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L’amore tra un uomo e una donna è immagine dell’amore di Dio. La vocazione alla famiglia è iscritta nella natura umana, ed essa prende la forma di un viaggio impegnativo e a volte conflittuale, come lo è tutta la vita, del resto. Sono incalcolabili la forza, la carica di umanità in essa contenute: l’aiuto reciproco, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la generatività, l’accompagnamento educativo, la condivisione delle gioie e delle difficoltà. Il compito dei pastori deve essere innanzitutto quello di valorizzare ciò che è attrattivo nella vita familiare. È una esperienza fragile e complessa — e per questo ricca —, che mette in gioco non le idee ma le persone.
Questo gioco, oggi più che mai, si è fatto complesso. L’uomo e la donna stanno interpretando se stessi in maniera diversa dal passato, con categorie differenti. Come porsi in maniera corretta, cioè evangelica, davanti a tali sfide? Per questo Papa Francesco ha aperto un «processo sinodale» che prevede due Sinodi, uno straordinario e uno ordinario. Il primo, dedicato al tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’Evangelizzazione, si è concluso lo scorso 19 ottobre con la solenne Messa concelebrata per la beatificazione di Paolo VI, con la partecipazione di oltre 70.000 persone. Era stato inaugurato domenica 5 ottobre con una Messa nella Basilica di San Pietro.
In realtà questa, che è la III Assemblea Straordinaria, è una tappa fondamentale all’interno di un processo più ampio che è stato avviato nel mese di novembre 2013, quando venne diffuso un «documento preparatorio» che includeva un ampio questionario per i fedeli e le Chiese locali, del quale la nostra rivista ha dato conto a suo tempo (1). Il documento, molto agile, ha sostituito i Lineamenta e aveva l’obiettivo di coinvolgere dalla base il popolo di Dio nel processo sinodale.
Questo coinvolgimento ha poi comportato un processo a spirale. Le risposte al questionario sono giunte entro la fine del gennaio 2014 e sono state elaborate per redigere il testo dell’Instrumentum laboris, che ha costituito poi l’ordine del giorno dell’Assemblea Straordinaria (2). Da notare subito che sia le domande sia le risposte non hanno dato nulla per scontato, né hanno voluto proiettare una immagine ideale di famiglia cristiana. Il processo sinodale ha davvero inteso aprire gli occhi sulla realtà della coppia umana, anche negli aspetti più problematici: dai matrimoni irregolari alla poligamia, alle unioni omosessuali. All’Assemblea Straordinaria ne farà seguito una Ordinaria, già in programma dal 4 al 25 ottobre 2015, dal tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
Un «processo sinodale» coraggioso e aperto
A giudizio del Santo Padre, il «processo sinodale» aperto dovrà sempre di più plasmare la vita della Chiesa (3). Papa Francesco lo aveva già annunciato chiaramente nell’intervista che ha concesso alla Civiltà Cattolica — pubblicata il 19 settembre 2013 — con queste parole: «Si deve camminare insieme: la gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica» (4). Il Pontefice intende imprimere alla Chiesa la «dinamica della sinodalità» (5). E ricordiamo che il Sinodo dei vescovi fu istituito dal beato Paolo VI nel 1965 per mantenere viva l’esperienza del Concilio Vaticano II. Non è dunque casuale che la beatificazione del Papa bresciano abbia coinciso con la chiusura dell’Assemblea.
La prima condizione richiesta da Francesco perché il processo sinodale abbia realmente valore ed efficacia consiste nella piena libertà di parola e di espressione di chi ne è attore. Nel suo saluto ai Padri durante la I Congregazione Generale del Sinodo, egli ha infatti affermato con decisione: «parlare chiaro. Nessuno dica: “Questo non si può dire; penserà di me così o così…”. Bisogna dire tutto ciò che si sente con parresia. Dopo l’ultimo Concistoro (febbraio 2014), nel quale si è parlato della famiglia, un Cardinale mi ha scritto dicendo: peccato che alcuni Cardinali non hanno avuto il coraggio di dire alcune cose per rispetto del Papa, ritenendo forse che il Papa pensasse qualcosa di diverso. Questo non va bene, questo non è sinodalità, perché bisogna dire tutto quello che nel Signore si sente di dover dire: senza rispetto umano, senza pavidità. E, al tempo stesso, si deve ascoltare con umiltà e accogliere con cuore aperto quello che dicono i fratelli. Con questi due atteggiamenti si esercita la sinodalità. Per questo vi domando, per favore, questi atteggiamenti di fratelli nel Signore: parlare con parresia e ascoltare con umiltà».
