|
Marie Noël, chi è? In Italia è pressoché sconosciuta, in Francia — sua terra di origine — si stenta a trovarla inclusa, come meriterebbe, tra gli eredi di Baudelaire e di Péguy. «A Parigi, soltanto conoscitori scaltri come Raymond Escolier, Henri Bremond e l’abbé Mugnier seppero subito distinguere, tra tante voci a risonanza più vasta, questa piccola voce discreta, questo semplice filo di voce, ben caratterizzato ed espressivo, la cui originalità, in questo tempo artificioso, è soprattutto di essere perfettamente naturale. Quanto prima, scrittori di rilievo, quali Edouard Estaunié e Henri de Montherlant, ebbero la percezione che uno sconosciuto grande poeta era tra noi»[1]. La sua opera poetica ci permette di scendere negli abissi dell’anima, agitati dal dubbio, dalla sofferenza e dal male, dal mistero di Dio e dell’animo umano. Una discesa, questa, vissuta in prima persona, inquietante e drammatica, con pause intermittenti tra l’oscurità della fede e la sua amorosa accettazione. In una sua poesia si leggono questi due versi: Scoprimi, se puoi, o passante, intuiscimi! / Sono quel che tu credi e sono perfettamente l’opposto.
In realtà, inoltrarsi nel mondo poetico di Marie Noël significa trovarsi in un groviglio di strade dove l’uomo si scopre nella sua nudità e nel suo mistero. Per orientarsi e superare l’oscurità la poetessa ha pubblicato un volume — Notes intimes [2] — che è una guida interpretativa della sua opera poetica e nello stesso tempo una sua trascrizione in prosa, semplice e fedele. «L’Oeuvre poétique — nota A. Blanchet — rappresenta la vita che canta, le Notes intimes la vita pensata. Ma tra Marie che canta e Marie che pensa si trova facilmente una profonda unità: Marie che prega»[3]. Scritte a partire dal 1920, «nel corso di una crisi di angoscia religiosa», queste note non erano destinate alla pubblicazione. Fu il suo confessore, l’abbé Mugnier, a convincere Marie a pubblicarle pensando che avrebbero potuto aiutare gli increduli, e anche i credenti in crisi. Perciò la dedica del volume. «Alle anime turbate, la loro sorella»[4]. Essendo le Notes intimes la sola opera di Marie Noël tradotta in italiano, col titolo Diario segreto[5], è opportuno farne una presentazione, essenziale e sintetica, per conoscere la storia di un’anima che richiama quella di Teresa di Lisieux e riecheggia gli insegnamenti di Giovanni della Croce.
«Come un cero vacillante tra due mondi»
Nata ad Auxerre, piccola città artigianale e fluviale, nel 1883, fu battezzata col nome di Marie-Mélanie Rouget (Marie Noël è uno pseudonimo letterario). Crebbe in una famiglia borghese e singolare: padre agnostico e positivista, professore di filosofia, madre autoritaria ed esigente, nonna saggia e religiosa. Nell’ambiente chiuso e asfittico, Marie, ragazza intelligente e in vena poetica, fece presto l’esperienza della solitudine. Due eventi dettero alla sua giovinezza un ritmo di angoscia e di smarrimento: la morte improvvisa del fratellino dodicenne e una delusione amorosa che la ripiegò sulla vita interiore e la privò della gioia della sua femminilità.
Rifugiarsi in Dio? Ma lei ha chiuso la porta a Dio e si è trovata sull’orlo dell’abisso: «È qui che la Bestia incatenata dentro di lei ha rotto i suoi legami e ha urlato. È qui che, una volta atterrata, tutti i dolori che essa aveva domati, vinti, creduto di santificare, sono tornati tutti insieme per strangolarla nell’ombra […]. È qui che Dio ha volto altrove lo sguardo» (p. 22). Tempo cinereo, dominato dall’angoscia, dal sentimento dell’inconsistenza, dall’incubo del suicidio. «Uccidersi? Non ci si ucciderebbe abbastanza. Non si ucciderebbe la propria anima» (p. 23). Non resta che «attendere la grazia divina». Lei è consapevole che Dio non l’abbandonerà mai. «Quando Dio ha soffiato sul mio fango per infondergli la mia anima, Egli ha certo soffiato troppo forte. Non mi sono mai ripresa da questo soffio di Dio. Non ho mai cessato di tremare come un cero vacillante tra due mondi» (p. 27).
