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Cultura e società

WOODY

Virgilio Fantuzzi

3 Novembre 2012

Quaderno 3897

Woody Allen visto da Woody Allen? Caratteri bianchi su fondo nero nei titoli di testa, un coinvolgente motivo di jazz, inquadrature sulle strade a scacchiera di Manhattan e sui viali alberati del Central Park… Il documentario di Robert B. Weide sulla vita e sulle opere del noto regista newyorkese comincia con l’adottare il punto di vista di colui che, attraverso le immagini del film, si racconta: Woody stesso.
Allen in persona apre alla macchina da presa la porta di casa e del suo studio. Estrae dai cassetti fogli disseminati di appunti, buttati giù alla rinfusa chissà quando e chissà dove in una grafia comprensibile a lui soltanto. Sono spunti afferrati al volo e custoditi gelosamente in attesa che un giorno o l’altro possano rendersi utili per colmare un vuoto dovuto all’improvviso allentarsi delle energie creative. «È da qui che nascono i miei film», dice Woody con un tocco di compiaciuta autoironia.
Le dichiarazioni del regista, giunto alla soglia dei 77 anni, si intrecciano con spezzoni di vecchie trasmissioni televisive, coperte dalla polvere del tempo, intercalati con ricordi e testimonianze dei collaboratori di ieri e di oggi: attori e sceneggiatori, produttori e direttori della fotografia, familiari e amici. A tenere insieme questi materiali c’è la ricostruzione cronologica della carriera di Allen, a cominciare dai tempi in cui, studente liceale, scriveva le battute per i comici di Broadway, fino a quando, dopo essere entrato in contatto con l’ambiente del cinema, è riuscito a ottenere la piena autonomia come autore dei film.
Dopo aver esordito nella regia con film ridanciani tipo Prendi i soldi e scappa (1969) e Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971), Allen imprime una svolta alla sua carriera con Io e Annie (1977), una commedia soffusa di malinconia, che sfiora argomenti per lui cruciali come i rapporti tra uomo e donna, New York e Los Angeles, la vita e l’arte. Pieno successo in America. Quattro premi Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura, migliore attrice protagonista (Diane Keaton). Ma con il successo arrivano anche i contrasti. Rivela la sua ammirazione per Ingmar Bergman in un film «serio» come Interiors 1978) e manifesta entusiasmo per Federico Fellini in Stardust Memories (1980). D’ora in avanti il suo cinema raccoglierà consensi più in Europa che in America.
I tic e le nevrosi lo perseguitano… tanto vale assecondarli e inserirli come germogli fecondi in un cinema dallo stile duttile, che sa adattarsi alle circostanze, facendone tesoro senza pretendere che avvenga il contrario. Anche l’incertezza e il senso dell’incompiuto possono diventare fonte d’ispirazione. Il documentario di Weide si sofferma sul caso Manhattan (1979). Allen stesso racconta che alla fine del montaggio di quello che molti considerano come il suo capolavoro, lui si sentiva talmente insoddisfatto da proporre ai dirigenti della casa di produzione (United Artists) di non distribuirlo. In cambio avrebbe girato un altro film senza pretendere alcun compenso. Per fortuna non gli diedero retta. L’attrice Mariel Hemingway, orgogliosa di aver partecipato a quella memorabile impresa, ricorda con parole commosse le immagini finali di Manhattan intrise di struggente poesia.
Le disavventure matrimoniali di Allen, che hanno tenuto banco su tutti i giornali scandalistici del globo, vengono evocate con discrezione nel documentario, che sfrutta scene del film Mariti e mogli (1992) per illustrare la reciproca incompatibilità tra i due protagonisti (Mia Farrow e Woody stesso), che si manifesta nell’arte come nella vita.
Preziosa è l’incursione di Weide e della sua minuscola troupe sul set londinese di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni. Vi si coglie un senso di naturalezza e spontaneità, che consente agli attori di sentirsi a proprio agio. In questo modo Allen riesce a ottenere che ciascuno dei suoi collaboratori dia il meglio di sé senza apparente fatica, concedendo anche a se stesso di staccare quando, dopo aver raggiunto un certo risultato, si rende conto che non è il caso di insistere per andare oltre.
Stupisce la modestia con la quale Allen parla dei suoi film riconoscendo che non tutti sono pienamente riusciti. Si schermisce di fronte agli elogi che gli vengono rivolti, nascondendosi dietro la propria timidezza e le proprie manie. In 40 anni di attività ha realizzato una quarantina di film. Ammette candidamente di aver privilegiato la quantità sulla qualità, con la speranza che, aumentando il numero dei film, prima o poi riuscirà a fare anche quello del quale potrà ritenersi pienamente soddisfatto.
WOODY (Usa, 2012).
Regista: ROBERT B. WEIDE.
Documentario.

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WOODY

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


3 Novembre 2012

Quaderno 3897

  • pag. 317
  • Anno 2012
  • Volume IV

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Cinema

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