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Il libro di Tobia è uno dei sette deuterocanonici dell’Antico Testamento[1]. La Chiesa l’ha accettato nel canone con una certa resistenza, perché gli ebrei l’hanno rifiutato cancellandolo dall’elenco dei libri sacri. La ragione è emersa nel tempo: i deuterocanonici presentano delle originalità rispetto alla Torah, perché hanno un orientamento verso la novità che sta emergendo dal patrimonio ebraico della Scrittura. Danno compimento alla rivelazione dell’Antico Testamento, aprendosi nel contempo verso un oltre, verso il mistero che oggi per noi è patrimonio prezioso: ed è il mistero pasquale, la morte e la risurrezione di Gesù e il dono dello Spirito Santo[2]. Secondo alcuni autori, il libro della Sapienza, l’ultimo dei deuterocanonici, sarebbe stato composto nella nostra era, quando Gesù era già nato[3].
Il libro di Tobia
Tobia è stato scritto intorno all’inizio del II secolo a.C. in ebraico o in aramaico, ma il testo originale era già completamente cancellato alla fine del II secolo. Ci rimane la versione greca dei Settanta, in due forme: una lunga e una breve. Il Codice Sinaitico ha una versione più lunga rispetto al Codice Vaticano e all’Alessandrino. Il testo lungo è contenuto anche nella Vetus latina: un fatto importante, questo, perché è anteriore a san Girolamo e ci trasmette una redazione più antica.
Il libro viene scritto quando gli ebrei sono dispersi nella diaspora e si trovano a vivere tra i pagani in Assiria, a Ninive, ritenuta la capitale del peccato e della prepotenza. Ne deriva, di conseguenza, il confronto con un mondo altro, in un contesto sociale, politico, religioso completamente diverso e per giunta ostile. Tuttavia il popolo di Dio vuole conservare la propria identità, la coltiva, l’approfondisce. Certo, lo scontro con la società pagana è fortissimo, poiché le differenze, i costumi, la cultura, la teologia e le tradizioni religiose sono diversi. La società assira è fondata sul culto del potere e della violenza, inaccettabili per la fede e la religiosità ebraica. Quindi la persecuzione, l’irrisione, l’insolenza, le maldicenze, testimoniate anche dalla letteratura antica greca e latina, sono diventate tradizionali nei confronti dei giudei e, in parte, trasferite poi sui cristiani.
L’assunto del libro di Tobia è salvare un’identità, affermarla, coltivarla, promuoverla, suscitando nel contempo la stima degli altri, che vengono comunque rispettati nella loro alterità. È questo l’atteggiamento di fondo di Tobi, il padre di Tobia, che è il vero israelita, l’uomo della tradizione, che vive con passione la storia del proprio passato[4].
Un libro attuale anche per i cristiani
Un libro scritto per la diaspora è anche un testo attualissimo per i cristiani del nostro tempo: si vive in un mondo scristianizzato. La situazione della Chiesa oggi è quella di un cristianesimo della diaspora, con la ricorrente tentazione di chiudersi in un ghetto, in un ambiente tutto cristiano e strutturato da istituzioni clericali. Di qui l’insegnamento del libro, i cui personaggi vivono con una fedeltà, sincera ma ossessiva, al proprio passato, alla propria tradizione, alla propria missione. Questo è una degli aspetti che bisogna saper leggere nello svolgersi del racconto: l’uomo di Dio che si chiude in un ingorgo di consuetudini sacrali tradisce la sua vocazione. Di fatto, i più si lasciano conquistare e omologare da quel mondo, e così le tribù sono davvero perdute. Ma le tribù «perdute» non rimangono fuori della missione dell’intero Israele: al contrario, la loro parte è appunto quella di rendere testimonianza a Dio nella diaspora.