Ha la sensazione di «galleggiare nell’ombra come uno che è per metà affogato e che, di tanto in tanto, riemerge in superficie. E mi riafferro come posso agli sparsi relitti della mia fede» (ivi). In questa specie di abisso intravede Dio: non il Dio dell’infanzia, il Padre nostro, l’amico, ma un altro Dio, «così terribile che il mio intelletto ha vacillato»: il Dio della Legge, implacabile, che ci domina nell’oscurità dei nostri istinti, il «Senza Nome, l’Ignoto». Negarlo? Nel 1913 lo spettro della negazione la insidiò per tre giorni.
«Una sera — mio padre parlava della sopravvivenza dell’anima — quale parola intesi? Qual folgore cozzò contro i neri e i perigliosi pensieri che dormivano? Quale lampo? Quale scossa?… Dio crollò dentro di me come un edificio di nuvole. Dio crollato. Tutta la luce rovesciata. Morte di tutto. Morte di me stessa, che ero Dio nel più profondo di me. Angoscia senza speranza. Perdizione eterna… La pena del Danno […]. Tutte le pietre delle fondamenta andavano in polvere. Durante tre giorni lotta disperata, vana fatica per resuscitare, per salvare Dio. Agonia, ossessione… Lucidità tagliente che uccide tutte le luci, una dopo l’altra. Grida dell’anima, grida durante il giorno e la notte, grida nascoste dietro la parola, grida nella chiesa vuota […]. Grida ai piedi di tutte le croci, di fronte a questo inutile morto. Questo morto che ho amato sopra ogni cosa al mondo.
«La sera del terzo giorno l’anima dannata baciò disperatamente un’ultima croce. E dalla Croce una parola calma scese sopra di lei: “E io pure bacio la tua”. Bruscamente le tenebre arretrarono, la corda d’angoscia si spezzò. Io esitai… ma, anziché pensare, mi disciolsi in musica. Liberazione. Gioia. Lode. Cantavo… danzavo» (p. 95 s).
Le «notti oscure» si sarebbero ripetute, immergendola nella «grande Angoscia», senza sapere perché. Che una «Forza spietata» — Dio? Chi era Dio? — non l’abbia abbandonata, lasciandola senza difesa in balia dei demoni, alleati del suo corpo e della sua anima? Marie Noël non sa darsi una risposta. È decisa però a risalire dall’abisso «per un povero cammino, lunghissimo e assolutamente lineare: l’obbedienza. Più che un cammino una corda nera che ci sostiene nel fondo del pozzo […]. Non aprire gli occhi… mai. Di’ di sì a Dio qualunque cosa ti succeda. Fa’ ciò che ti comanda. Attraversa l’abisso su di un filo di paglia… La salvezza consiste solo nell’essere ciechi» (p. 98). L’obbedienza, l’incontro con Gesù Cristo, che è l’amore di Dio incarnato, e la forza della Grazia le permisero di evadere dalla «notte oscura» e di lasciarsi possedere dalla pace cristiana.
Lo scandalo del male
Un motivo determinante della drammatica storia di Marie Noël va ricercato nello scandalo del male e della sofferenza. Se Dio è buono — il Creatore, la sorgente di ogni bontà diffusa in noi e nel mondo — perché il male e la sofferenza? Sono voluti da lui? È Dio che ha creato la morte? Che ha voluto che la terra si trasformasse in un carnaio di miliardi di morti? Se Dio ama tanto i morti, perché ha creato i vivi? Si risponde: non è Dio che ha creato la morte, ma il peccato. E la bambina che muore senza aver conosciuto il peccato, la sua agonia, l’invocazione disperata dei suoi occhi, del suo respiro? Peccato e morte sono stati depositati in lei da Adamo. E in Adamo, da chi? Dal serpente, mediante l’albero della scienza del bene e del male. E chi ha creato il male?