Francesco ha posto esattamente nel suo ministero petrino il fondamento della serenità di coscienza nel dire ciò che si pensa: «il Sinodo si svolge sempre cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti e custodia della fede». In tal modo Pietro non si può intendere restrittivamente come «argine» alla parola e al pensiero dentro la Chiesa, ma al contrario come la «roccia» solida che rende possibile l’espressione, perché è lui, e non altri, a essere supremo garante e custode della fede. Questo Sinodo è stato anche il luogo in cui il Papa ha ribadito con chiarezza e in vari passaggi il ministero del Romano Pontefice: la sua potestà ordinaria «suprema, piena, immediata e universale» — ha specificato a conclusione del Sinodo — non è da intendere come quella di un «signore supremo», ma di un «garante della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa». Il suo ruolo di «garante» in questo senso non frena, ma, al contrario, sblocca e rasserena la libertà matura di parola e di espressione del proprio pensiero.
E libertà di parola e umiltà di ascolto sono state richieste perché il Papa ha inteso mettere la Chiesa in un serio processo di discernimento pastorale, che ha come base la schiettezza, e che non deve temere divergenze e conflitti. Con una ulteriore e importante avvertenza: il Sinodo non è e non deve essere una catena di interventi colti; «le Assemblee sinodali non servono per discutere idee belle e originali, o per vedere chi è più intelligente… Servono per coltivare e custodire meglio la vigna del Signore, per cooperare al suo sogno, al suo progetto d’amore sul suo popolo» (6). Senza voler contrapporre dottrina e pastorale, che sono «geneticamente» legate, il Sinodo non ha inteso solamente ripetere la dottrina, ma soprattutto esprimere uno slancio pastorale verso le sfide dell’oggi. Francesco lo ha reso con l’immagine della vigna proposta durante la sua omelia nella Messa di apertura. Essa è il popolo di Dio ed è affidata ai vignaioli non perché se ne impadroniscano, ma perché vi lavorino «generosamente con vera libertà e umile creatività».
La «grande discussione» e il discernimento
Con questa forte base di fiducia si sono aperti i lavori sinodali. Ogni Padre ha avuto a disposizione quattro minuti per prendere parte al dibattito generale, ma alla fine di ogni giornata, per quattro giorni, è stata destinata anche un’ora a interventi liberi di tre minuti. In tutto ci sono stati circa 260 interventi.
Proprio perché il dibattito fosse davvero tale, il Santo Padre ha nominato al Sinodo membri, alcuni dei quali, in maniera opposta e divergente, avevano espresso il loro parere sui temi trattati. I media forse non erano pronti a una tale apertura e pluralità di posizioni e hanno semplificato il dibattito polarizzandolo su alcune figure. E tuttavia occorre dire che ciò non si è mai verificato nell’Aula, che invece ha visto l’espressione di posizioni molto diversificate, arricchite tra l’altro dalla internazionalità dell’assemblea e dell’eterogeneità delle loro esperienze pastorali.
Nel Sinodo è emersa una Chiesa in ricerca e davvero «cattolica» che, a partire da un tema specifico, si è interrogata su se stessa e sulla sua missione. Sono emersi anche modelli differenti di Chiesa (7), ma anche impostazioni culturali differenti, a tratti opposte, considerando il Paese o anche il Continente di provenienza dei Padri. In questo senso è possibile affermare che nell’Aula si è respirato davvero un clima «conciliare». La serenità e la franchezza, sia chiaro, non hanno generato una discussione ammorbidita, al contrario hanno permesso di vivere una dinamica reale che non è affatto «confusione», ma «libertà»: due termini che non sono mai da confondere, pena non vivere con coraggio una piena maturità adulta.
