«Nella parabola storica dell’umanità si alternano momenti esaltanti e luminosi, e momenti di depressione e di oscurità. A questi ultimi – che sembrano, a volte, più numerosi dei primi – appartiene il momento storico che oggi stiamo vivendo. L’umanità sembra stretta in una morsa tremenda: angoscia, da una parte; paura, dall’altra». Inizia così un editoriale pubblicato nel 1979 sulla nostra rivista in occasione del Natale.
La riflessione e l’invito a sperare in un futuro migliore raccontato in quegli anni calzano drammaticamente con quanto viviamo oggi. Come se il tempo si fosse fermato o come se la stoltezza degli uomini proseguisse la sua corsa verso il dolore, senza sosta e senza raccoglimento. Anche allora si avvertivano il pericolo di una Terza guerra mondiale, il disastro ecologico, il divario con i poveri e le tensioni in Medioriente, e soprattutto si cullava il sogno di un’umanità che sembrava lanciata verso una nuova era di prosperità e di pace. La nostra.
«Quale senso può avere – scrivevamo sempre in quel 1979 – parlare di gioia e di pace in un momento così difficile? Il clima gioioso del Natale non è forse una nota stonata e fuori posto in un mondo sull’orlo della guerra? Non è un’evasione dalla dura realtà per rifugiarsi nell’utopia d’una pace universale che mai verrà e nel miraggio illusorio d’una felicità che l’umanità non conoscerà mai, come mai l’ha conosciuta finora?». Questo genere di pensieri ricorrono, anche per i non credenti, quando il Natale si avvicina. Ciclicamente, sembra essere questo il momento dell’anno per fare i conti con la nostra storia, personale e umana. Ma perché?
Ecco dunque lo spunto per andare alla ricerca di alcuni degli articoli che La Civiltà Cattolica ha dedicato negli anni a questa solennità, che fa memoria di uno dei misteri centrali della fede cristiana, l’Incarnazione: Dio che si fa come noi. Con il loro aiuto affrontiamo il significato spirituale e teologico della Natività, lo approfondiamo dal punto di vista biblico, ne ricostruiamo storicamente gli sviluppi anche nella liturgia e nella società; con la scorta delle suggestioni offerte dagli scritti di illustri testimoni – tra gli altri, Edith Stein, Dietrich Bonhoeffer, Charles Péguy, Paul Claudel – che si sono fatti ispirare, ciascuno secondo le proprie corde, dallo «spirito del Natale».
Se, secondo Péguy, l’idea di fondo che domina e giustifica chi ancora contempla quel Bambino in una mangiatoia è che la storia ha un senso solo se la si considera dal punto di vista dell’Incarnazione, Edith Stein ci spiega perché: «Dio è diventato un figlio degli uomini, affinché gli uomini potessero diventare figli di Dio». Con la consapevolezza, la stessa che animava la visione del Presepe di san Francesco di Assisi – come spiega nel suo saggio, il più recente della raccolta, p. Giancarlo Pani – che «i misteri del cristianesimo sono un tutto indivisibile. Chi ne approfondisce uno, finisce per toccare tutti gli altri. Così la via che si diparte da Betlemme procede inarrestabilmente verso il Golgota, va dalla mangiatoia alla croce».
È questa solidarietà con tutta l’esperienza umana, anche nelle sue dimensioni più oscure e senza senso, dalla nascita alla morte, la peggiore delle morti, che ci fa restare ancora avvinti alla forza del Natale. Scriveva dalla sua prigionia, Dietrich Bonhoeffer: «Dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato” […] dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”». Occorrevano il suo coraggio e la sua fede profonda per usare queste parole mentre l’esercito hitleriano avanzava vittorioso su molte nazioni europee, convinto che Gott mit Uns, che Dio era con la razza ariana, che Dio era il Terzo Reich: un Reich al quale Bonhoeffer opponeva il regno di Dio.
Infine, come intuiva Claudel, Dio si incarna per noi, ma anche perché – mistero nel mistero – ha bisogno di noi: «E si mette nudo tra le nostre braccia, questo fragile bambino dal quale San Paolo dice venire ogni paternità. Egli non comanda più. Chiede. Ci fa sapere che ha bisogno di noi, che la sua debole mano cerca come può il nostro cuore».
L’incarnazione di Dio nella persona di Cristo è una cosa seria, e lo è perché è reale. Natale è credere che quel Dio che si incarna per fare di noi dei figli che si riconoscono capaci di cose «divine», che si perde con i perduti e muore come i delinquenti, che chiede a noi aiuto come un bambino indifeso, è proprio per questo davvero «con noi». Questo forse ci aiuta a rinfrancarci, a credere ancora che c’è un disegno di salvezza già in atto, che procede anche grazie a coloro che, ora, mentre leggi, combattono per i grandi ideali della giustizia, della fraternità e della pace, e pur non facendolo in nome di Cristo sono un segno dell’azione dello spirito di Cristo nella storia.
Ecco perché, ancora e di nuovo, l’annuncio natalizio che «il Verbo si è fatto carne» è un messaggio di gioia e un invito alla speranza. Buona lettura.
Felice Di Basilio e Simone Sereni