
La pubblicazione dell’Enciclica Laudato si’ (LS) ha suscitato molti dibattiti tra le diverse comunità religiose riguardo alle risposte da dare sul cambiamento climatico. Dopo più di vent’anni di negoziati alle Nazioni Unite, la Conferenza di Parigi sul clima (Cop21)[1] era finalizzata ad adottare un accordo universale per contenere l’aumento della temperatura media globale»[2]. Dal 30 novembre all’11 dicembre scorso Cop21 avrebbe riunito più di «50.000 partecipanti, tra cui 25.000 delegati ufficiali di governi, organizzazioni intergovernative, agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni non governative e della società civile»[3].
Cop21 si è svolta in un momento in cui si stanno riconoscendo sempre più le responsabilità personali e comunitarie riguardo al cambiamento climatico: responsabilità che stanno a cuore a Papa Francesco e, insieme a lui, a un numero crescente di persone. Per raggiungere un accordo valido e rilevante occorre che vi sia una pressione morale, e successivamente sarà necessario un impegno personale al fine di garantire che l’accordo serva effettivamente a qualcosa. Dice l’Enciclica: «Non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno a evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché, quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o princìpi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare» (LS 123).
A questo appello morale della Laudato si’ hanno fatto riscontro importanti iniziative locali e globali dei vescovi cattolici. Vescovi di tutto il mondo hanno solidarizzato e si sono fatti promotori dell’intervento sul cambiamento climatico sia nelle loro diocesi sia in un contesto più allargato di comune collaborazione[4]. A tutti i livelli — da quello locale a quello delle singole Conferenze, a quello della loro cooperazione in campo internazionale — essi stanno dando sostegno ai cattolici per compiere atti significativi sul cambiamento climatico e stanno sollecitando maggiore consapevolezza e azioni concrete in proposito. La Chiesa cattolica è diventata un esempio per le altre religioni riguardo alla possibilità effettiva di unire la nostra fede con un forte richiamo all’azione sul tema del cambiamento climatico.
All’Enciclica Laudato si’ si sono infatti affiancate molte altre voci che riecheggiano l’imperativo morale ad agire riguardo al cambiamento climatico. Citiamo in proposito le Dichiarazioni rilasciate da leader islamici (18 agosto), ebrei, da 154 cristiani e altri leader religiosi (22 ottobre), dai presidenti delle Conferenze episcopali continentali (26 ottobre), dai capi buddisti (29 ottobre) e indù (23 novembre), che hanno fatto seguito all’Enciclica papale del 18 giugno nel chiedere una forte azione globale per rallentare il cambiamento climatico e per affrontarne le conseguenze. Queste Dichiarazioni sono state formalmente presentate a Cop21.
Istanze interreligiose. Dichiarazione di Lambeth 2015
La «Dichiarazione di Lambeth 2015» sui cambiamenti climatici (17 giugno) è nata sotto gli auspici di John Welby, arcivescovo di Canterbury, ma è espressione di molte comunità cristiane e di varie altre comunità religiose. Tra i firmatari compaiono dirigenti cristiani della comunità luterana, di quella metodista, dei riformati, degli ortodossi, delle Chiese orientali e di comunità e organizzazioni ecumeniche. Tra i sottoscrittori non cristiani troviamo diversi rappresentanti di comunità e organizzazioni musulmane, ebree, buddiste e zoroastriane. Pertanto questa Dichiarazione costituisce un pronunciamento comune non soltanto di comunità religiose, ma anche della società civile aperta alla fede. Quindi, nonostante la brevità del testo, essa raccoglie il consenso di un grande numero di comunità diverse.
La Dichiarazione richiede che la comunità mondiale limiti l’aumento della temperatura a due gradi celsius, così com’era stato concordato dalle Nazioni Unite a Cancun nel 2010. Essa si propone di contribuire a favorire un’economia a scarso impiego di carbonio, riconoscendo «l’urgenza di mettere in atto la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio». Ciò dovrebbe «rafforzarci individualmente e tutti insieme nella cura della terra, degli uni verso gli altri e delle generazioni future».
La prospettiva di questa Dichiarazione è etica, piuttosto che basata su proposte concrete. Vi si esprime la speranza che tutti «incoraggino e preghino per coloro che sono impegnati negli sforzi intellettuali, economici, politici e spirituali necessari per affrontare questa crisi». E vi si propone che ai vari livelli locali le persone «lavorino con le nostre comunità e con altri collaboratori in Gran Bretagna e a livello internazionale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulle comunità più povere e vulnerabili del mondo».