Il Sinodo è stato anche un avvenimento di alto valore spirituale, che ha vissuto momenti di consolazione e momenti di desolazione. Il Papa ha dato una lucida lettura di questi eventi nel suo intervento finale, dopo la votazione della Relatio Synodi (8). Richiamando gli Esercizi Spirituali (ES), ha chiaramente affermato che si sarebbe «molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni, questo “movimento degli spiriti”, come lo chiamava sant’Ignazio (ES, n. 6) se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace». Invece, ha proseguito, «ho visto e ho ascoltato — con gioia e riconoscenza — discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia».
Dunque è lo stesso Pontefice che ha confermato la correttezza del procedimento sinodale, dal quale non c’era da attendersi una convergenza totale, frutto di un bilanciamento quietista, moderato, ma falso. All’interno di questo cammino reale e realistico ci sono stati «momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore», ha proseguito il Papa.
In tal senso allora bisogna ricordare il clima del cosiddetto «Concilio di Gerusalemme», del quale gli Atti degli Apostoli non temono di registrare «una grande discussione» (At 15,7) tra apostoli e anziani della Chiesa di Gerusalemme che fa seguito a un’altra «controversia» nella quale «Paolo e Barnaba dissentivano e discutevano animatamente» (At 15,2) contro altri fratelli venuti dalla Giudea circa la questione della circoncisione. E ricordiamoci che è Paolo a opporsi a Cefa «faccia a faccia» (Gal 2,11).
È questo confronto faccia a faccia ciò che il Santo Padre ha chiesto ai Padri Sinodali di non temere, sapendo che a guidare la discussione di tutti è «il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum (cfr Can. 1752)». E questo sempre dunque «senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita». Il senso è quello dell’unità oltre i conflitti: «Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù!» (9). I dissensi non sono spaccature, ma spesso fessure attraverso le quali la grazia passa più agevolmente.
Il clima nell’Aula sinodale è stato dunque franco e sereno, coinvolto e attento. Lo stesso Pontefice in questo è stato un modello di ascolto: sempre presente alle Congregazioni Generali (tranne il mercoledì mattina a causa dell’Udienza), ha ascoltato tutti gli interventi. Anzi, è sempre arrivato in anticipo per salutare i Padri, prendendo poi anche il caffè con loro durante il break. Mai è apparso preoccupato o ansioso, nonostante qualche giornalista abbia tentato l’improbabile ricostruzione di un Papa «teso». Tutto questo ha generato un clima di grande fraternità.
Trasparenza e realismo
Il processo sinodale ha avuto delle tappe precise e ordinate pur dentro una metodologia rinnovata. Si sono tenute in tutto 15 Congregazioni Generali, cioè sessioni di lavoro, in genere di mezza giornata. Il tempo e stato scandito dalla preghiera dell’Ora Terza, dell’Angelus e dell’Adsumus. Il dibattito è stato arricchito anche dalla testimonianza di coppie che hanno parlato della loro esperienza matrimoniale.
La prima Congregazione è stata dedicata alla Relazione del Segretario generale, il cardinal Lorenzo Baldisseri, e alla Relatio ante disceptationem presentata dal Relatore generale, il cardinal Pèter Erd?, che l’ha redatta con l’assistenza del Segretario speciale, mons. Bruno Forte, come è previsto dall’Ordo Synodi. Questa relazione è stata preparata grazie all’apporto degli interventi dei Padri giunti alla Segreteria generale del Sinodo prima del suo inizio. È stata la base solida e sicura per rilanciare il dibattito. Esso ha coperto sette Congregazioni Generali, alle quali ne sono seguite due per l’ascolto degli Uditori e dei Delegati fraterni. A seguire è stata letta la Relatio post disceptationem, detta anche «Relazione conclusiva», anch’essa scritta dal cardinal Erdo assistito da mons. Forte, che ha rappresentato una ulteriore tappa del cammino sinodale. Il suo scopo è stato quello di raccogliere le sfide pastorali presenti nei vari interventi dei Padri per rimetterle all’Aula e poi al lavoro dei «Circoli minori», che hanno riletto il testo proponendo emendamenti e facendo osservazioni.