Il mistero del male — che ripropone il mistero di Dio — ha ossessionato Marie Noël. Da bambina due pensieri l’hanno sconvolta. «Fui atterrita bruscamente per l’orrenda ingiustizia della sorte di Giuda… Giuda obbligato a tradire per compiere le Scritture: “È necessario che vi sia lo scandalo, ma guai a colui…”. Eravamo a tavola; in famiglia, a colazione, quando questa parola del Vangelo mi attraversò il cervello come un lampo nero» (p. 56).
L’altro pensiero, non meno inquietante: «Chi ha creato il mondo ha dato all’essere vivente una sola legge: mangia, e quest’altra che è la medesima: uccidi per mangiare! […]. Perché questa è la mia volontà: che ogni creatura serva di nutrimento all’altra» (p. 35). Come si concilia questa volontà con l’Amore? Come spiegare questa «lotta di Dio contro Dio»? Riguardo al necessario tradimento di Giuda la buona, luminosa nonna, le aveva detto per calmarla: «Lascia perdere, non è affar nostro: è affare di Dio. Se la veda lui». E Marie si abbandona all’oscurità di Dio poiché «Dio, il Bene supremo, non può essere sospettato» (p. 47), ma non potrà impedire che altri inquietanti interrogativi le dilacerino l’anima. Tra questi uno in particolare: l’eternità dell’inferno. Un testo, che riecheggia Péguy, anch’egli tormentato da questa eternità, mette a fuoco il problema.
«Se l’Inferno — il Male — è eterno, tormenterà eternamente il Paradiso. Eternamente il Paradiso sarà inquieto come una buona famiglia che, per disgrazia, ha un figlio in carcere o un fratello in manicomio e non se ne consola mai completamente […]. Tutti i Santi soccorritori desiderano trar dall’impaccio questo prossimo delle tenebre che si è cacciato in così brutta situazione. E i Santi ospedalieri desiderano curare le loro eterne scottature. Nessuno è tranquillo lassù. Nostro Signore Gesù Cristo desidera lui stesso, talvolta, abbandonare i giusti e ripartire, con la sua croce, per la salvezza degli insalvabili. E forse ripartirà… Ripartiranno tutti e, forse, un giorno dell’Eternità, l’Amore trionferà sull’Orgoglio e sull’Odio. Allora Dio avrà vinto l’Altro e resterà solo. Allora il Paradiso riposerà in pace. Non prima. Io sogno…» (p. 207 s) [6].
I sogni non sono proibiti, ma possono essere pericolosi. Quelli di Marie Noël sono talvolta così insidiosi e turbolenti da ridurla a un battello sbattuto ai quattro venti. Lei subisce, anzi accetta, con spirito di obbedienza, le mareggiate e resta ancorata alla fede in Dio. «Credo nell’Amore», «in Lui solo ho fiducia», «io credo che al principio sia l’Amore», «[o Cristo], l’eterna Presenza nell’Assenza Tu l’hai realizzata: Tu, Cristo; l’Amore eterno senza separazioni». Ancorata alla fede nell’Amore, si è gettata come un bambino nelle braccia di Dio, incurante dei suoi stracci, ed è riuscita a superare gli assalti del dubbio. In tal modo ci ricorda che la fede non esclude le ombre, non è sempre pacifica, non esclude la ragione; la fede dilata gli orizzonti e ci invita a esplorarli anche se inquietano e la turbano. La turbano, ma anche la purificano e la esaltano» (p. 111).
«… che mi lasci un po’ di respiro»
Un altro motivo determinante del dramma spirituale di Marie Noël è il problema della libertà. Per natura lei esigeva una libertà totale: fisica, intellettuale, spirituale. Aveva orrore di quanto esigesse limitazioni, proibizioni, chiusure. Voleva respirare aria pura sulle cime, senza barriere e senza richiami. Si trovò invece a vivere in una cittadina provinciale, chiusa nelle sue abitudini, appagata da conversazioni insipide e da una religiosità «addomesticata». In famiglia sperimentò l’oppressione dei pregiudizi e il pericolo di sterilizzare l’anima; «Si è spiati, invidiati, molestati a vicenda»; non si tollera la singolarità e la distinzione. Confessa che in famiglia «ha compromesso, e forse perduto, la sua anima»; ha anche asservito ai doveri quotidiani la sua vocazione alla poesia. «Io mi indurisco e mi accartoccio, mi riduco al punto più arido di me stessa: lo scheletro del dovere senza carne né cuore» (p. 169). È vita questa successione di giorni, legata ai doveri domestici, «fasciata di obbedienza», privata delle aspirazioni di una natura fondamentalmente femminile? Se fosse un animale non vorrebbe essere «bestia da casa o da fattoria, e nemmeno la capra che si lega al piolo e si richiude in una stalla per mungerla […]. E invece sarò per tutta la mia vita uno degli animali più domestici, bestia da soma, cane al guinzaglio, canarino in gabbia. Oppure legume per fare il minestrone. È il volere di Dio» (p. 189).