A un livello più istituzionale, la Dichiarazione contiene un appello a edificare, «seguendo gli esempi delle azioni locali e internazionali volte a vivere e a lavorare insieme in modo sostenibile», in modo da «raddoppiare i nostri sforzi per ridurre le emissioni che derivano dalle nostre attività istituzionali e individuali». Così la Dichiarazione, mentre rappresenta soprattutto un richiamo morale, apre una via importante per un’influenza concentrica attraverso le varie comunità ecumeniche e interreligiose e i sottoscrittori della società civile.
Musulmani. Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico
A Istanbul, nel mese di agosto 2015, musulmani provenienti da tutto il mondo hanno dato vita a una «Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico»[5]. Essa considera il rapido degrado ambientale del mondo avvenuto nella storia recente, a partire dalla rivoluzione industriale, e invita la comunità internazionale a intraprendere azioni positive. Guarda al passato, richiamandosi al gran numero di importanti incontri e impegni internazionali che sui cambiamenti climatici si sono susseguiti a partire dal Millennium Ecosystem Assessment (Unep, 2005). Lamenta inoltre il fallimento, avvenuto nel 2012, nel trovare un accordo significativo successivo alla scadenza del Protocollo di Kyoto.
Facendo proprie le preoccupazioni dei 100 rappresentanti internazionali del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) del marzo 2015, la Dichiarazione richiede a Cop21 un’azione risolutiva.
Ai musulmani si ricorda il primato di Dio come creatore di tutte le cose, e che Egli ha creato un mondo di ordine e di verità. L’universo è stato stabilito con mīzān, misura, e ogni cosa vi ha il suo posto preciso. Il genere umano è stato creato come khalifa della terra, per esserne il custode, ma attraverso il fasad, la corruzione, che noi esseri umani abbiamo arrecato al pianeta, è stato sconvolto l’ordine naturale. In una parola, il degrado del clima causato dall’uomo è un peccato contro ar-Rabb, il Signore che regge tutte le cose.
La Dichiarazione richiama i musulmani a guardare attentamente alla vita di Maometto, apprezzandone le scelte frugali e la vita semplice. Riferisce esempi della sua vita che mostrano moderazione e cura di non eccedere.
Damian Howard, un gesuita studioso dell’islam, fa notare che la Dichiarazione «cita la semplicità dello stile di vita di Maometto (tra cui il suo parco uso di carne), la sua raccomandazione di proteggere le scarse risorse del deserto come l’acqua, e la sua costruzione di santuari per la protezione della vita animale e vegetale»[6].
Questa Dichiarazione è significativa, dal momento che i musulmani sono circa il 22,3% della popolazione mondiale e la loro crescita è più elevata rispetto a quella degli altri gruppi[7]. Molti Paesi dove le popolazioni musulmane sono in rapido aumento sono in effetti poveri di risorse e teatro di violenze sociali, come accade soprattutto tra musulmani e cristiani nell’Africa sub-sahariana. Da simili situazioni Laudato si’ mette in guardia: «Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (LS 229).
Se la Dichiarazione riuscisse a mitigare queste sfide, sarebbe un grande successo. Soltanto il tempo potrà mostrarci come i maggiori Stati del Golfo produttori di petrolio risponderanno a una simile chiamata. Sebbene la Conferenza di Istanbul abbia visto una rappresentanza diversificata e ampia delle varie comunità e prospettive musulmane, l’islam stesso, in quanto religione, manca di un’autorità centrale determinante dal punto di vista politico. In Stati con un’autorità musulmana ufficiale, come in Egitto, l’attuazione di tale Dichiarazione potrebbe dipendere dalla politica governativa. Tuttavia, dove ciò non si verifica, come nella maggior parte del mondo, la relazione resterebbe confinata al livello personale. Poiché i musulmani rappresentano una parte così ampia del mondo, il successo di questa iniziativa avrebbe effetti globali.