Due sono quindi le tentazioni che insidiano gli esiliati: l’assimilazione al mondo in cui si trovano, oppure la chiusura nel ghetto. Non sono due atteggiamenti opposti e contraddittori, il contrasto è tutto in superficie: essi concordano nel fondo, in quanto dicono che la vocazione alla testimonianza in mezzo ai pagani – in un rapporto di parità o anche di inferiorità – è troppo difficile, e la tentazione di disimpegnarsene è sempre in agguato.
La trama del libro
Questo vivere difficile per i protagonisti del libro dura tutta l’esistenza; un’esistenza estremamente lunga, che sarebbe – stando al testo – plurisecolare: è l’esistenza intera gettata in un confronto duro e pesante. I protagonisti sono tre: Tobi, il figlio Tobia e Sara, una lontana parente. Il padre ha una vita tratteggiata in modo estremamente complesso.
Dopo aver presentato il contesto umano e religioso del libro, il racconto ha inizio con la festa di Pentecoste, in cui si celebra la solidarietà del popolo di Dio, nel ricordo della liberazione dell’esodo (cfr Tb 2,1–3,6). Questa solidarietà è parte di un progetto di Dio sulla storia cui si accede con la preghiera (cfr 3,7-17). Accanto alla preghiera, la sapienza: condizione per muoversi in quel disegno e per portarlo a termine. La sapienza è trasmessa con la solennità di un testamento (cfr 4,1-21).
La festa di Pentecoste si conclude con un segno luttuoso: abbandonato sulla piazza vi è il cadavere di un uomo strangolato perché ebreo. Ogni israelita sa che la Pentecoste rievoca il dono della Legge, e dalla Legge Tobi si sente interpellato, aprendosi così a un gesto di amore nei confronti di un fratello[5]. Gli darà sepoltura nonostante il rischio che il gesto comporta.
Il fatto è degno di nota, perché in un testo dove sembra che regni sovrana la pietà farisaica ci si trova di fronte alla fede della lettera ai Romani e della lettera ai Galati. In Paolo l’amore affiora implicitamente nei primi capitoli (cfr Rm 1-8) ed emerge improvviso nell’esercizio della carità nel capitolo 12; e nella lettera ai Romani, come nel libro di Tobia, il legame tra fedeltà e amore è dato dalla misericordia (cfr Rm 12,1). In tal senso Tobi è chiamato ad affermare che per lui la Legge è il massimo bene. Ma con una conseguenza sconvolgente: quanto più Dio gli si fa vicino, tanto più la sua presenza si fa esigente e sconcertante.
Così è per Tobi. Dopo la fatica del seppellimento del fratello ucciso, il riposo, e nel riposo un imprevedibile incidente: dei passerotti fanno cadere gli escrementi sugli occhi di lui, che diviene cieco. Poi il contrasto, l’incomprensione con la moglie (cfr Tb 2,14). Lo sconcerto dell’uomo di Dio è totale, tanto da indurlo a chiedere la morte[6].
I sette mariti di Sara
«In quello stesso giorno» (Tb 3,7), in un’altra parte remota del mondo, la preghiera di Sara e il suo dramma. La donna è stata umiliata da chi dovrebbe servirla: una domestica le rinfaccia di aver ucciso i suoi sette mariti nella prima notte di nozze[7]. Di qui la disperazione di Sara, che si chiude in sé stessa nel dolore al punto da trovarsi indotta al suicidio. Solo il pensiero della sofferenza del padre che l’ama la trattiene, ma prega il Signore perché la faccia morire presto.
Le due preghiere s’incontrano davanti a Dio: un incontro invisibile, ma reale. Sono la preghiera del povero, di chi ha solo Dio e non ha più nulla di suo. Il Signore ascolta e accoglie le preghiere dei poveri, gradisce chiunque gli chieda qualcosa, e anche le intenzioni buone che le ispirano. Spesso la richiesta non viene esaudita secondo il desiderio dell’orante, ma il Signore opera sempre secondo il piano suo per il bene dell’uomo.