Questa Relazione conclusiva del dibattito è caratterizzata da uno stile molto dinamico, magari non sempre lineare a causa della convergenza di molti interventi, ma certamente capace di dare voce alle sfide emerse dalla discussione. La sua lettura in Aula si è conclusa con 20 secondi di applauso convinto, seguiti dall’apprezzamento del cardinal Damasceno Assis, uno dei Presidenti delegati, che l’ha definita «molto ampia», constatando che ha trattato «tutti i punti che sono stati discussi durante le Congregazioni generali».
Leggendola, molti hanno avuto l’impressione che davvero il Sinodo abbia guardato in faccia la realtà, nominandola, anche negli aspetti più problematici. Si è accolta dunque l’esistenza concreta delle persone, più che parlare in astratto della famiglia come dovrebbe essere. Tra i vari punti emersi è da segnalare la valutazione delle coppie unite da un vincolo esclusivamente civile, la situazione dei divorziati risposati e il loro eventuale accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, i matrimoni misti, i casi di nullità, la situazione delle persone omosessuali, la sfida della denatalità e dell’educazione. Non è possibile qui dar conto delle singole tematiche, che saranno da approfondire successivamente.
In generale possiamo dire che la Relatio ha raccolto il riconoscimento degli elementi positivi anche nelle forme imperfette di famiglia e nelle situazioni problematiche. Si è parlato dell’importanza di ribadire il Vangelo della famiglia, come pure di riconoscere il positivo nelle situazioni imperfette. Ad esempio: giovani e meno giovani oggi convivono senza matrimonio, ma certo possono, se guidati, scoprirne man mano la bellezza, il senso. È possibile, con discernimento pastorale, partire dalla storia reale e dalla bontà che in essa si scopre. La Relatio ha mostrato una Chiesa intenta a usare le proprie energie per seminare più grano possibile invece che per sradicare zizzania. Benché fosse ancora un testo provvisorio da approfondire e correggere, ha provocato in alcuni la gioia di un linguaggio più «fresco» e adatto ai tempi, in altri timore e ansia che venisse messa in discussione la dottrina e non venissero segnalati adeguatamente rischi e pericoli.
La Relatio post disceptationem è stata poi consegnata al lavoro dei Circuli minores, cioè dei Padri riuniti in gruppi suddivisi per preferenze linguistiche. Essi hanno prodotto sintesi poi condivise in Aula. In questo spazio di riflessione sono emerse, con acume e acribia, le proposte di emendamenti, e con esse chiare convergenze e altrettanto nette divergenze tra i Padri. Tutto questo processo ha richiesto la pubblicazione dei materiali di lavoro (Relatio e relationes dei Circoli) per la più ampia partecipazione esterna al Sinodo. È molto interessante leggere questi documenti «acerbi», frutto però di una profonda discussione, animata dal desiderio del bene per la Chiesa, dispiegatasi in sette sessioni.
Tra le righe è possibile cogliere soprattutto atteggiamenti differenti nel comprendere il rapporto della Chiesa con la storia e il mondo, un tema di profonda ispirazione conciliare. Si è passati da chi ha affermato che bisogna avere il «coraggio per bussare a porte proibite», per trovare al di là di esse «l’amorosa presenza di Dio che ci aiuta a vivere le sfide dell’oggi non alle nostre condizioni, ma in modo nuovo e inimmaginabile» (come si legge nella sintesi del Circulus anglicus A), al rifiuto completo del principio di «gradualità» ispirato dal Vaticano II, in quanto può comportare la legittimazione a priori di situazioni irregolari (come si legge nella sintesi del Circulus gallicus B).
È interessante anche leggere le sintesi su temi considerati più controversi. Ad esempio, sulle persone omosessuali si legge che, senza riconoscere alcuna equiparazione tra le coppie gay e quelle eterosessuali, esiste una sostanziale conferma delle posizioni della Relatio post disceptationem per l’atteggiamento di accoglienza e di accompagnamento (Circulus gallicus A), il quale genera un impegno di prossimità (Circulus italicus A), capace anche di denunciare le discriminazioni ingiuste e violente (Circulus gallicus B).