Ebrei. Lettera rabbinica
Nel mese di ottobre alcune figure rilevanti dell’ebraismo hanno diffuso una «Lettera rabbinica» che invita all’azione sul cambiamento climatico[8]. Sebbene provenga dagli Stati Uniti e rappresenti in prevalenza ebrei statunitensi, la Lettera di questi 425 leader ha un significato molto importante. Nel marzo 2014 il Consiglio ebraico per gli Affari pubblici (Jcpa) ha incoraggiato i propri membri a presentare una petizione al presidente degli Usa Barack Obama affinché nel colloquio con Papa Francesco, durante la visita ufficiale di questi negli Stati Uniti, parlasse del cambiamento climatico e dell’ambiente[9]. Il Jcpa rappresenta la maggior parte delle comunità ebraiche degli Stati Uniti.
La Lettera è piuttosto breve, e attinge alla tradizione ebraica per avviare un esame su come combattere il cambiamento climatico. Inizia con i versi alleluiatici del Salmo 148, in cui tutto il creato loda il Creatore. I rabbini osservano che «noi sappiamo che la Terra intera ha bisogno non soltanto della voce gioiosa dell’uomo, ma anche della sua mano risanatrice». Fanno notare che un’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili ha degradato la creazione, sicché l’umanità e altri esseri viventi sono in pericolo. I rabbini propongono un senso più profondo di tiqqun olam, riparare il mondo: «Quindi invochiamo un nuovo senso di giustizia eco-sociale: un tiqqun olam che comprende tiqqun tevel, la guarigione del nostro pianeta. Invitiamo coloro che hanno a cuore la giustizia sociale a fare propria la crisi climatica, e coloro che hanno a cuore la crisi climatica a fare propria la giustizia sociale».
Osservando che gli americani sono tra i più grandi inquinatori del mondo, i rabbini citano gli effetti nefasti del fracking (la fratturazione idraulica), utilizzato per estrarre il gas naturale nelle miniere di carbone in West Virginia. Ammoniscono anche riguardo al pericolo costituito dalle sabbie bituminose in Canada, e sui costi culturali e di salute pagati dalle popolazioni aborigene che vivono nei pressi dei gasdotti. Menzionano inoltre la perdita di vite umane e la distruzione di delicati ecosistemi conseguenti alle fuoriuscite di petrolio verificatesi nelle catastrofi del Golfo e della petroliera Valdez.
I rabbini propongono poi iniziative locali, come la realizzazione di abitazioni e sinagoghe più ecologiche. A titolo riparatorio, consigliano agli ebrei che hanno conti presso banche che investono in pratiche coinvolgenti emissioni di carbonio combustibile di trasferire i loro conti in banche e cooperative di credito situate nelle comunità ispaniche e nere locali. Chiedono di fare opera di lobbying presso il Governo contro il supporto accordato alle Sette Sorelle del petrolio (Big Oil) e alle altre industrie pericolose per l’ambiente. Per sottrarre gli Stati Uniti a un’economia basata sul carbonio, incoraggiano gli ebrei a influire sul Governo per introdurre tasse sul carbonio e per creare incentivi allo sviluppo di tecnologie più ecologiche.
Molte comunità ebraiche americane sono forti sostenitrici morali e politiche dello Stato di Israele. Benché la Lettera rievochi l’entusiasmo del Movimento per i diritti civili degli Stati Uniti, non affronta la precaria situazione ambientale in Palestina e nei territori limitrofi, che deriva dall’assoluta mancanza di pace in quei luoghi[10].
Ad ogni modo la Lettera rabbinica costituisce una voce importante nella lotta contro i cambiamenti climatici e, poiché rappresenta la comunità ebraica americana, ha un significativo peso internazionale come esempio di azione locale e di riferimento globale.
Istanze interreligiose. Dichiarazione «Actalliance»
La «Dichiarazione delle fedi e dei leader spirituali per l’imminente Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, Cop21, in programma a Parigi nel dicembre 2015» richiede a Cop21 un intervento immediato[11]. È stata resa pubblica il 20 ottobre, a firma di un ampio numero di leader cristiani, composti da cattolici, ortodossi, orientali, protestanti e comunità ecumeniche, insieme ad alcuni leader musulmani. A causa della varietà dei suoi firmatari, si tratta di una voce morale importante.
I sottoscrittori affermano che, in quanto leader delle comunità religiose, essi devono «impegnarsi insieme a esprimere la profonda preoccupazione per le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla terra e sulla sua popolazione, che sono state affidate, come rivela la nostra fede, alle nostre cure comuni. Il cambiamento climatico è davvero una minaccia per la vita. La vita è un dono prezioso che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo prenderci cura».
