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Chi è cresciuto a pane e «guerra fredda», fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, non aveva dubbi sulla collocazione della Russia, anche fisicamente, sul planisfero. La cortina di ferro, il muro di Berlino e poi, «di là», la Russia, Mosca e tutta l’immensità dell’Unione sovietica tenuta insieme per quasi un secolo dal comunismo, variamente vestito, che prese il potere nel 1917.
È interessante notare che i gesuiti che scrissero della Rivoluzione d’ottobre tra il 1917 e il 1918 si soffermarono «a caldo» sul legame fra comunismo e liberalismo: «i rivoluzionarii d’Oriente sono figliuoli legittimi e discepoli ingenui dei nostri rivoluzionari d’Occidente. Noi li diremmo quasi migliori dei loro padri e maestri» («Intorno alla rivoluzione russa. Consensi e dissensi», in La Civiltà Cattolica 1918 I 535). Nelle pagine della nostra rivista – scritte a diretto contatto con gli avvenimenti e dunque senza prospettiva storica – il liberalismo era inteso come antesignano del moderno socialismo. La colpa di liberali e capitalisti era quella di aver generato l’apostasia sociale dal cristianesimo proseguita in Russia nel comunismo e nel suo «paradiso in terra» di matrice positivista. È possibile battersi contro il degrado sociale o la povertà, dunque, ma – scrivevano allora i gesuiti della nostra rivista – solo assieme alla contestazione «dell’egoismo, sebbene palliato a volte di nazionalismo» (ivi, 544).
I contributi sul tema dei movimenti politici che sarebbero di lì a poco sfociati nella rivoluzione d’ottobre furono allora raccolti in un opuscolo dal titolo La rivoluzione e la guerra, dato alle stampe nell’agosto 1917. Successivamente La Civiltà Cattolica ha seguito puntualmente le vicende russe, accompagnando gli eventi. Oggi, nell’agosto 2019, vogliamo raccogliere alcuni saggi pubblicati di recente per rispondere innanzitutto ad alcune domande.
Dove si colloca la Russia di Putin? E un «occidentale» come si colloca rispetto alla Russia? Dal punto di vista geografico, essa è la parte più occidentale dell’Asia? O fa parte in fondo dell’Europa? Dal punto di vista culturale, si sente Asia o Europa, Oriente o Occidente? E parlando di religione, si può dire la Russia una terra cristiana? O i decenni di ateismo di regime hanno sradicato anche le radici, lasciando solo le vestigia e le strutture? E l’islam?
Oggi, infine, come si posiziona politicamente, in quello che una volta veniva definito «lo scacchiere internazionale»?
Se per un certo tempo, tra la fine dei ‘90 del Novecento e l’inizio di questo secolo, la Russia era uscita dai radar dei giochi di forza internazionale, da qualche anno la troviamo di nuovo protagonista in diversi e complessi equilibri, soprattutto con Stati Uniti e Cina. Lo abbiamo visto di recente soprattutto nel teatro dell’orrore della guerra in Siria.
Anche per questo, raccogliendo gli articoli di questa nuova monografia, abbiamo subito dato molto spazio alla comprensione dell’identità russa, grazie ad alcuni dei contributi più recenti di Giovanni Sale, lo storico del Collegio degli Scrittori de La Civiltà Cattolica, e Vladimir Pachkov, nostro corrispondente da Mosca. Sono tutti loro i saggi che infatti compongono la prima sezione di questo volume, intitolata «Russia: tra Oriente e Occidente».
Quello che sta accadendo oggi tra Occidente e Russia viene a volte definito come «nuova Guerra fredda». Sebbene questa definizione sia discutibile, non si può negare che tra Occidente e Russia si stia vivendo un’«era glaciale». Ma quale ne è il motivo? È solo una questione di interessi e rivendicazioni di potere, o ci sono problemi più profondi? Le contrapposizioni ideologiche giocano un ruolo proprio come ai tempi della «Guerra fredda»? Oggi il tentativo dell’élite russa di rafforzare i «valori tradizionali» della famiglia, della religione e del patriottismo fa sì che il Paese si ponga come una sorta di contrappunto al moderno sistema di valori dell’Occidente. E questo deve essere preso in considerazione, se si vogliono capire le contraddizioni nella Russia stessa e nei suoi rapporti con l’Occidente.