La storia di Tobi s’intreccia così con quella del figlio, Tobia, e della giovane Sara. Il padre si ricorda di aver lasciato un deposito di 10 talenti d’argento presso un parente in Media e, poiché aspetta la morte, incarica Tobia di andare a recuperarli. Nel viaggio, accompagnato da un amico – di nome Azaria, l’angelo Raffaele[8] –, tra le varie peripezie, viene a conoscere Sara, figlia di un parente stretto di Tobi, e la sposa. Il recupero dei talenti, il ritorno a casa, la celebrazione delle nozze, la guarigione della cecità del padre e la rivelazione di Raffaele quale angelo mandato dal Signore per la loro salvezza concludono il libro con gli inni di lode e di ringraziamento (cfr Tb 13).
La tribù di Neftali
La vita in mezzo ai pagani ha enormi ostacoli e il primo è che i compagni di Tobi, gli altri giudei deportati, sono della stesa tribù di Neftali, una delle 10 tribù «perdute», che sono quelle del Regno del Nord, deportate dagli Assiri nel 721 e disperse in una vasta area dell’Asia. Neftali è uno dei figli di Giacobbe, avuto da Bila, la schiava di Rachele[9], un personaggio assolutamente secondario nella storia patriarcale, appena un nome. Nella Bibbia «i figli delle schiave» non hanno mai avuto grande rilievo. Per di più, il nome «Neftali» ha una connotazione infamante, poiché nella storia di Giuseppe a lui si attribuisce una parte di primo piano nelle trame d’odio contro il fratello (cfr Gen 37,2). Tuttavia la sua tribù abita la Galilea dei pagani ed è quella di cui parla il Vangelo, quando viene detto che proprio dal territorio di Neftali e Zabulon spunta «una grande luce per un popolo che abitava nelle tenebre»[10]. Gesù inizia il suo ministero da Nazaret e da Cafarnao, nel territorio che era stato delle tribù di Neftali e Zabulon. E i discendenti di Neftali, «figlio della schiava», sono proprio gli eroi di questo racconto.
L’infedeltà dei fratelli costituisce una grossa difficoltà per Tobi: tutti quanti lo hanno abbandonato. È solo quando si reca a Gerusalemme per il pellegrinaggio, nessuno della tribù va con lui. I più hanno dimenticato la loro fede e hanno lasciato i costumi tradizionali. Eppure, quando vengono uccisi perché appartengono al popolo di Dio, sono sepolti da Tobi, di nascosto, ed egli li seppellisce contravvenendo alle proibizioni vigenti, a rischio della vita.
In questo libro, quindi, la diaspora è sentita come punizione dei peccati commessi dal popolo, ma anche come benedizione. In un contesto di grande cultura ma di perversa religiosità, è l’occasione di dare testimonianza della propria fede in un Dio di misericordia.
Il libro della fratellanza
Seppellire i morti è anche un segno di fraternità. Nel libro il tema del fratello ha connotazioni nuove rispetto al passato. Il termine «fratello» ritorna molte volte: in greco è adelphós, dal sanscrito, a-delphys, cioè un alfa di derivazione e delphys = utero, matrice, «deriva dallo stesso utero» e indica il fratello carnale. Nel tempo, soprattutto nelle lingue semitiche, il termine «fratello» assume una gamma di significati assai vasta: indica persone legate da un vincolo di sangue, che può essere vicino o anche lontano[11]. E può giungere a indicare i correligionari[12], perché si suppone una discendenza comune da Abramo o dai figli di Giacobbe. Del resto, al femminile, il termine «sorella» può indicare la sposa[13].
Già nel libro della Genesi attraverso il vincolo carnale si viene a specificare che chi è figlio di mio padre e mia madre è «un altro me stesso», uno come me, uno della mia stessa carne[14]. Quindi il rapporto di fratellanza indica un’uguaglianza: io non ho nessun vanto sull’altro, non sono in nessun modo superiore all’altro, non posso avere nessuna rivendicazione di superiorità, ma solo prendere coscienza della nostra comune origine.