Affermano inoltre che Cop21 viene «al momento giusto» — una sorta di kairos, benché questo termine non venga usato esplicitamente — per un’azione decisiva e per cambiare pensieri e comportamenti. Basano tali cambiamenti sui seguenti punti: custodia ecologica, responsabilità intergenerazionale, giustizia climatica, trasformazione individuale e strutturale e leadership illuminata. Questi punti costituiscono il fondamento per una consistente azione sul cambiamento climatico ispirata a una profonda comprensione morale della connessa responsabilità. Si tratta di un’azione indispensabile per vivere i doni ricevuti dall’amore di Dio, ed è un dovere di fede.
Piuttosto che vedere il cambiamento climatico soltanto come una difficoltà, il linguaggio del «momento giusto» ce lo offre come un’opportunità per sviluppare una vita di fede più significativa. Esso dà alle comunità religiose la possibilità di rivolgere una parola di verità alla comunità mondiale in favore dei poveri e dell’ambiente. Infatti la Dichiarazione evidenzia il legame intrinseco tra fede e giustizia e il ruolo della religione nella sfera pubblica.
Richiedendo un «accordo equo, ambizioso e vincolante a livello mondiale», la Dichiarazione auspica un accordo internazionale che dovrebbe tener conto sia dell’urgenza del cambiamento climatico, sia della situazione mondiale asimmetrica. In questo contesto, pur riconoscendo la necessità di un’azione immediata, essa cerca di promuovere quel cambiamento climatico che può essere reso possibile attraverso il sostegno ai Paesi in via di sviluppo privi di fondi e di infrastrutture. Facendo appello in particolare ai Paesi del G20 e dell’Ocse, chiede loro di impegnarsi, tramite accordi vincolanti, a ridurre le emissioni e a fornire sostegno alle zone in via di sviluppo riguardo al cambio climatico.
La Dichiarazione invita i Governi a «eliminare gradualmente le emissioni di gas serra e di puntare al 100% di energie rinnovabili entro la metà del secolo, al fine di restare al di sotto di 1,5 – 2 gradi di riscaldamento sopra i livelli preindustriali». Si richiede inoltre «di fissare un obiettivo di resilienza climatica tale da garantire un adeguato sostegno ai Paesi e alle persone minacciati dai rischi e dagli scompensi del clima». Si auspica che «vengano messi a disposizione il sostegno finanziario, il trasferimento di tecnologia e di capacità necessari, con un percorso affidabile per garantire la mobilitazione di almeno 100 miliardi di dollari di finanziamenti internazionali per il clima». Lo scopo è quello di creare un sistema più giusto, che consenta ai Paesi in via di sviluppo di adottare economie a più basse emissioni di carbonio.
La Dichiarazione si conclude con l’impegno al cambiamento climatico da parte dei firmatari stessi, che si assumono la responsabilità della terra in quanto «nostra casa comune». Essi si propongono di esaminare i loro modelli di consumo e a esplorare modi per aiutare anzitutto le loro comunità di fede a essere più ecologiche a tutti i livelli. Intendono anche impegnarsi a includere maggiormente il cambiamento climatico nella vita di fede delle loro comunità, compresa la partecipazione al Pellegrinaggio globale per i cambiamenti climatici[12].
Buddisti
La «Dichiarazione buddista sui cambiamenti climatici ai leader mondiali» è stata rilasciata il 29 ottobre 2015[13]. Essa sollecita Cop21 all’azione e tratteggia un’interpretazione di «realizzazione del Buddha di un con-sorgere dipendente, in cui tutte le cose dell’universo sono interconnesse». Continua sottolineando che «la comprensione di questa causalità interconnessa e delle conseguenze delle nostre azioni sono passi decisivi per ridurre il nostro impatto ambientale. Se coltiviamo l’intuizione dell’inter-essere e della compassione, saremo in grado di agire per amore, non per paura, per proteggere il nostro pianeta». Si osserva che da qualche tempo i leader buddisti hanno dedicato attenzione a questo aspetto.
Questa promozione dell’amore e della compassione è stata messa in evidenza da Papa Francesco come una via verso una maggiore giustizia climatica e salute ecologica: «L’amore sociale ci spinge a pensare a grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una “cultura della cura” che impregni tutta la società. Quando qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e si santifica» (LS 231).