Oltre l’ambiente e la famiglia, anche la Chiesa ostacola la libertà? Il sospetto ha più volte sfiorato Marie Noël. Se l’uomo è stato creato libero come si può giustificare una Chiesa istituzione e ordine sociale, armata di regole e di difese, di leggi e di prescrizioni che legano i fedeli e li obbligano a procedere con «ordine»? Marie paragona la Legge della Chiesa a quella che la suocera impone alla nuora.
«La suocera talvolta comanda più di quanto non dovrebbe, abusa della sua età, della sua esperienza, della sua autorità, del rispetto che incute. E la piccola nuora la teme. Accanto a lei non osa respirare secondo il proprio ritmo; ma, per amor dello sposo, tacita si sottomette.
«Così, Signore, presso la Madre Chiesa, quasi non oso essere me stessa. Taccio. Fin dall’uso della ragione ho avuto paura di lei: temo le sue mani umane, che sono dure e inflessibili […]. Ma Tu, mio Signore, che io amo, […] dille di non chiudere troppo forte le sue mani possenti sul mio seno, dille che mi lasci un po’ di respiro» (p. 36 s).
Cresciuta in un ambiente anticlericale, con tinte gianseniste, si è spinta fino a raccomandare di «evitare abitualmente gli uomini di chiesa. Frequentare troppo degli uomini “infallibili” è un pericolo per il giudizio, per il pensiero, perfino per le semplici opinioni» (p. 61). Lei avverte questo pericolo quando le capita di ascoltare certe prediche.
«Predica rimpinzata di teologia. Questo teologo si esprime come un vecchio fedele servitore che ha conosciuto Dio da piccolo e lo aiuta ogni mattina a rivestirsi di dogmi. Si conoscerà il buon Dio nello specchio che gli tende il suo servo? Può darsi. Il teologo lo esamina e lo misura da capo a piedi. (Nessuno è grande per il suo cameriere). Ma tutta la mia adorazione si rifugia nell’eterno spazio d’Inconoscibile che l’esame di questo Dottore lascia in Voi, mio Dio» (p. 118).
Il rifiuto di Marie Noël si riferisce a quei predicatori e dottori che concepiscono il dogma «come una gabbia», che riducono Dio al livello della nostra intelligenza, che rendono finito il Dio infinito. Lei sa bene, e lo afferma con fermezza, che la Chiesa è «come una roccia in mezzo al mare, un albero nel deserto, che impedisce agli uccelli selvaggi di perire del loro volo estenuante» (p. 88). È anche convinta che «bisogna diffidare del Dio dell’anima quando le ispira dottrine o azioni in contrasto col Dio della Chiesa» (p. 264). Ma vuole che la sua anima goda della libertà d’incontrare Dio dove e come desidera, sempre però in umiltà e obbedienza (cfr ivi). Vuole anche ricordare che la verità divina non deve restare chiusa nei termini in cui fu espressa.
«Mi sembra che una verità sia tanto più vera quanto più è viva, si muove, si evolve, porta ad ogni stagione dei nuovi frutti; mi sembra che essa sia tanto più divina quanto più sfugge sotto un’apparenza per riapparirci un poco più distante, sotto un’altra prospettiva; che sia tanto più eterna proprio perché resta in noi sempre incompiuta, limitata, e cambia, ai nostri occhi, con l’ora del giorno, l’età dell’uomo, i passi dei secoli e rimane, in profondo, per tutti — secoli e uomini — sempre illuminante, sempre feconda» (p. 34).
