il grado di speranza che abita in noi misura il grado della nostra umanità», sottolinea nella prefazione del libro don Mauro Mantovani, rettore dell’Università Pontificia Salesiana. Una comunicazione mediatica al servizio di una cultura dell’incontro non può prescindere da quella pedagogia della speranza, ancorata in Dio, che costantemente sperimentiamo alla scuola di Francesco. D’altra parte, sebbene l’evoluzione dei media abbia trasformato il modo di comunicare, la Chiesa ha avuto da sempre un approccio positivo verso linguaggi comunicativi, grammatiche simboliche e metaforiche come strumento di missione per annunciare la Buona Notizia attraverso i secoli.
Cultura orale, iconografia cristiana, agiografie, cinema, radio, televisione, rivoluzione digitale: l’excursus storico di Peter Gonsalves illustra il ruolo cruciale dei media per il progresso umano anche nella missione della Chiesa.
Ma il senso profondo della comunicazione vive della ricerca di un equilibrio tra technē e humanitas, per recuperare quel senso di comunione e di fraternità in cui alberga la speranza più autentica, che è sempre foriera di amore e di bene per l’altro. «L’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire»: è tutto qui il cuore della comunione con tutte le creature, grido che si amplifica nella Laudato si’, l’enciclica sulla cura della casa comune.
Oggi più che mai, in «tempi di incertezza economica» e «timori di terrorismo globale», comunicare significa «mettere in comune», donare quella parola «sempre capace di accogliere, lenire e rischiarare l’orizzonte di chi è in ascolto», o quell’immagine, quella fotografia che sono in grado di «far tacere le persone, indurle al silenzio e farle riflettere per molto tempo», secondo il fotoreporter Mimmo Chianura.
È urgente una rieducazione all’umano come essere dialogante e «in relazione con», come testimoniano alcune esperienze significative: il format di conferenze TED talks, vero e proprio «Rinascimento dell’arte di parlare in pubblico», nato da un’idea del giornalista Chris Anderson; la missione educativa e catartica del dramma «Wit», realizzata da Tadek Lewicki con il Gruppo teatrale dell’Università Pontificia Salesiana; la street art, che si impegna a favore della giustizia sociale; o i «madonnari», che traghettano la bellezza dell’arte sacra nelle piazze, nelle strade asfaltate, nelle periferie del mondo.
Nella moderna e inquieta «epoca delle passioni tristi», tratteggiata dal filosofo Spinoza, questi sono frammenti di bene, di vita e di speranza, «piccola promessa di gemma che s’annuncia proprio all’inizio di aprile» sul legno dell’albero rinsecchito dal freddo dell’inverno, come icasticamente la descrive Charles Péguy.
AA.VV.
I germogli della Buona notizia. Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo
Roma, LAS, 2017, 264, € 18,00.