La Dichiarazione è firmata da quindici figure di spicco del buddismo, tra cui il Dalai Lama e Thich Nhat Hanh, insieme ai leader di comunità buddiste che vivono in luoghi diversi come Giappone, Corea e Mongolia. Essi dicono che «accolgono e sostengono anche le dichiarazioni sul cambiamento climatico di altre tradizioni religiose. Tra queste l’Enciclica di maggio di Papa Francesco, Laudato si’, la Dichiarazione islamica sui cambiamenti climatici, così come la Dichiarazione indù sui cambiamenti climatici». Parlando di queste iniziative, dichiarano che tutte «concordano con la nostra preoccupazione di eliminare progressivamente i combustibili fossili, di ridurre i nostri modelli di consumo, e mostrano l’imperativo etico di agire contro le cause e contro gli effetti del cambiamento climatico, in particolare sui più poveri del mondo».
Come nelle precedenti Dichiarazioni sopra descritte, e facendo eco a Laudato si’, in questo documento il riconoscimento dell’interconnessione tra vari livelli di salute ecologica e di povertà umana costituisce un elemento importante. Sebbene fondi le proprie ragioni nella tradizione buddista, la Dichiarazione non segue il linguaggio panteista di precedenti Dichiarazioni buddiste[14]. Essa auspica concretamente l’eliminazione progressiva e totale dei combustibili fossili, il mantenimento dell’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi celsius e l’aumento dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo affinché possano adottare economie a basse emissioni di carbonio.
È importante notare che la Dichiarazione chiede a Cop21 di ispirarsi alla dimensione morale del cambiamento climatico: una richiesta che riecheggiava anche nelle parole del cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, indirizzate a stabilire una cornice morale per i cambiamenti climatici[15].
Induisti
Una «Dichiarazione indù sul cambiamento climatico» è stata rilasciata il 23 novembre 2015[16]. Faceva appello ai 900 milioni di indù presenti in tutto il mondo, chiedendo loro di espandere la loro comprensione del dharma prima della Conferenza di Parigi, in modo da considerare «gli effetti delle nostre azioni non soltanto su noi stessi e sugli esseri umani intorno a noi, ma su tutti gli esseri. Tutti abbiamo un dovere dharmico, ciascuno di noi deve fare la propria parte per garantire un pianeta funzionante, abbondante e generoso».
La Dichiarazione si riferisce al precedente impegno promesso dai leader indù al Parlamento mondiale delle religioni a Melbourne nel 2009[17]. Inizia con Atharva Veda 12,1,12: «Mātā bhūmi putro aham pṛthivyāḥ!» (La Terra è mia madre e io sono suo figlio!). Poi sottolinea che viviamo in Bhūmi Devi, un pianeta in comune, e che i pericoli del cambiamento climatico riguardano sia l’ordine ecologico, sia quello cosmologico dell’universo. Attraverso un’interpretazione del dharma come benessere per tutti[18], invita gli indù a riflettere sui loro comportamenti e a prendere decisioni per un pianeta più sano, definito come «la Madre Terra».
Basandosi sul concetto di interconnessione del mondo, essa richiama fortemente la correlazione tra il cambiamento climatico e la povertà. Si tratta di una realtà fin troppo familiare a coloro che vivono nei Paesi in via di sviluppo, e di qualcosa che a molti indù non è ignoto. La Dichiarazione riconosce i problemi della disuguaglianza globale come un fattore che contribuisce al cambiamento climatico e, contemporaneamente, come un ostacolo al cambiamento futuro. Tuttavia non si addentra nel dettaglio scientifico: è piuttosto un invito alla riflessione e al cambiamento a livello personale, e a tale proposito cita i vari percorsi di riflessione e di azione inerenti all’induismo.
La Dichiarazione vanta molti firmatari indù di tutto il mondo. Diversi hanno un profilo internazionale, che attraversa i confini culturali. Tuttavia la maggioranza è di origine occidentale. Tra i sottoscrittori più importanti ci sono Sri Sri Ravi Shankar e l’influente fondazione Art of Living.