Avvertiva il pericolo di separare il dogma dal Mistero, di mortificare lo Spirito in nome della lettera; non accettava che il dogma fosse concepito come un punto nero, interdetto al nostro sguardo, invece di considerarlo una sorgente di luce che ci orienta verso il Mistero e ci fa gustare la Verità eterna. La Chiesa ci guida in tale cammino, non ci proibisce di percorrerlo. «È la Chiesa, nella sua incarnazione più mediocre — in un qualsiasi oscuro sacerdote — che guida e dona Dio all’uomo, tutti i giorni, è per loro più illuminante del più eccelso Veggente dalle acutissime pupille» (p. 108).
Scrutando il mistero di Dio
Convinta che il dogma non ci impedisce di accostarci al Mistero per carpirne qualche sprazzo di luce, non ha smesso di scrutare il mistero di Dio: con tremore, con pazienza, con ansia. Quasi ogni pagina del suo Diario riecheggia la sua fame di Dio: conoscerlo, sentirlo, amarlo. Cerchiamo di individuare gli approdi più significativi del suo impegno.
Innanzitutto lei esclude che esista un Dio creatore (pauroso, che impone, nella sua creazione, la legge della giungla) e un Dio redentore, che ama le sue creature. In una nota delle Nouvelles littéraires era stato prospettato il sospetto che fosse infetta di catarismo. Nel Diario scrive: «Questa religione dei Catari senza Culla né Croce, senza preghiera né grazia… Questi “perfetti” che rifiutano ogni vita imperfetta… questi Puri che si affannano a salvare Dio e gli oppongono un altro creatore per scagionarlo del Male di cui la Creazione lo accusa e togliergli di dosso il Peccato del mondo… In verità tutto ciò mi sembra grande. Troppo grande. Mi sono sempre allontanata da ciò che, davanti a Dio, manca di povertà» (p. 255).
C’è un solo Dio, «ma ciascuno di noi ha la propria via, la propria verità, la propria vita, il proprio Dio dominante, il suo proprio Signore… Il mio tormento è stato quello di averne più di uno. E poiché io ero una creatura angusta, incapace di conciliarli e ricondurli all’unità, essi si sono dati battaglia nella mia anima […]. Io non ho parteggiato per nessuno dei contendenti, ma quel po’ di me stessa che era costituito dalla mia volontà, si è sempre posto alla destra dell’amore» (p. 125).
Nel mistero di Dio convergono molte luci. Lei ne ricorda alcune: la fedeltà («Nella notte, Signore, tu mi sarai fedele. […] Tu solo che sei eternamente Te», p. 156); la sofferenza («Mio Dio, abbiamo sofferto l’uno per l’altro. Voi della mia piccolezza, della mia infermità, del mio errore e del mio difetto. Io della vostra grandezza», p. 170); la fiducia («Al mondo non ho più che Lui. Un periglioso spazio senza limiti dove talvolta mi smarrisco. Fortunatamente c’è la strada. C’è il Cristo», p. 87); «Tutta la fiducia è nell’Ostia», p. 110), la pace («La Pace non è che in Dio», p. 84); il tormento («Ma Dio non è un luogo tranquillo. Dio è un luogo di tormento […]. Dio, quando vuole un’anima, la beve e la mangia fino all’ultima goccia per non lasciarvi niente altro che Se stesso», p. 149); la dolcezza e il terrore («Talvolta Dio mi è dolce e io sono portata da Lui come una piccola nube del buon tempo, come lanugine dalla brezza. Ma, talvolta, è terribile; quando in Lui non vedo più viso né cuore, né Figlio né Padre, niente altro che notte senza limiti, altezza di tenebre senza scale, che mozza il mio respiro» (p. 82); la Legge e il gioco («Lui è la Legge, ma in Lui è anche il Gioco. L’opera sua è il serafino ma anche la farfalla. Essa è il cielo, stelle, obbedienza di astri, ma anche fuoco, vento e capriccio di nubi. Egli si diverte coi fiori. Ha inventato per ridere (e perché mai se non per ridere?) le code dello scoiattolo, le penne di pavone, le zampe di cicogna, le proboscidi dell’elefante, le gobbe del cammello e del dromedario», p. 92).