Nel libro di Tobia il termine ha perso la tensione angosciosa che ha nella Genesi[15] ed è usato sempre in modo positivo. Non è solo riferito a membri rivali di uno stesso gruppo, ma sta ad affermare qualcosa di dottrinalmente rilevante: i «figli delle schiave» sono anch’essi «fratelli», e quindi non rimangono fuori dalla vocazione di Israele; essa consiste nell’essere nel mondo il segno visibile della misericordia di Dio e nel parteciparla[16]. Di più: le 10 tribù perdute di Israele, quelle del Regno del Nord, non sono affatto perdute, ma hanno anche loro il compito di testimoniare la missione del popolo di Dio e di viverla nella diaspora del tempo assiro.
Il tema della fratellanza ha qui connotazioni profonde: l’intensità degli affetti familiari è messa in evidenza con una forza inusuale nell’Antico Testamento[17]. Non compaiono fratelli di sangue, eppure la fratellanza è il tema centrale del racconto: una fratellanza che ha colorazioni evangeliche. Questa è una delle ragioni per cui i giudei hanno sentito la necessità di togliere il libro dal canone ispirato, pur conservandolo tra i libri da venerare e da leggere.
L’amicizia
Il tema della fraternità si arricchisce nel dono dell’amicizia. La figura dell’amico, l’angelo Raffaele, è una figura liberatoria. La storia che sembra senza futuro si apre a prospettive nuove. L’angelo si presenta come «uno dei […] fratelli Israeliti» (Tb 5,5).
Il legame dell’amicizia è importante secondo la logica dell’intero libro, che è tutto diviso tra l’angoscia per le continue e innumerevoli defezioni dei fratelli e il primato indiscusso dei vincoli di sangue, anche nella loro natura puramente spirituale: «Siamo figli di profeti» (4,12) ha detto Tobi al figlio nell’atto di raccomandargli di sposare una parente.
Condizione dell’amicizia è l’appartenenza al popolo di Dio: un’appartenenza reale, e non solamente carnale, la cui natura viene specificata subito dopo (cfr 5,14). Di qui l’esitazione che mette in bocca all’angelo queste parole: «Che t’importa della tribù?»[18]. A sua volta anche l’angelo è parte di quel popolo, e può dire con verità: «Sono uno dei tuoi fratelli Israeliti»[19]; anche se la cosa non è così manifesta, esiste per lui un legame genealogico[20], e così si autorizza una rivendicazione, sia pure momentanea e provvisoria, che non avvilisce l’ubiquità dell’angelo, ma l’innalza, perché la incorpora nel disegno di Dio.
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La vita familiare di Tobi, che in questa fase è segnata da miseria, malattia, desolazione, si rianima, perché Dio ha accolto la preghiera del vegliardo e quella della giovane Sara. L’uomo impotente e umiliato ha di nuovo la figura dell’uomo d’affari che fa progetti per l’avvenire, prende decisioni ardite e le mette in opera con prudente fermezza (cfr 4,1–5,22).
E questo accade perché Dio accoglie i moti dell’animo umano e li conforma al suo progetto, che oltre ogni apparenza è sempre un progetto d’amore. Ma la presenza dell’angelo Raffaele, che significa «Dio guarisce», è la presenza di Dio, la risposta di amicizia alla preghiera dell’uomo.
L’amico vero è Dio, l’amicizia è sacra, perché è segno dell’amore di Dio. L’angelo quindi è la figura perfetta dell’amico.
Il lettore è avvertito del cambio di passo: sa di Raffaele, sa in anticipo del matrimonio con Sara: il matrimonio, segno di speranza, immagine soprattutto dell’alleanza tra Dio e il popolo, e quindi simbolo di vita illimitatamente aperta sull’avvenire, secondo il progetto divino; tanto più che è un matrimonio predisposto da lontano, mediante una prova misteriosa che ne sublima il senso.
