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UMBERTO PETRIN, A DAWN WILL COME

Claudio Zonta

16 Giugno 2012

Quaderno 3888

MUSICA

a cura di C. Zonta
Umberto Petrin, A Dawn Will Come, Leo Records, 2011.
Umberto Petrin, nato a Broni (Pv) negli anni Sessanta, pianista jazz e di musica contemporanea, ha collaborato durante la sua carriera con musicisti quali Lee Konitz, Gianluigi Trovesi, Antonello Salis, facendo parte anche della Italian Instabile Orchestra. Il suo ultimo lavoro discografico, A Dawn Will Come, è l’esito di una intensa e radicale ricerca musicale — espressa da un linguaggio jazzistico molto personale — all’interno di un serrato dialogo tra musica, poesia, pittura e video installazioni.
Per comprendere a fondo l’opera musicale di Petrin occorre ripercorrerla a partire da Monk’s world (1997). In questo disco cogliamo le radici della musica black del celebre pianista e compositore statunitense Thelonious Monk, percussiva, con continui spostamenti di accenti e ricca di armonie dissonanti, di incontri con quella europea, dal fraseggio chiaro e preciso, rivelando spazi di profonda improvvisazione. Il titolo del disco è tratto da una lirica di Amiri Baraka, poeta e drammaturgo, fondatore del Black Art Movement ad Harlem negli anni Sessanta.
La rilettura del vissuto di Thelonious Monk è anche il tema del reading intitolato «Misterioso», in collaborazione con Stefano Benni, scrittore dall’ironia pungente e dalla passione per le esistenze non convenzionali, ricche di unicità e dalle forti tinte chiaro-scure. I due artisti non si soffermano sull’aspetto biografico o celebrativo; piuttosto esplorano, attraverso la poesia e la musica, il silenzio: quel silenzio musicale degli ultimi sette anni, quando Monk si ritirò nel New Jersey, ospite della baronessa Nica de Koenigswarter, senza più suonare il pianoforte. «Misterioso» non rimane soltanto il titolo dello spettacolo, ma è soprattutto l’effetto che produce nel cuore dell’ascoltatore il passaggio dal silenzio alla musica, quell’attimo che è rivelatore di un respiro intenso, di un pensiero inatteso.
Petrin percorre strade inusuali per arrivare a decisioni espressive sperimentali, come nella performance per immagini «Il giro del mondo in settantasette minuti» con l’attore Giuseppe Cederna, durante la quale viene proiettato un documentario muto del 1926 — commissionato dalla Fondazione Cineteca di Milano — che rappresenta un viaggio che parte da Genova, passa per il Medio Oriente e l’India, per approdare a Sidney, in Australia, oppure nel reading «Il viaggiatore incantato». Il pianoforte si apre a suggestioni improvvisative, sinestesie generate dall’andamento delle immagini filmiche, o dalla voce narrante, che investiga storie e pensieri di viaggiatori, di naviganti e poeti. Le note del piano si celano, rivelando il potere espressivo e simbolico della parola, come nella lirica Itaca di Konstantinos Kavafis, per poi aprirsi a improvvisazioni musicali che evocano la complessità di stare nel viaggio, la molteplicità degli incontri, dei desideri e delle passioni: Devi augurarti che la strada sia lunga, / che i mattini d’estate siano tanti / quando nei porti — finalmente e con che gioia — / toccherai terra tu per la prima volta: /negli empori fenici indugia e acquista / madreperle coralli ebano e ambre, / tutta merce fina, e anche profumi / penetranti d’ogni sorta, più profumi / inebrianti che puoi / va’ in molte città egizie /impara una quantità di cose dai dotti.
Nell’ultimo lavoro, intitolato A Down Will Come (2011), Umberto Petrin ritorna al piano solo. È un lavoro che contiene propri pezzi, ad eccezione di San Francisco Holiday di Monk, per sottolineare come alcune radici rientrano sempre all’interno dell’esperienza musicale. Ancora una volta sono composizioni che intrecciano dia-loghi, questa volta ispirati all’arte contemporanea, come Mantra and Blue (for Joseph Beuys), brano dall’inizio grave, percussivo, con un crescendo di note, arpeggi incessanti, che si risolvono in momenti di profonda espressività. L’alternanza di momenti drammatici e introspettivi, mediante la lenta successione di accordi di ampio respiro venati da blue note e da una linea improvvisativa cristallina, sembrano rispecchiare i complessi passaggi della vita di Beuys: il passato nella Gioventù hitleriana, aviatore durante la seconda guerra mondiale, l’approdo alla scultura, il desiderio di riplasmare il senso dell’arte attraverso una riflessione ecologica.
La composizione Angelo del Millennio (Around Bill Viola), è un affresco impressionistico; le note del piano, appena pronunciate, sono come un panneggio all’installazione video dell’opera Five angels for the millennium di Bill Viola: armonie che rimandano all’opera dell’artista, alla dimensione del tempo rarefatta, a sonorità primordiali, ai colori che riprendono le intensità del blu, giungendo a creare istanti di profonda poesia.
La musica per Petrin è itinerario di ricerca di connessioni artistiche, che sappiano rivelare frammenti di esistenza mediante un linguaggio improvvisativo che si rivela essere luogo di libertà e di sensibilità; le composizioni musicali diventano narrazione di relazioni, disvelando un nuovo senso alle cose, uno specchio davanti al quale l’uomo possa rileggere profondamente se stesso e il cosmo che abita.

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UMBERTO PETRIN, A DAWN WILL COME

Claudio Zonta

Scrittore de La Civiltà Cattolica.


16 Giugno 2012

Quaderno 3888

  • pag. 629
  • Anno 2012
  • Volume II

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