La luce divina che maggiormente la colpisce è l’amore di Dio: «L’Amore è Dio» (p. 125); «O Cristo, imprudente per Amore, Tu sei venuto per morire, con noi, per noi» (p. 280); «Nella Notte della Natività Egli viene a cercarci dove siamo, nella nostra bassa umanità, per guidarci a Dio attraverso le nostre strade. Nel giorno dell’Ascensione Egli ci trascina dove è Lui, nella sua alta Divinità e ci attira a Dio attraverso la sua strada» (p. 287); Dio, «Colui che ti ha sollevato sopra alla sua mano affinché Lo potessi intravvedere» (p. 67); «Io credo che Montherlant ha quel genere di stoffa con cui Dio, qualche volta, fa Agostino, Rancé, il padre de Foucauld. Dio attende alla svolta l’Uomo dal Desiderio» (p. 91).
Si pensi quanto drammatici dovettero essere per questa amante di Dio i giorni in cui il suo Amato si nascondeva, in silenzio. «Oh Dio, Dio! Delusione infinita […]. Colui che eternamente ci attira ed eternamente ci sfugge… Dio! Mio Dio che ho tanto cercato, dove siete questa sera?» (p. 219). Ci sono giorni in cui Dio, per lei, «non è niente»; altri giorni in cui è lontano, e «il fardello della solitudine» la sommerge. Le capita anche di avvertire la desolazione del vuoto: «Mio Dio, io non vi amo, non vi desidero nemmeno, mi annoio con voi» (p. 43). Il nebbione si dirada, avverte la Presenza, e con essa ha un colloquio che resta tra le cose più significative del Diario.
«Eccovi, mio Dio. Voi mi cercate? Che cosa mi chiedete? Non ho niente da darvi […]. Niente… non una buona azione. Ero troppo stanca. Niente… non una buona parola. Ero troppo triste.
— Niente altro che il disgusto di vivere, la noia, la sterilità.
— Dammeli!
— La fretta, ogni giorno, di vedere la giornata finita senza che sia servita a nulla; il desiderio del riposo lontano dal dovere e dalle opere. Il disinteresse del bene che dovrebbe essere compiuto, il disgusto di Voi, o mio Dio.
— Dammeli!
— Il torpore dell’anima, i rimorsi della mia mollezza e la mollezza più forte dei rimorsi…
— Dammeli!
— Il bisogno di essere felice, la tenerezza che finisce, il dolore di essere io, senza scampo…
— Dammeli!
— Turbamenti, spaventi, dubbi…
— Dammeli!
— Signore! Come un cenciaiuolo andate raccogliendo immondizie e rifiuti. Che cosa ne volete fare, Signore?
— Il Regno dei Cieli» (p. 43 s).
Il Diario: una piccola foresta
Il Diario segreto è una piccola foresta di pensieri, meditazioni, aforismi; è anche il diario della vita di una poetessa nel succedersi di giorni di sole e di pioggia, di sorrisi e di lacrime, di cielo e d’inferno, priva di grandi eventi ma ricca di anima. Ciò che in esso colpisce è la sincerità, la chiarezza, il tono umile, la profondità e l’intensità di analisi. Il p. Blanchet lo colloca nella migliore tradizione francese. Accanto a Marie Noël «Voltaire è troppo secco, Rabelais troppo denso, il loro ridere risuona soltanto in superficie. Viene da pensare a un Montaigne, di spirito così sottile ma meno ondeggiante, ferito e fissato dal tragico della vita. Citatemi un nostro scrittore che abbia così bene custodito il naturale nel soprannaturale. Stavo dimenticando la grazia — non priva di astuzia — della donna; e l’arte di dare alle parole il loro fascino; e quel giro di frasi, rivestite con semplicità, che si tengono per mano, condotte da un ritmo armonico e sciolto»[7].