È stata di fatto la «crisi ucraina», iniziata nel 2014, a mettere la Russia in una nuova condizione sullo scacchiere internazionale. La recente partnership con la Cina, fondata non solo su una convenienza reciproca, ma anche su valori comuni, sembra indicare la possibilità di una svolta verso Oriente, verso una «grande Asia», più che verso una «grande Europa». La Russia ha già tentato di rinnegare la propria storia e di diventare ciò che non era, mediante riforme o rivoluzioni artificiose, con conseguenze catastrofiche. Per questo sembra opportuno prestare attenzione al tentativo di far cessare il conflitto sociale interno e di trovare finalmente una via russa alla modernità.
Ma cosa è successo con l’Ucraina? Le umiliazioni subite negli anni passati dalla Russia, dopo il crollo dell’Urss, hanno spinto Putin a muoversi per ridare al suo Paese l’orgoglio di essere una grande nazione. È importante, in questo senso, ripercorrere gli eventi che hanno spinto Putin all’annessione della Crimea, avvenimento che ha rinvigorito il sentimento patriottico russo e dato grande popolarità al presidente. Più di recente, con l’incidente del 25 novembre 2018 nello stretto di Kerch, c’è stato un salto di livello, tanto che le stesse parti in causa e le cancellerie europee lo hanno considerato un evento molto pericoloso. Di fatto è stato il primo scontro diretto tra le forze armate russe e alcune unità della Marina militare ucraina. Un episodio che si inserisce in una lunga guerra mai dichiarata in due regioni filo-russe dell’Ucraina orientale – autoproclamatesi Repubbliche autonome – che ha già causato quasi 11.000 morti.
La popolarità ri-acquisita da Putin sembra essere stata certificata dalla vittoria delle elezioni presidenziali del marzo 2018. Di fatto, la Russia non è ancora pronta a un cambio di potere. Il motivo principale, secondo molti analisti, è che Putin e il suo sistema, nonostante tutte le critiche che meritano, sono maggiormente in grado di perseguire una politica che soddisfi gli interessi e le aspirazioni di buona parte della popolazione di quanto non lo sia attualmente l’opposizione. In Russia vige il cosiddetto «contratto sociale»: essendo il Cremlino riuscito a produrre una modesta ripresa economica, il governo ritiene di aver adempiuto alla sua parte del contratto; per questo si aspetta che anche la popolazione adempia alla sua. Qualcosa di veramente nuovo potrà arrivare solo da un cambio generazionale.
Nel frattempo, va considerato anche un aspetto significativo. Sebbene in Russia tutti sappiano che cosa Stalin e il suo sistema abbiano fatto al popolo russo, egli è tuttora una delle personalità più popolari nel Paese. Secondo un sondaggio del Lewada-Institut, infatti Stalin risulta la personalità più straordinaria della storia russa, anche più di Puškin e persino di Putin. Che cosa spinge le persone in Russia a continuare a onorare questo dittatore? Ma lo onorano veramente, o c’è qualcosa di completamente diverso dietro al loro comportamento? Sebbene la stragrande maggioranza dei russi si opponga a questi tentativi di riaffermare il valore del dittatore e del suo regime, non si può trascurare il processo di «ristalinizzazione» strisciante, iniziato dal basso e ora utilizzato dallo Stato per i propri scopi.
A conclusione di questa prima parte, come una cerniera tra le questioni socio-politiche e quelle religiose, è interessante considerare – in questa peculiare identità russa, a cavallo tra Oriente e Occidente – la presenza dell’islam nel Paese. Sin dal Medioevo, l’autocoscienza russa è giunta a un tentativo di sintesi ideologica con la tradizione islamica. La complessità delle influenze reciproche tra l’islam e l’autocomprensione russa rispecchia, da un lato, la complessità della Russia stessa e, dall’altro, la complessità dell’islam, i suoi molti gruppi etnici. Di fronte all’emergere di movimenti islamici totalitari, si auspica che si riviva quella tradizione di tolleranza e di rispetto reciproco che ha caratterizzato per secoli la convivenza tra musulmani e rappresentanti di altre religioni nella Russia e nell’Asia centrale.
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Nella seconda parte del volume, raccogliamo alcuni contributi che inquadrano la presenza cristiana in Russia, oggi, all’interno dei rapporti ecumenici tra la Santa Sede e il Patriarcato russo.
Innanzi tutto, ripubblichiamo la cronaca del primo storico incontro tra il vescovo di Roma e il patriarca di Mosca, avvenuto a Cuba il 12 febbraio 2016. I punti caldi sono stati trattati nel dialogo privato a tu per tu, tra Francesco e Kirill. Ma certo nell’incontro si è colta una determinazione che è andata al di là di ogni cautela. «Il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità» (Lumen gentium, n. 13) per Francesco impone gesti di questo genere, gesti generosi e profetici. La Chiesa in Europa lo ha considerato – ha dichiarato il card. Peter Erdő, allora presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee – «come un ulteriore passo compiuto per l’unità e per la comune testimonianza dei cristiani».