Non è da tacere che la pubblicazione di tutti i materiali di discussione è stata ritenuta da alcuni rischiosa, perché ha fornito una immagine della Chiesa nella sua poliedricità di posizioni differenti. Ma essa è da considerarsi un passaggio importante in ordine a quella convergenza, auspicata dal Santo Padre, che non sia frutto di un bilanciamento quietista. Tutte le osservazioni sono giunte alla Commissione che ha redatto la Relatio Synodi finale, impiegando un giorno e mezzo per il lavoro di sintesi.
Il «Messaggio» e la «Relatio Synodi»
Mentre si riunivano i «Circoli minori», si è riunita anche la Commissione per il «Messaggio» del Sinodo alle famiglie, che ha seguito lo stesso procedimento di lettura in Aula e di raccolta degli emendamenti. Il testo è stato riformulato, e così le ultime sue Congregazioni Generali sono state dedicate all’approvazione sia del «Messaggio» sia della Relatio Synodi. Quest’ultimo testo si presenta come una buona sintesi di tutto il processo compiuto fino al momento della sua compilazione. Il suo linguaggio e il suo stile sono certamente più composti rispetto alla versione post disceptationem. Esso è frutto di un equilibrio di posizioni che erano state espresse in maniera più vivace nei contrasti dei testi precedenti. In questo senso è un testo di mediazione meno sbilanciato sulle sfide e più rigoroso e attento a tenere insieme tutti gli elementi del discorso. Il tono e lo stile generale è più da «documento» rispetto alla versione precedente.
Si può notare che esso descrive la condizione della famiglia all’interno del contesto attuale (Prima parte) e poi annuncia il Vangelo della famiglia (Seconda parte). La Terza parte è stata dedicata in maniera specifica alle prospettive pastorali e alle sfide da affrontare. Tra quelle accolte dal testo si ritrova l’approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile o, fatte le debite differenze, che semplicemente convivono (n. 25): «una sensibilità nuova della pastorale odierna consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti» in essi (n. 41). Si è parlato di «scelte pastorali coraggiose» e di «cammini pastorali nuovi» (n. 45). Tutti i paragrafi hanno raggiunto la maggioranza qualificata dei 2/3 (cioè un minimo di 123 voti) tranne 3, considerati da molti «punti chiave»: quelli sui divorziati risposati (nn. 52-53) e quello sulle persone omosessuali (n. 55).
Si potrebbe molto argomentare davanti a tale scelta. Una prima constatazione è che, pur non avendo raggiunto la maggioranza qualificata dei 2/3, i punti in questione hanno abbondantemente superato quella assoluta. Sul punto che riguarda le persone omosessuali è da dire che il voto negativo è sembrato frutto della convergenza di due posizioni: quella meno propensa all’accoglienza pastorale di queste persone, e quella di Padri che, al contrario, ritenevano che si dovesse esprimere maggiore apertura nei loro confronti secondo quanto registrato sia nella Relatio post disceptationem sia nei Circuli minores.
Altro discorso invece è da farsi per i due punti che in realtà mettevano a tema non la possibilità che i divorziati risposati accedano ai sacramenti, ma semplicemente la certificazione del fatto che di questo si è parlato nel Sinodo, facendo poi riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica. Il mancato raggiungimento dei 2/3 a parte del n. 52 (10) è in un certo senso anomala, perché è come se 74 Padri su 183 avessero voluto negare persino la registrazione della discussione di fatto vissuta. Questa però è stata riconosciuta e certificata dal «Messaggio», approvato ad ampia maggioranza qualificata (158 voti su 174), che offre persino un indizio di fondamento teologico: «Il vertice che raccoglie e riassume tutti i fili della comunione con Dio e col prossimo è l’Eucaristia domenicale, quando con tutta la Chiesa la famiglia si siede alla mensa col Signore. Egli si dona a tutti noi, pellegrini nella storia verso la meta dell’incontro ultimo quando “Cristo sarà tutto in tutti” (Col 3,11). Per questo, nella prima tappa del nostro cammino sinodale, abbiamo riflettuto sull’accompagnamento pastorale e sull’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati».
