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Il piccolo libro di Giona, inserito nelle nostre Bibbie tra i 12 profeti minori, è in realtà un «racconto di una missione» che, tra varie vicissitudini, arriva alla fine a un buon termine. Ma qual è questo termine? «Sempre aperto», ci spiega l’A. con il presente scritto. Perché aperto? Perché il libro termina con una domanda da parte di Dio che non riceve una risposta da parte di Giona. Possiamo definire l’autore, Enzo Appella, un esegeta scrittore. Esegeta, perché ne ha la competenza, largamente dimostrata in queste pagine, oltre che dalle sue precedenti pubblicazioni scientifiche; scrittore, perché sa usare la penna, come ha già fatto più volte nelle sue opere.
Chi era Giona di Amittai? Il profeta nominato in 2 Re 14,25? È da escludere (cfr pp. 81-83). Era comunque un profeta, anzi «un profeta che graffia» (p. 15). Il libro di Giona ha già attirato molti commentatori, come si vede dalla bibliografia, dove sono indicati 18 autori. Il rischio di questa «parabola», una «storia geniale» apparentemente semplice, è quello di farne una lettura di tipo marcionita, come se questo libro fosse il manifesto di un Dio tutto e solo misericordia, come appunto lo intendeva Marcione nel II secolo.
Alcune affermazioni di Appella non sembrano sfuggire a questa lettura, quando egli scrive, ad esempio, che il racconto «promette redenzione a chiunque» (p. 235), che Dio è «carità senza limite per chiunque» (p. 236), e che «il suo progetto è di salvezza per tutti» (p. 238), «ma proprio tutti. Nessuno è escluso» (p. 73). L’A. però non cade in questo tranello, tant’è vero che dedica un capitolo al tema «Giona tra misericordia e giustizia». Così, «come Dio possa tenere insieme la giustizia e la misericordia» (p. 102) è un problema suo, ma resta vero che «in lui la giustizia non è mai difforme dalla misericordia e viceversa» (ivi). Insomma, «la perfezione della giustizia in Dio è la sua misericordia» (p. 103).
Tuttavia misericordia e giustizia non sono due piatti di una bilancia che stanno in parità, perché c’è uno sbilanciamento della misericordia a discapito della giustizia. Dio infatti è «ricco di amore e fedeltà» (Es 34,6; Sal 86,15), «ricco di misericordia» (Ef 2,4), «ricco di misericordia e di compassione» (Gc 5,11), mentre non si dice mai che Egli è «ricco di giustizia», ma piuttosto è «lento all’ira», come lo riconosce Giona stesso. È quello che Appella chiama «la formula di grazia» (p. 109).
Rimane però il fatto che la misericordia di Dio è «scandalosa», e per questo Giona si arrabbia, perché il Signore è «troppo buono», nel senso che si accontenta di poco. Un poco però ci vuole sempre, se no Dio rimane bloccato. Che cos’era infatti il digiuno indetto dai niniviti in confronto a tutti i loro misfatti? Comunque sia, il Signore si accontenta di quel digiuno, come segno di pentimento. È uno scandalo che, per un ebreo, e non solo per lui, non ha risposta. Perciò «il libro di Giona si fa soglia obbligata per entrare nel Nuovo Testamento» (p. 39). Infatti, solo in Gesù si ha la risposta allo scandalo della misericordia, lui che «è morto per i nostri peccati» (1 Cor 15,3). Così al malfattore crocifisso con lui basta una supplica: «Gesù, ricordati di me» (Lc 23,42), per ottenere il paradiso. Troppo facile, direbbe qualcuno! Anche il padrone della parabola rimette un debito enorme al suo servo solo «perché tu mi hai pregato» (Mt 18,32). Non c’è proporzione! Ma Dio non manca di giustizia, semplicemente dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15).
Il libro di Appella è diviso in due parti: la prima, intitolata poeticamente: «La cassetta degli attrezzi, per entrare nel libro», è una sorta di introduzione generale, la più impegnativa; la seconda, intitolata: «La rosa dei venti», è un commento al testo nei suoi quattro capitoli. Ci sono pure accenni ad attualizzazioni, come alla «società secolarizzata; ai «venti di violenza» che spirano «ancora gelidi»; alla «Chiesa in uscita»; con qualche concessione agli animalisti. La lettura è sempre piacevole, affascinante, non stanca.