
Sono passati quattro anni dal colpo di stato militare in Myanmar e da allora la popolazione continua a subire violenze e sfollamenti. Oltre 3,5 milioni di persone sono state sfollate, di cui un terzo sono bambini. Dal febbraio 2021, inoltre, l’esercito ha effettuato quasi 200 attacchi aerei contro le scuole, mentre sono stati registrati circa 3.700 attacchi contro i civili. A tracciare un bilancio è il Jesuit Refugee Service in una nota congiunta con la Conferenza dei Gesuiti dell’Asia-Pacifico (Jcap).
A causa delle violenze, spiegano le due organizzazioni, uomini, donne e bambini sono dovuti fuggire in paesi come Thailandia, Malesia, Indonesia e Australia. «Inoltre, alla fine del 2024 c’erano più di 1,3 milioni di rifugiati Rohingya in Bangladesh e 22.500 in India – si legge nella nota -. Molti rischiano di essere sfruttati lungo i confini da bande criminali che approfittano del caos per creare un sistema di truffe basate sul lavoro forzato, alimentando il traffico di droga e la tratta di esseri umani».
Preoccupano soprattutto le condizioni di vita dei bambini e dei giovani. «Il reclutamento forzato, l’estorsione, i rapimenti, la tortura e le uccisioni dipingono un quadro desolante di una nazione in subbuglio – continua la nota -, dove le famiglie sono minacciate e i giovani non hanno altra scelta che fuggire». L’istruzione, come racconta un giovane difensore dei diritti umani del Myanmar, è ormai un sogno. «Anche se alcuni riescono ad avere accesso all’istruzione – racconta -, è sempre difficile metterla in pratica e far progredire la nostra condizione. Sebbene sia difficile mantenere l’ottimismo, ci ricordiamo l’un l’altro che la lotta di oggi è un passo avanti verso la libertà che tutti meritiamo».
Alla comunità internazionale il Jesuit Refugee Service chiede di «agire con decisione per sostenere il popolo del Myanmar nella sua lotta per la democrazia, i diritti umani e una pace duratura – conclude la nota -. È giunto il momento che l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean), le Nazioni Unite e i leader mondiali adottino misure coraggiose e immediate a favore della giustizia, della stabilità e di una pace duratura in Myanmar e nella regione».
«In Myanmar oggi non si può stare in silenzio – ha detto Papa Francesco in uno dei colloqui con i gesuiti durante il suo Viaggio Apostolico in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste e Singapore, nel settembre dello scorso anno -: bisogna fare qualcosa! Il futuro del Paese deve essere la pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, sul rispetto di un ordine democratico che consenta a ciascuno di dare il suo contributo al bene comune».