Il secondo numero che non ha raggiunto la maggioranza qualificata è il 53, e riguarda la «comunione spirituale» (11). Il testo in sé certifica semplicemente il dibattito realmente avvenuto in Aula, senza prendere posizione e sollecitando un approfondimento. Eppure è stato bocciato da 64 Padri su 183 (12).
Papa Francesco ha assistito a tutte le fasi della votazione. La sua decisione circa la Relatio Synodi è stata quella di considerare tale testo come «il riassunto fedele e chiaro di tutto ciò che è stato detto e discusso in questa Aula e nei Circoli minori». Per questo esso, non solamente nelle parti che avevano raggiunto il quorum (come previsto dal regolamento del Sinodo), ma nella sua interezza, è stato subito reso pubblico. Accanto a ogni punto, per decisione del Pontefice, è stato incluso il numero dei voti favorevoli e contrari dei Padri Sinodali. In tal modo Francesco ha reso trasparente tutto il processo, lasciando ai fedeli la lettura e il giudizio dei fatti, anche quelli più difficili da interpretare (13). La Relatio Synodi sarà presentata alle Conferenze episcopali come Lineamenta per il prossimo Sinodo. Quindi, grazie alla decisione del Pontefice, tutti i punti disputati restano quaestiones disputandae, ma illuminate da tutto il confronto sinodale. Il processo dunque resta aperto e richiede il coinvolgimento del popolo di Dio per un anno intero.
La Chiesa: ospedale da campo e fiaccola di luce
A questo punto il cammino si apre sull’anno che ci separa dal Sinodo Ordinario, che sarà anch’esso una tappa del processo di discernimento. Si possono fare molte considerazioni al riguardo. Ciò che riteniamo necessario, alla fine del Sinodo Straordinario, è che la Chiesa, a tutti i suoi livelli, si interroghi non solamente su questa o quella questione particolare, ma grazie ad esse anche sul modello ecclesiologico che incarna. Esso ci fa comprendere il compito della Chiesa stessa nel mondo e il suo rapporto con la storia.
Qual è l’immagine di Chiesa che questo Pontificato ci sta proponendo? Per descriverlo potremmo ricordare che sant’Ignazio, negli Esercizi Spirituali, ci fa considerare lo sguardo con cui Dio vede il mondo: «le tre Persone Divine sul loro soglio regale osservano tutta la faccia e la superficie della terra e tutte le genti in tanta cecità», le quali «feriscono, uccidono, vanno all’inferno» (ES, nn. 106; 108). Ignazio vede Dio mentre guarda il mondo come il terreno di una battaglia con morti e feriti. E immediatamente da questa visione del mondo lo sguardo di Ignazio si restringe e vede la stanza di Maria a Nazaret e le Persone divine che dicono: «Facciamo la redenzione del genere umano» (ES, n. 107).
Quando il Papa parla della Chiesa come «ospedale da campo dopo una battaglia», si riferisce a questa immagine e chiarisce il ruolo della Chiesa alla luce dello sguardo di Dio sul mondo: «tanta gente ferita che chiede da noi vicinanza, che chiede da noi quello che chiedevano a Gesù: vicinanza, prossimità» (14). È l’opposto dell’immagine della fortezza assediata. Essa non è una semplice e bella metafora poetica: da essa può derivare una comprensione della missione della Chiesa e anche del significato dei sacramenti di salvezza (15).
E qual è il campo di battaglia oggi? Ecco alcune sfide che riguardano la famiglia: il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione hanno rovesciato i rapporti fra giovani e anziani; la contraccezione consente la scissione tra sessualità e generatività; la procreazione assistita rompe l’identità tra generare ed essere genitore; le famiglie ricostituite portano all’esistenza legami e ruoli parentali con complesse geografie relazionali; coppie di fatto pongono la questione della istituzionalizzazione sociale dei loro rapporti; persone omosessuali si chiedono perché non possano vivere una vita di relazione affettiva stabile da credenti praticanti. Ma, in realtà, il vero problema, la vera ferita mortale dell’umanità oggi è che le persone fanno sempre più fatica a uscire da se stesse e a stringere patti di fedeltà con un’altra persona, persino se amata. È questa umanità individualista che la Chiesa vede davanti a sé. E la prima preoccupazione della Chiesa deve essere quella di non chiudere le porte, ma di aprirle, di offrire la luce che la abita, di uscire per andare incontro a un uomo che, sebbene creda di non aver bisogno di un messaggio di salvezza, si scopre spesso impaurito e ferito dalla vita.