Riproponiamo anche il testo della «Dichiarazione comune di papa Francesco e del patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia», firmata in quell’occasione. «Non siamo concorrenti, ma fratelli. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi a imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore», hanno scritto Francesco e Kirill. Nella Dichiarazione, divisa in 30 punti, vengono affrontati, tra gli altri, i temi dei cristiani perseguitati nel mondo, della famiglia, del diritto inalienabile alla vita, della questione uniate e ucraina. Inoltre, la Dichiarazione contiene un invito all’Europa affinché torni a rispettare le proprie radici e un appello di pace per l’Ucraina.
A seguire, riproponiamo una riflessione di p. Richard Çemus sul Russicum, un’istituzione fondata nel 1929 dal Papa Pio XI dedita allo studio della cultura e della spiritualità russa, che accoglie studenti cattolici e ortodossi, e affidata alla Compagnia di Gesù. Conoscendo i limiti ecclesiologici del tempo, suscita stupore quanto sia stato profetico il «progetto Russicum».
Infine, troverete un commento a una biografia del «santo medico» di Mosca, il cattolico tedesco F. J. Haas (1780-1853), che trascorse la maggior parte della vita in Russia, dedicandosi alla cura dei poveri negli ospedali e all’assistenza dei condannati alla deportazione in Siberia.
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Nella terza parte del volume, proponiamo uno sguardo rapido su alcune figure della letteratura russa, della quale la nostra rivista si è occupata ampiamente nel tempo. Riteniamo questa parte rilevante perché leggere i grandi scrittori russi aiuta a meditare sulle radici dell’anima del loro popolo. Riteniamo che senza questa riflessione – nel nostro caso legata ad alcune figure notevolissime – ogni altro discorso non sarebbe in grado di essere incisivo.
Partiamo con «l’odissea» di Lev Nicolaevic Tolstoj, un articolo scritto in occasione del centocinquantenario della nascita del «secondo zar delle Russie», come veniva chiamato già dai suoi contemporanei. Anche se l’astro del suo genio non ha mai avvertito pericolo d’eclissi, l’ondata delle celebrazioni ha portato in quel momento il suo nome in primo piano. Chi era davvero Lev Tolstoj? Fondandosi sulla monumentale e documentata biografia di Henri Troyat, l’articolo osserva l’itinerario umano e l’avventura di un «profeta rifondatore» del cristianesimo. Ne vien fuori l’immagine d’un uomo ricco di fermenti ideologici e di contraddizioni, animato da nobiltà d’animo e da ideali umanitari, scisso tra vita, opera e pensiero.
La rivista ha anche approfondito la figura di Dostoevskij. Per l’autore, caro a papa Francesco, la vera libertà è possibile solo in prospettiva cristiana. Ma, se si rifiuta Cristo? Lo Scrittore russo dimostra le conseguenze paurose del rifiuto di Cristo, in sfondi densi di tragedia e di profetismo. Nell’articolo si analizzano alcuni di questi sfondi per concludere con Dostoevskij che se il mondo non è salvato da Cristo è travolto da un principio affatto opposto, «cioè dall’annientamento della libertà, dalle pietre trasformate in pane». O Cristo, o l’anticristo.
A proposito di Dostoevskij, molto più di recente abbiamo analizzato la sua influenza su papa Francesco, prendendo in particolare considerazione la monografia di Romano Guardini Dostoevskij: il mondo religioso. Si vedrà come la categoria «mitica» di popolo acquisti un posto principale nello scritto di Guardini, e come i romanzi di Dostoevskij conferiscano un contenuto concreto a tale categoria.
Torniamo ai classici della letteratura russa. In particolare, alla «drammatica avventura di Nikolàj V. Gogol’». «In verità, costituisco un enigma per tutti», scriveva il giovane Gogol’ alla madre. Vari studiosi hanno cercato di decifrare l’«enigma-Gogol’», con risultati non sempre soddisfacenti. Trascorse la vita quasi sempre in viaggio, attraverso l’Europa, tanto da essere definito homo viator. Per diradare alcune ombre e rintracciare l’anima che l’ha ispirata, l’articolo che riproponiamo analizza alcuni suoi racconti più significativi, oltre che Le anime morte, Il revisore e Passi scelti. Gogol’ voleva che la sua arte contribuisse al risveglio religioso e sociale della Russia, ed era convinto che Dio lo avesse designato per tale missione.
