
La globalizzazione dei mercati quale la conosciamo oggi non è un fenomeno spontaneo e inevitabile. Ha una storia di svolte e di inversioni di tendenza. La pandemia di Covid-19 e l’invasione russa dell’Ucraina ne hanno rivelato la fragilità: la prima, interrompendo per due anni alcune catene di approvvigionamento di componenti tecnologici e minerali; la seconda, minacciando di provocare carestie nei Paesi che dipendono dalle esportazioni di grano ucraino, in particolare in Africa. Questi due eventi mostrano anche la straordinaria interdipendenza della famiglia umana: la salute dei lavoratori cinesi a Wuhan riguarda il mondo intero; la guerra in corso in Ucraina mette in gioco alleanze e rivalità a cui nessun Paese può sottrarsi.
La transizione ecologica[1] – ovvero la necessità per l’intero Pianeta di abbandonare i combustibili fossili e di trasformare i propri stili di vita per renderli compatibili con i vincoli ecologici – è un’altra dimensione in cui viviamo l’esperienza dell’unità del Pianeta: un bicchiere d’acqua su cinque che beviamo proviene dall’evapotraspirazione dei grandi alberi dell’Amazzonia, per cui non è esagerato per ciascuno di noi dire: «Io sono l’Amazzonia». Questo implica che trasformare il più grande polmone del Pianeta in una savana sarebbe una catastrofe per ciascuno di noi.
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