Come dunque la Chiesa, ospedale da campo, può esssere presente nel mondo? In questo senso sia la Relatio post disceptationem (n. 23) sia la Relatio Synodi (n. 28) sia il «Messaggio» sono concordi nel parlare di una «Chiesa fiaccola» in relazione a una «Chiesa faro». La Chiesa, infatti, è lumen, luce, perché sul suo volto si riflette la luce di Cristo, che è Lumen gentium (LG, n. 1). Questa luce però può essere intesa in almeno due modi che non si escludono, ma che sono differenti. Innanzitutto come «faro», la cui caratteristica è quella di dare luce, ma di essere fermo, poggiato su solido fondamento. Ma può essere intesa anche come «fiaccola». Qual è la differenza tra faro e fiaccola? Il faro sta fermo, è visibile, ma non si muove. La fiaccola, invece, fa luce camminando là dove sono gli uomini, illumina quella porzione di umanità nella quale si trova, le loro speranze, ma anche le loro tristezze e angosce (cfr GS, n. 1). La fiaccola è chiamata ad accompagnare gli uomini nel loro cammino, accompagnandolo dal di dentro dell’esperienza del popolo, illuminandolo metro per metro, non accecandolo con una luce insostenibile.
Il beato cardinal J. H. Newman, in una sua nota poesia, parlava di una kindly light, una «luce gentile». Leggiamo nella Enciclica Lumen fidei: «La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino» (n. 57). Dunque, non basta che la Chiesa rifletta la luce di Cristo sulle coppie umane come un faro luminoso, ma statico: occorre che sia anche fiaccola. Infatti, se l’umanità si allontanasse troppo, la luce della Chiesa — per quanto potente — diventerebbe talmente flebile da scomparire per molti. La luce di Cristo riflessa dalla Chiesa non può diventerebbe privilegio di pochi eletti che galleggiano nel recinto di un porto sicuro: una «chiesuola», dunque, più che una Chiesa. La Chiesa intesa come «fiaccola» è chiamata ad accompagnare i processi culturali e sociali che riguardano la famiglia, per quanto ambigui, difficili e poliedrici possano essere.
Oggi più che mai «serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo» (16). La cittadinanza cristiana è innanzitutto frutto della misericordia di Dio. Se la Chiesa è davvero madre, tratta i suoi figli secondo le sue «viscere di misericordia» (Lc 1,78). Non solamente secondo il cuore, ma proprio secondo le «viscere». Quindi «Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi» (EG, n. 47). La domanda che alcuni Padri si sono posti, infatti, è stata: per la misericordia viscerale di Dio, può esistere una economia sacramentale che prevede situazioni irrecuperabili, che escludano permanentemente la possibilità di accedere al sacramento della Riconciliazione? Potremmo fare un esempio: come possiamo comportarci davanti a una donna che, dopo un matrimonio fallito e dopo anni di una vita ricostruita con seconde nozze e figli, si pente di gravi peccati passati (un aborto, ad esempio, praticato prima del divorzio) e vuole riconciliarsi sacramentalmente con Dio?
La strada aperta
Le domande restano tali e richiedono un approfondimento del quale siamo soltanto agli inizi. Come procedere nel cammino? Papa Francesco ha più volte insistito sul fatto che, se davvero si è in marcia, la strada si apre gradualmente e occorre procedere guidati dalla consolazione, cioè dalla percezione interiore della presenza di Dio, non mossi dalla paura e dai timori.
La strada giusta per pensare in termini di misericordia e di consolazione è il discernimento pastorale, vissuto con prudenza e audacia. Esso è il risultato di quello che il Santo Padre ha definito «pensiero incompleto» e aperto (17), che sempre guarda il cammino all’orizzonte, avendo come stella polare Cristo. Esso si applica anche a quelle che lo stesso Francesco ha definito «sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere» (18).