A questo punto del racconto non è avvenuto ancora il passaggio di mano dal vecchio al giovane, e li troviamo l’uno e l’altro in azione, anche se Tobi ha al momento la parte prevalente. In realtà, il giovane tende a rimanere giovane sempre, fino in fondo al racconto: una miniera di speranza e di avvenire, ma nella sua inesperienza viene guidato da fuori. Solo nel matrimonio egli diventa il vero protagonista.
Cionondimeno, anche con questo limite, il passaggio di mano comporta una diversa vitalità, una maggiore ampiezza di respiro, un tono narrativo più vario e movimentato. Anche le lacrime della madre, Anna, appartengono al tema dell’amicizia (cfr 5,18; 10,4-7). L’uomo è vivo per la comunione di affetti che lo avvolge: di affetti che costano, che esigono sacrificio, eppure danno gioia.
La solidarietà
Accanto al tema della fratellanza emerge quello della solidarietà, che deriva proprio dall’essere fratelli. La stessa pietà, come si è visto nelle preghiere drammatiche di Tobi e di Sara, è modello di solidarietà verso i fratelli[21], poiché Tobi pensa al futuro del figlio, Tobia, e Sara recede dal suo proposito riflettendo sul dolore del padre.
Si tratta di una solidarietà che si esprime innanzitutto nelle parole: l’esultanza di Tobi che ringrazia Dio per ciò che ha potuto fare per gli altri, per le sue elemosine, per la condivisione della sorte dei fratelli deportati. Far parte di una storia di deportati comporta essere solidali con chi non osserva la Legge, con chi si compromette con il modo di vivere dei peccatori, pur senza condividerne il peccato, e soprattutto senza giudicare. Si tratta di porre un segno di speranza.
La solidarietà comporta poi gesti concreti e rischiosi: seppellire i morti, uccisi per odio al popolo di Dio, è avventato e pericoloso. Tobi sa dalla Torah che non ricevere la sepoltura è una maledizione[22]. Perciò fa l’impossibile per seppellire i cadaveri abbandonati dei fratelli uccisi. Un atto coraggioso che può costargli la vita. Provvedere alla sepoltura è dovere dell’uomo giusto.
Ci sono anche espressioni che esplicitano ulteriormente il tema della solidarietà. Durante il viaggio verso la Media, Tobia viene a sapere da Azaria la ragione della morte dei sette mariti di Sara, e che, come parente, gli spetta in moglie. Si dice che «l’amò tanto senza poter più distogliere il suo cuore da lei» (6,19). Può sembrare strano un amore così forte e improvviso verso una persona che ancora non si conosce[23], eppure l’espressione non ha nulla di sentimentale o di romantico, ma definisce una solidarietà che viene dalla benedizione paterna e da Dio stesso (cfr 5,7).
Nell’esperienza di solidarietà non mancano momenti di dolore, ma sono presenti anche quelli di gioia: vi è una solidarietà offerta e insieme ricevuta, che si dilata in situazioni nuove, tocca persone d’alto rango e giunge fino ad abbracciare i pagani. Si nomina il re Salmanassar, di cui Tobi «prende a trattare gli affari» (1,13), e il ministro Achikar, che qui appare come suo nipote, ma è un personaggio importante nella letteratura sapienziale fuori di Israele (cfr 1,21-22; 2,10).
Tobia è così il libro della solidarietà tra fratelli, ma è anche il testo che rivela la solidarietà di Dio verso coloro che sono fratelli. Verrebbe da pensare alla parabola del giudizio nel Vangelo di Matteo: «Tutto quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Non si tratta del fare per fare, ma del fare per un fratello, dell’impegno per il prossimo: una disponibilità e un’attenzione profondamente umane, in nessun modo interessate ma segnate dai legami di sangue (cfr Is 58,7). È una profezia del Vangelo. La solidarietà umana, sollecitata dalla solidarietà di Dio, ci avvicina a lui: è la salvezza.
