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La disfatta di Caporetto – che ebbe luogo tra il 24 e il 25 ottobre del 1917 – costituì per il Paese un’autentica tragedia nazionale ed era destinata a rimanere proverbiale. Ebbe subito inizio, di conseguenza, una tormentata riflessione, volta a individuare i responsabili del disastro: era stata colpa dei vertici delle forze armate, cioè in primo luogo di Cadorna? Oppure erano stati i soldati a darsi vigliaccamente alla fuga davanti al nemico? Oggi sappiamo che molti dei nostri fanti hanno combattuto valorosamente. A crollare è stato invece l’esercito italiano che, dopo due anni e mezzo di guerra, mostrò tutta la fragilità della sua struttura.
In questo saggio lo storico Alessandro Barbero esamina lucidamente le ragioni di una simile debolezza, ricostruisce le varie fasi della battaglia, utilizzando in particolare le testimonianze dei combattenti, e illustra i tanti aspetti di un avvenimento storico che ci induce a riflettere sulla nostra identità nazionale.
L’A. mostra come sia stata ideata l’offensiva che avrebbe condotto prima all’elaborazione del piano e poi alla sua esecuzione. Ne individua la genesi nell’undicesima battaglia dell’Isonzo che, tra l’agosto e il settembre del 1917, aveva consentito alle truppe italiane di avanzare in maniera significativa: un’avanzata destinata tuttavia ad arrestarsi dopo circa due settimane.
Ma il timore di una successiva caduta di Trieste indusse il Comando Superiore austriaco a tentare di giocare di anticipo: sarebbe stato necessario scatenare una controffensiva: una strategia che però – vista la condizione di estrema stanchezza nella quale versava ormai l’esercito imperialregio – avrebbe richiesto l’intervento dell’alleato tedesco.
Furono avviate quindi delle trattative tra gli Stati Maggiori di Vienna e Berlino, al termine delle quali si decise di attaccare nell’alto Isonzo: una zona dove lo schieramento italiano – fortemente sbilanciato a sud, tra la Bainsizza e il mare – appariva quasi sguarnito. Un tipo di offensiva che, se coronata da successo, avrebbe consentito alle truppe degli Imperi Centrali di arrivare addirittura a Udine, ma che avrebbe richiesto l’impiego di 15 divisioni: alle 9 austro-ungariche si dovevano aggiungere le 6 tedesche (si trattava almeno di 100.000 uomini).
Il trasferimento di queste ultime dal fronte russo al teatro di guerra alpino fu possibile grazie ai successi che, all’inizio del settembre di quello stesso anno, vi erano stati riportati dall’esercito germanico e che avrebbero aperto la strada alla conclusione delle ostilità, sancita successivamente dal trattato di Brest-Litovsk.
L’attacco che seguì – un breve ma violentissimo cannoneggiamento e l’impiego dei micidiali gas asfissianti – riuscì a travolgere tanto le prime quanto le seconde linee italiane. Il successo della strategia, messa a punto dagli ufficiali tedeschi – comandati dal generale von Below – e basata sui concetti di Durchbruch (sfondamento) e Schwerpunkt (punto in cui concentrare il massimo sforzo), andò dunque oltre ogni aspettativa e consentì alle truppe austro-tedesche di dilagare nella pianura friulana. Molti reparti italiani, intanto, seppure presi alla sprovvista e privi di ordini, cercarono di opporsi all’avanzata nemica: il numero dei caduti fu elevato, enorme quello dei prigionieri.
L’A. definisce l’accaduto un vero e proprio «collasso», e osserva come i limiti dell’esercito italiano rispecchiassero fedelmente quelli della nazione, cioè di un Paese arretrato e contadino, per poi concludere: «È certo che nell’ottobre del 1917 le truppe italiane erano giunte a un punto di spossatezza, logoramento e disaffezione per la guerra che non si era mai riscontrato prima» (p. 387). Lo schieramento italiano si trovò invece a fronteggiare l’esercito più efficiente del mondo, quello di un Paese avanzato come la Germania. La sconfitta fu dunque disastrosa, ma non si sarebbe rivelata decisiva.
ALESSANDRO BARBERO
Caporetto
Bari – Roma, Laterza, 2017, 645, € 24,00.