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Il libro raccoglie gli interventi di tre teologhe e due cardinali convenuti all’incontro con papa Francesco e il Consiglio dei cardinali del 5 febbraio 2024. È strutturato in due parti: alle relazioni delle teologhe è riservata la prima, alle risposte dei cardinali la seconda.
Nella prima relazione, Linda Pocher solleva la questione dell’accesso al sacerdozio ministeriale per le donne, negato dal magistero a più riprese. Per l’A. tale posizione è discutibile, dal momento che le motivazioni teologiche a sostegno della riserva maschile sono «talmente fragili da spingere il Papa e la Congregazione per la Dottrina della fede a una serie di pronunciamenti che fanno leva principalmente sull’autorità del successore di Pietro» (p. 21). Ma «l’argomento di autorità» non può costituire un punto fermo, perché «è già capitato […] che un pontefice abbia smentito la presa di posizione di un suo predecessore in merito a un determinato insegnamento» (p. 24). Ne è un esempio la questione della «superiorità» della verginità sul matrimonio, definita da Pio XII nel 1954 e smentita da Giovanni Paolo II nell’Udienza generale del 14 aprile 1982.
Nella seconda relazione, la vescova Jo B. Wells comunica la sua esperienza nella Chiesa anglicana. L’interessante panoramica storica permette di comprendere i faticosi sviluppi del cammino compiuto verso l’ordinazione femminile, e non manca la sincera attestazione della perdurante divisione all’interno della Comunione anglicana su questo punto. Una breve parentesi teologica, inoltre, indica le basi su cui si fonda la possibilità di ordinare le donne. Questo intervento permette di inquadrare la complessa realtà della Chiesa anglicana, dove, come nota il card. Hollerich, anche «il ministero ordinato […] non è del tutto omologabile al ministero ordinato cattolico» (p. 90).
Il terzo intervento, della liturgista Giuliva Di Berardino, sottolinea la necessità di una ministerialità femminile ufficialmente riconosciuta. L’A. si dichiara favorevole al diaconato femminile, mentre, riguardo all’ordinazione presbiterale, si limita a sollevare interrogativi, considerandolo «un tema aperto alla discussione» (p. 67). L’A. avverte l’urgenza di una riflessione che superi prospettive meramente sociologiche: suggerisce di valorizzare l’immagine biblica del corpo per capire l’insieme delle realtà ministeriali della Chiesa e di considerare i ministeri alla luce della teologia trinitaria. In una visione teologica d’insieme, sarà possibile comprendere la questione femminile «in stretto rapporto col sacerdozio di Cristo» (p. 64).
Nella seconda parte, il card. O’Malley afferma decisamente la «riserva maschile» del sacerdozio, sostenendo che «ciò non cambierà» (p. 81) e ribadendo che questo non significa una superiorità degli uomini sulle donne. Ciò che è in gioco è la successione apostolica e la validità dei sacramenti. Bisogna adoperarsi per rendere accessibili più compiti alle donne, per valorizzarne i carismi e coinvolgerle in ruoli di leadership, riscoprendo la dimensione sacerdotale battesimale.
La risposta del card. Hollerich è ricca di interrogativi. Le sue osservazioni sembrano suggerire l’impossibilità di riprodurre il modello anglicano nella Chiesa cattolica; tuttavia, egli non è certo di poter escludere l’ordinazione femminile.
In conclusione, le divergenze sul tema del sacerdozio ordinato femminile dovrebbero incoraggiare un’indagine rigorosa sulla natura del ministero sacerdotale e sulle ragioni teologiche del sacerdozio ministeriale maschile. Ma ci si dovrebbe anche domandare fino a che punto questa controversia possa essere condotta in seno alla Chiesa cattolica, dal momento che la Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei della Congregazione per la Dottrina della fede del 1998 colloca la «riserva maschile» del sacerdozio ordinato tra quelle verità a cui si deve un assenso fermo e definitivo. Come recita la Nota al n. 11, si tratta di una dottrina «proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale» e «nulla toglie che […] nel futuro la coscienza della Chiesa possa progredire fino a definire tale dottrina da credersi come divinamente rivelata». Anche l’esempio contro «l’argomento di autorità», sopra ricordato, non rende ragione della complessità del magistero di Giovanni Paolo II: l’Udienza del 1982 non può essere isolata dal più ampio contesto magisteriale di questo Papa.