
«Qui è una catastrofe. La frontiera tra la vita e la morte è solo immaginaria». Le parole di p. Jean Denis Saint Félix, superiore dei gesuiti a Port-au-Prince, intervistato dalla rivista America, sono senza sfumature.
Haiti è tra i Paesi più poveri e arretrati del Pianeta, e oggi vive – dopo il devastante terremoto del 2010 – una ulteriore situazione di crisi economica e politica. Nel Paese caraibico dilaga la violenza delle bande armate e le già terribili condizioni umanitarie, dovute alla carenza di beni primari e dei servizi sanitari, rischiano oggi di essere aggravate da una nuova epidemia di colera. Il 2 ottobre scorso, infatti, è stato certificato il primo caso dopo tre anni dall’ultimo.
«16 mesi dopo l’assassinio dell’ex presidente Jovenel Moïse – spiega p. Saint Félix –, la popolazione haitiana vive in una situazione paragonabile all’inferno. Niente elettricità, niente acqua corrente, niente trasporti perché manca il carburante. Condizioni malsane ovunque. Anche coloro che si considerano parte della classe media stanno letteralmente morendo di fame e la violenza è ovunque, soprattutto nella capitale». Chi può, soprattutto tra i giovani, fugge prevalentemente nella vicina Repubblica Dominicana o, rischiando la vita, prova a raggiungere le coste della Florida.
We need our fellow Catholics all over the world not only to pray for us, not only to have compassion and take pity on us, but to act, to question the racist politics of their governments toward Haiti. https://t.co/8jPSYD3FwQ
— America Magazine (@americamag) October 24, 2022
L’ipotesi di un intervento di «peacekeeping»
All’inizio di ottobre, il leader de facto della nazione, Ariel Henry, ha lanciato un appello per un intervento militare internazionale per ripristinare l’ordine. Appello riecheggiato qualche giorno dopo dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha definito «un incubo» la situazione ad Haiti. Nel frattempo, Stati Uniti e Messico stavano preparando una risoluzione delle Nazioni Unite per autorizzare una missione non Onu guidata da un Paese vicino. L’Onu ha preso tempo e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha successivamente approvato all’unanimità una risoluzione che chiede la fine immediata della violenza che pervade Haiti, confidando nello strumento delle sanzioni mirate contro le organizzazioni criminali che tengono in scacco il Paese. In particolare, è stato imposto il divieto di viaggio, l’embargo sulle armi e il congelamento dei beni a Jimmy «Barbecue» Cherizier, la cui cosiddetta Famiglia G9 e i suoi alleati stanno bloccando il terminal dei carburanti nella capitale Port-au-Prince.
Tuttavia, molti haitiani che ricordano i precedenti, oltre alle attenzioni non disinteressate di Stati Uniti, Canada e Francia, si oppongono a un intervento esterno. Inoltre, non sono pochi a considerare il contingente Onu arrivato nel 2010 responsabile della precedente epidemia di colera e si sono già verificate proteste contro l’ipotesi di un loro ritorno.
Le responsabilità della classe politica haitiana e della comunità internazionale
Secondo p. Saint Félix, d’altra parte, non è realistico pensare che il governo attuale possa ridurre l’insicurezza provocata dalla violenza dei clan criminali, ricordando che «negli ultimi 30 anni circa, le bande armate sono state utilizzate dai politici haitiani per salire al potere, eliminare gli avversari e poi rimanere in sella». Le bande ora che hanno il controllo della situazione, ovviamente, fanno i propri interessi, a scapito della popolazione. «La vita economica di Haiti – continua il gesuita – è basata sul monopolio. È un sistema economico alla ricerca di rendite. Gli esperti parlano di “economia della violenza”, un’economia criminale».
Intervistata da Vatican News, Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava NPH Italia Onlus, che opera ad Haiti da circa 20 anni, ha detto che nel Paese si sta assistendo al fallimento di tutti gli obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu. Secondo la Rava, «i bambini e le nuove generazioni scontano i meccanismi distorti della gestione politica e anche della scarsa attenzione della comunità internazionale».
«Haiti non ha più bisogno di aiuti umanitari – ha chiosato p. Saint Félix; abbiamo bisogno di investimenti forti e concreti nella sanità, nelle infrastrutture, nell’agricoltura, nell’istruzione e nella ricerca. Noi vogliamo continuare a resistere, a fare proposte per una nuova Haiti».