In occasione del centenario della morte di Anton P. Cechov (2004), La Civiltà Cattolica ha aperto poi una finestra anche su questo grande letterato. Cechov è universalmente ritenuto un autore classico, una delle presenze più significative della letteratura mondiale. I suoi racconti e il suo teatro ritraggono perfettamente aspetti che caratterizzano la Russia di fine Ottocento, ma che sono anche elementi costitutivi della natura umana. L’articolo analizza la sua opera mettendone in evidenza l’anima che la ispira, le angosce che l’attraversano, la «rassegnata disperazione» che la permea. Agnostico, assetato di verità, ha avvertito che, senza Dio, la vita è vuota di senso.
Infine, chiudiamo questa parte del volume, parlando di letteratura contemporanea e in special modo di Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura 2015. Una scrittrice originale. Giornalista e storica, ha composto i suoi libri a partire da centinaia di incontri con persone comuni, spesso anonime. È attraverso la scelta e l’organizzazione delle loro testimonianze che lei trasmette il suo senso di empatia e la sua visione umanistica. Così permette di entrare in modo privilegiato in quella che è stata chiamata «l’anima russa» e, attraverso questa incarnazione nel cuore del destino russo in un secolo terribile, raggiunge l’universale e apre i nostri orizzonti.
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L’ultima sezione della nostra monografia russa è dedicata al cinema, a quattro pellicole in particolare.
Prima tra queste, il bel film di Alexander Sokurov, Russian Ark. Si tratta di un sogno a occhi aperti, una ripresa di 90 minuti, senza interruzioni, all’interno dell’Ermitage di San Pietroburgo. Il film si intitola giustamente «Arca russa», per indicare che, al di fuori del perimetro che cinge quel mondo incantato, non c’è salvezza. Dal film trapela una nostalgia sconfinata per un mondo che non c’è più e del quale, se non ci fosse la magia del cinema a farlo rivivere, perfino il ricordo svanirebbe nel nulla.
Poi, parliamo di Alexandra di Aleksandr Sokurov. Una nonna russa, Alexandra Nicolaevna, ottiene il permesso di andare a far visita al nipote Denis, ufficiale dell’esercito, che non vede da sette anni; egli si trova in una postazione avanzata del fronte ceceno. Alexandra affronta con dignità e determinazione fatiche e disagi di una condizione di vita che, nel contesto in cui si svolge, non può essere definita che spartana. Un film che parte dalla guerra per parlare della pace e fa sì che sia la guerra a condannare se stessa come negazione delle ragioni del cuore e di quelle della mente.
Il film di Nikita Michalkov, 12, è il remake in salsa russa de La parola ai giurati (titolo originale Twelve Angry Men) film di esordio – e capolavoro – di Sidney Lumet. I dodici componenti di una giuria popolare sono sul punto di pronunciarsi per la colpevolezza di un giovane imputato. Si tratta di un «latino» accusato di aver ucciso suo padre. Soltanto uno dei giurati (Henry Fonda) nutre dubbi sulla colpevolezza del giovane, che rischia di finire sulla sedia elettrica. Il dibattito che segue mette a nudo pulsioni, caratteri e motivazioni recondite. Adattato alla realtà russa odierna, il film 12 ripropone il vecchio dramma con alcune varianti.
«Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!» sono le parole della cosiddetta «preghiera a Gesù», nota altrimenti come la preghiera del «pellegrino russo» che fa da sottofondo al film Isola (titolo originale Ostrov) di Pavel Longuin, il quale affronta un tema ancora attuale nei Paesi post-comunisti: la riconciliazione con il proprio passato. Ambientato durante la Seconda guerra mondiale, il film racconta la vicenda del fuochista Anatolij, miracolosamente scampato a un’azione di guerra in mare e trascinato sulla spiaggia di un’isola, dove viene ritrovato dai monaci del vicino monastero. I monaci, pur considerandolo un uomo bizzarro, non possono non notare che su di Anatolij è scesa una particolare grazia divina, quella di leggere nei cuori e ottenere miracoli con la preghiera. L’eco sorprendente che ha sollevato questo film in Russia svela un insospettato interesse – particolarmente tra i giovani – per l’eredità spirituale ortodossa – con le figure luminose degli starets – percepita come l’unico rimedio per salvarsi dal pericolo di «perdere l’anima».
Nel chiudere questa introduzione ringrazio il dott. Simone Sereni che ha lavorato alla selezione e alla raccolta dei saggi che compongono il volume.
Affidiamo queste pagine ai nostri lettori con la speranza che siano da guida per una comprensione più approfondita e personale della Russia contemporanea.