È significativo il fatto che la maggior parte dei firmatari risieda in Occidente, dal momento che l’India, casa della maggior parte degli indù al mondo, è anche il terzo Paese al mondo per emissioni di carbonio, dopo la Cina e gli Stati Uniti[19]. Attualmente alla guida del Governo indiano c’è il Primo ministro Modi, del partito nazionalista indù Bjp. L’India è uno dei cosiddetti «Paesi Bric», insieme a Brasile, Russia e Cina. Queste economie emergenti sono fondamentali nella lotta contro il degrado del clima, se si vuole che il cambiamento vada verso la sostenibilità[20]. Specialmente India e Cina sono teatro di una battaglia sui diritti umani, la povertà e il cambiamento climatico nel contesto di economie in rapida crescita, basate sul carbonio; e nel 2008 i Paesi Bric contribuivano per un terzo alle emissioni globali di carbonio[21].
Se si persegue un cambiamento sostenibile, a questo fenomeno va prestata un’attenzione prioritaria, affinché le economie emergenti possano raggiungere i loro obiettivi senza subire sensibili svantaggi rispetto alle economie più sviluppate del mondo. Se il Primo ministro Modi potrà prendere impegni forti dopo Cop21, sarà un buon esempio per molte altre nazioni che vivono nella sfera d’influenza dei Paesi Bric. Tuttavia, a differenza della Cina, Modi non ha delineato ancora obiettivi particolarmente ambiziosi per la riduzione delle emissioni. Sta invece spingendo per una riduzione del 35% entro il 2030, pur senza tagliare la crescita delle emissioni future[22].
Ecumenici. Il Messaggio di Avvento
Il reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc), ha dedicato a Cop21 il suo «Messaggio in occasione dell’Avvento», datato 28 novembre. Riferendosi ai recenti attentati di Parigi, ha detto che al di là di essi si possono trovare nuovi segni di speranza alla vigilia della Cop21 di Parigi». Ha sottolineato che «per quanti condividono un punto di vista etico sui valori sostenibili nel pianeta e per l’intera umanità è venuto il tempo di puntare con grande forza sulle odierne possibilità di fare ciò che è giusto, ciò che ha possibilità di riuscita oggi e domani, ciò che serve al futuro del nostro pianeta».
Il Messaggio di Avvento del Wcc è importante, data la varietà dei membri del Wcc, che provengono da tutto il mondo e talora rappresentano tradizioni e interessi molto diversi. Riconoscendo sia questa diversità sia i grandi interessi in gioco, il reverendo Tveit ha voluto ricordare la disparità geografica ed economica con cui il mondo deve affrontare il cambiamento climatico, affermando che «il discorso etico va focalizzato su come prendere decisioni sul clima che siano fondate sui principi di giustizia. Non è il momento di rendere più sostenibili i Paesi ricchi, mentre si lasciano i Paesi e le comunità povere e sottosviluppate sotto il peso dei problemi e delle soluzioni del passato».
La Nea (National Evangelical Association) ha prodotto un valido materiale sul cambiamento climatico, e in proposito sta conquistando connessioni internazionali sempre più consistenti. Collaborare a livello internazionale partendo da prospettive locali costituisce ormai una tendenza globale tra le comunità cristiane.
Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha dedicato un’ampia parte della sua predicazione all’ambiente. Sebbene non vi sia stata una specifica dichiarazione ortodossa riguardo a Cop21, vale la pena ricordare che il sito web del Patriarcato contiene materiale sull’ambiente e sui modi di compiere scelte più ecologiche.
Conclusione
Il coro crescente di voci religiose che si uniscono nel nome del cambiamento climatico costituisce una riconoscimento esistenziale del rapporto tra fede e responsabilità. Nell’Enciclica Caritas in veritate (CV) Papa Benedetto, facendo tesoro del magistero dei Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, ha così insegnato: «Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l’opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell’umanità» (CV 57).
Queste Dichiarazioni sul clima dimostrano quanto sia vero che la religione può parlare di problematiche e preoccupazioni globali che interessano insieme credenti e non credenti. Esse affermano che tutti i popoli hanno un ruolo nel cambiamento climatico, non soltanto i Governi. Promuovono una difesa dell’ambiente che proviene dalla base popolare. In Bolivia, nel luglio scorso, Papa Francesco ha detto che «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento»[23].
Queste Dichiarazioni sono un grido globale nel segno del cambiamento, e danno voce a molte zone diverse del pianeta. Sempre più spesso le persone riconoscono che il cambiamento climatico è un coinvolgimento personale in qualcosa che è comune e politico. Se ad alcuni Paesi in via di sviluppo mancano le risorse per realizzare da soli importanti cambiamenti climatici, molti Paesi più sviluppati mostrano comportamenti individuali che danneggiano profondamente l’ecologia. In questi Paesi portare un pasto a tavola comporta un dispendio di carbonio maggiore che nei Paesi in via di sviluppo[24]. In questo senso il problema globale del carbonio attraversa tutti i confini, e le sue manifestazioni certo non riguardano soltanto l’industria. Sviluppare comportamenti individuali di consumo sostenibili e corretti non è meno importante delle decisioni che i Governi devono assumere in materia di obiettivi climatici vincolanti.