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- I deuterocanonici comprendono quattro testi narrativi (1° e 2° libro dei Maccabei, Giuditta e Tobia), un testo profetico, Baruc, e parti di Daniele e di Ester, e due sapienziali, la Sapienza e il Siracide (detto anche Ecclesiastico). ↑
- Cfr S. Corradino, «La fratellanza nell’Antico Testamento», in Civ. Catt. 2019 IV 540. ↑
- Il rifiuto dei deuterocanonici avviene dopo la guerra del 70 d.C., quando tutti i partiti e le sette – il cristianesimo era considerato all’inizio una setta giudaica – vengono eliminati. L’unica setta che rimane sono i farisei, i quali escludono tutti gli altri, compresi i cristiani: qui avviene il rifiuto di questi libri da parte degli ebrei. ↑
- Cfr P. Stancari, Per imparare a vivere. Lettura spirituale del libro di Tobia, Rende (Cs), R-Accogliere, 2016, 21-27. ↑
- Cfr M. Zappella, Tobit, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2010, 21 s. ↑
- Sulla preghiera nel libro di Tobia, cfr D. Barsotti, Meditazione sul libro di Tobia, Brescia, Queriniana, 1969, 43-49; C. A. Moore, Tobit, New York – London, Doubleday, 1996, 30; 153 s. ↑
- Tobia sarà l’ottavo marito: tutto ciò che è ottavo nell’Antico e nel Nuovo Testamento ha a che fare con il Messia e la salvezza. Cfr P. Stancari, Per imparare a vivere…, cit., 56. ↑
- Azaria significa «Dio ha aiutato». Per l’angelo nel libro di Tobia, cfr D. Barsotti, Meditazione sul libro di Tobia, cit., 120 s. ↑
- Cfr Gen 35,25-26. Da Bila Giacobbe ha avuto anche Dan; mentre da Zilpa, la schiava di Lia, gli sono nati Gad e Aser. Per Neftali e la tribù omonima, cfr L. Arnaldich, «Neftali», in Enciclopedia della Bibbia, vol. 5, Torino – Leumann, Elledici, 1971, 98-104. ↑
- Cfr Mt 4,13-16, che riprende Is 8,23-9,1: «In passato [il Signore] umiliò la terra di Zabulon e di Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». ↑
- Cfr Tb 1,14.21; 2,10; 3,15; 4,12; ecc. ↑
- Cfr Tb 1,3.5.10; 2,2.3; 4,13 (2 volte); 5,5; 6,11; ecc. ↑
- Cfr Tb 5,22; 6,19; 7,9.12 (2 volte); 8,21; 10,6.13: questa accezione si ritrova soprattutto nel codice Sinaitico. Per gli altri codici, cfr 7,15; 8,4.7. ↑
- Cfr Is 58,7. La versione della Cei ha: «Non consiste [il vero digiuno] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, i senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti». Quest’ultimo inciso, alla lettera dall’ebraico è: «quelli della tua stessa carne». ↑
- Cfr l’episodio di Caino e Abele in Gen 4,1-8; il rapporto drammatico tra Esaù e Giacobbe (cfr Gen 25,29-34; 27,1-42); intenzioni omicide sono presenti anche nella storia di Giuseppe (cfr Gen 37; 39–50). ↑
- Cfr in questo senso il libro di Giona, il testo più esplicito che formula la vocazione di Israele nel mondo. Cfr S. Corradino – G. Pani, Giona. Il profeta tradito da Dio, Palermo, Vittorietti, 2016, 112-114. ↑
- Cfr S. Corradino, «La fratellanza nell’Antico Testamento», cit., 534-539. ↑
- Tb 5,12. L’obiezione si trova solo nel codice Sinaitico. ↑
- Tb 5,5. Anche tale inciso si trova solo nel Sinaitico. ↑
- La genealogia esprime la realtà del vincolo personale più che la sua consistenza carnale. ↑
- Cfr M. Zappella, Tobit, cit., 20 s. ↑
- Cfr Dt 21,23 e lo stesso libro di Tobia 2,4; Ger 16,4; 22,18-19. ↑
- Cfr P. Stancari, Per imparare a vivere…, cit., 51-53. ↑