Su questa strada aperta ci sono anche tentazioni, alle quali il Papa ha fatto riferimento alla fine del Sinodo (19). Esse sono quella dell’irrigidimento ostile dentro la legge e ciò che conosciamo, che ci impedisce di capire che abbiamo ancora da imparare; quella di una misericordia buonista che fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; quella di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo e pesante, ma anche quella di trasformare il pane in pietra da scagliare contro i peccatori e i deboli. Esiste anche la tentazione di scendere dalla croce, per piegarsi allo spirito mondano, invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. E infine la tentazione di considerarsi proprietari e padroni della fede o, dall’altra parte, di trascurare la realtà utilizzando un linguaggio per dire tante cose, ma in definitiva per non dire niente.
La luce del cammino della Chiesa — lungo il quale le tentazioni citate non mancano — deve rimanere Cristo servo, che vuole una «Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani». Questo ha confermato il «Messaggio» del Sinodo a tutte le famiglie: «Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno». E questo ha confermato la stessa Relatio Synodi al n. 11, che è forse il suo cuore più evangelico, esente da timidezze: «Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono».
1 Cfr G. Salvini, «Il prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia», in Civ. Catt. 2013 IV 487-494.
2 Cfr Id., «Verso l’Assemblea Straordinaria del Sinodo sulla famiglia», ivi, 2014 III 274-284.
3 Cfr Evangelii gaudium (EG) nn. 32; 244; 246.
4 A. Spadaro, «Intervista a Papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 449-477; 466. Poi nel volume Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Milano, Rizzoli, 2013, 65.
5 Papa Francesco, Saluto ai Padri Sinodali durante la I Congregazione Generale della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 6 ottobre 2014.
6 Papa Francesco, Omelia nella Messa per l’apertura del Sinodo Straordinario sulla famiglia, 5 ottobre 2014.
7. Cfr A. Dulles, Modelli di Chiesa, Padova, Messaggero, 2005.
8. Papa Francesco, Discorso per la conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 18 ottobre 2014.
9 Papa Francesco, Omelia per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 29 giugno 2013.
10 Eccone il testo: «Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate” da diversi “fattori psichici oppure sociali” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)».
11 «Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio».
12 Forse hanno prevalso i timori, davanti ai quali però occorre ricordare ciò che l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Donum Veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo aveva affermato: «I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione» (n. 24).
13 A leggere bene, infatti, troviamo pure 11 voti negativi dati a una citazione della Evangelii gaudium (EG) che parla dell’amore misericordioso e salvifico di Dio (n. 24), 27 voti contrari a un paragrafo sul fatto che l’amore misericordioso di Dio eleva alla conversione (n. 28), 12 voti contrari ai Centri di ascolto per aiutare specialmente coloro che hanno subìto ingiustamente la separazione (n. 47).
14 Papa Francesco, Udienza ai partecipanti all’Incontro internazionale «Il progetto di pastorale di “Evangelii gaudium”», 19 settembre 2014.
15 Ricordiamo le parole del beato Paolo VI: «Il simbolismo più fiorito, scintillante di metafore e di analogie, insinua la Chiesa dovunque affiori un pensiero di Dio sull’umanità da salvare: la Chiesa è nave, la Chiesa è barca, la Chiesa è esercito, la Chiesa è tempio, la Chiesa è città di Dio; la Chiesa perfino alla luna è paragonata, nelle cui fasi di diminuzione e di crescita si riflette la vicenda alterna della Chiesa che decade e che rimonta, e che non viene mai meno, perché fulget […] Ecclesia non suo sed Christi lumine, splende non di propria luce, ma di quella di Cristo» (Paolo VI, Discorsi e scritti milanesi, vol. II: 1954-1963, Brescia, Istituto Paolo VI, 1997, 2462 s).
16 Papa Francesco, Incontro con l’Episcopato brasiliano, 27 luglio 2013.
17 A. Spadaro, «Intervista a Papa Francesco», cit., 455.
18 Id., «Svegliate il mondo! Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali», in Civ. Catt. 2014 I 17.
19 Papa Francesco, Discorso per la conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, 18 ottobre 2014.