Nell’Enciclica Laudato si’ Papa Francesco parla della nostra «cittadinanza ecologica». Egli osserva che «l’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale. Solamente partendo dal coltivare solide virtù è possibile la donazione di sé in un impegno ecologico. Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente» (LS 211).
Ritroviamo questa consapevolezza in tutte le Dichiarazioni interreligiose sul cambiamento climatico. Gli obiettivi governativi ufficiali non bastano: sono gli esseri umani che, a livello personale e comunitario, devono prendere decisioni che promuovano una vita più ecologica e sana, rispettosa dell’intero pianeta.
***
[1]. Formalmente si è trattato della XXI Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop21).
[2]. L’obiettivo era di limitare l’aumento della temperatura entro i due gradi. Cfr http://www.cop21paris.org/about/cop21
[3]. Ivi.
[4]. Cfr http://www.catholicnews.com/services/englishnews/2015/bishops-from-around-the-world-plead-for-climate-change-action.cfm
[5]. Cfr
[6]. Cfr http://www.thinkingfaith.org/articles/islamic-declaration-climate-change/; D. Howard, «Una Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico», in Civ. Catt. 2015 IV 53.
[7]. Cfr http://www.pewforum.org/2011/01/27/the-future-of-the-global-muslim-population
[8]. Cfr http://theshalomcenter.org/RabbinicLetterClimate
[9]. Cfr
[10]. Cfr http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2012/04/201242811593745665.html
[11]. Cfr http://actalliance.org/wp-content/uploads/2015/10/COP21_Statement_englisch2.pdf
[12]. Cfr https://web.archive.org/web/20221208133043/https://ourvoices.net/evoke/blog/six-month-global-peoples-pilgrimage-launched/view/ / Riguardo al Pellegrinaggio, cfr l’articolo del Guardian: http://www.theguardian.com/environment/2015/nov/13/christians-set-out-on-climate-pilgrimage-from-london-to-paris
[13]. Cfr http://gbccc.org
[14]. Si deve ricordare la Lettera del 14 maggio 2015, «The Time to Act is Now. A Buddhist Declaration on Climate Change»: http://fore.yale.edu/files/Buddhist_Climate_Change_Statement_5-14-15.pdf/ Essa fa riferimento al Dalai Lama e a Thich Nhat Hanh, anche se è stata firmata da altre comunità buddiste più o meno «occidentali», come Shambhala International, One Earth Sangha e Spirit Rock Center.
[15]. Cfr http://en.radiovaticana.va/news/2015/09/29/cardinal_turkson_catholic_institutions_and_climate_change/1175534
[16]. Cfr http://www.hinduclimatedeclaration2015.org/english
[17]. Cfr http://www.hinduismtoday.com/pdf_downloads/hindu-climate-change-declaration.pdf / La Dichiarazione ha un carattere piuttosto panteistico: parla della Madre Terra e della Madre Universale, ma rivolge anche un invito a una vita più semplice e riconosce la dimensione morale del cambiamento climatico.
[18]. Cfr Mahabharata, 109,10.
[19]. Cfr http://www3.epa.gov/climatechange/ghgemissions/global.html
[20]. Cfr http://www.theguardian.com/sustainable-business/2015/may/04/brazil-china-russia-india-climate-change-labor-economy-sustainability
[21]. Cfr http://thediplomat.com/2011/11/china-brics-and-the-environment
[22]. Cfr http://www.bbc.com/news/world-asia-india-34424930
[23]. Cfr http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/july/documents/papa-francesco_20150709_bolivia-movimenti-popolari.html/ Cfr anche, sul Washington Post: https://www.washingtonpost.com/news/acts-of-faith/wp/2015/10/26/cardinal-turkson-popes-top-climate-adviser-to-workers-future-of-humanity-is-in-your-hands/
[24]. Cfr http://www.revue-projet.com/articles/2015-10-vettraino-climat-et-alimentation-mettre-les-pieds-dans-le-plat/