Tra gli argomenti in esso ricorrenti bisogna ricordare anche la morte e il Nemico. Marie Noël sa bene che la morte si è insediata davanti a lei nel giorno della sua nascita. «Il corpo che hai così ben nutrito un giorno verrà meno. Lo spirito che hai così ben vegliato, una sera, si oscurerà. La morte che hai così a lungo vinta, una sera, entrerà» (p. 176). Dopo la morte c’è l’eternità, «la vita senza tempo né luogo. Il nulla, forse». Ma un nulla analogo alla «notte» dell’estasi, quando l’anima è raggiunta da Dio, «a Lui ritorna e con Lui si fonde» (p. 64).
Al pensiero della morte succede e subentra la presenza del Nemico. «In ogni esistenza è in corso una lotta rischiosa con Colui che viene di notte e che Gesù chiama il Nemico, che vuole costantemente il nostro Male […]. Lui, il Forte, l’Intelligente, la cui lucida acutezza mira al punto essenziale e colpisce diritto il midollo dell’anima» (p. 276). Marie confessa di essersi trovata in balia di una forza malefica e demolitrice. Il Nemico — crede — è un Essere mentitore che irretisce l’anima in una rete di menzogne nel tentativo di sistemarla nel suo regno di perdizione. Lei ha avvertito l’orrore di questo regno, e anche il pericolo di abitarvi. È stata salvata dalla forza della fede e dall’aiuto della Madonna. «E adesso credo, con tutta la mia fede, che nelle prove dell’anima […] con l’eterno Satana di Giobbe — che ha ricevuto dal Signore il permesso di nuocere — si trovi, per chi nel fondo del pericolo l’implora, un altro Potere “celestiale” che poggia il piede — e ve lo tiene — sopra la gola del Maligno e, nella luce di un mattino di cui tutti ignorano l’alba, apre le ali della vittoria» (p. 277 s).
Tre motivi ricorrenti
Che cosa dice all’uomo di oggi Marie Noël? Il Diario segreto — notavamo — è una piccola foresta riecheggiante di voci; se volessimo coglierne i motivi dominanti ne indicheremmo tre. Il primo riguarda la concezione del cristianesimo. Non è una religione comoda, facile, accomodante, ma un impegno di vita che esige audacia, sforzo, lotta. «Dio è un luogo di tormento» nel senso che condanna l’idolatria nelle sue varie espressioni, disturba i nostri «nutrimenti terrestri», esige che si cammini verso di lui anche nel buio delle notti, e che si abbia il coraggio di scelte impegnative.
«Due religioni, due Dei sempre si fronteggiano. Il Cristianesimo: Dio fatto uomo, l’Anti-Cristianesimo: l’uomo fatto Dio. Dio-fatto-uomo promette agli uomini un regno che non è di questo mondo. Le sue armi sono la povertà, la debolezza, l’amore. I suoi apostoli, i martiri. L’uomo-fatto-Dio promette agli uomini l’impero di questo mondo. Le sue armi sono la potenza della menzogna, della violenza, dell’odio. I suoi zelatori tiranni e politici. A ciascuno scegliere il proprio Dio» (p. 180).
Il secondo motivo: la lotta per la libertà, anche a costo di sacrifici e di rinunce. Libertà di pensiero e di espressione, fisica e spirituale. Per realizzarla occorre vincere l’orgoglio che «prende e distrugge tutto attorno a sé per accrescere solo se stesso» (p. 31). La libertà — si stia ben attenti — non è indipendenza da Dio e dalla Chiesa: questa è «la più grande tentazione, la tentazione degli Angeli». Quanti cederanno all’orgoglio della loro strada, si ricordino di Lucifero, di colui che appestò con il suo splendido fermento tutti i Paradisi: quello degli Angeli e quello dell’Uomo» (p. 265). La vera libertà fiorisce sull’umiltà e sull’amore.
Il terzo motivo: il dubbio e la «notte oscura». Il dubbio — afferma Marie Noël — è una «adorazione tenebrosa», una fede che si purifica, quando c’è la volontà di credere e di amare, una protezione dall’incredulità serena. Tormenta l’anima, ma in fondo è una grazia. La piccola santa Teresa di Liseux ha sperimentato «l’ora terribile in cui Dio non è vero», ha continuato ad amarlo, ha trasformato l’aridità spirituale in adorazione, e ha raggiunto la santità. Sulla sua scia anche Marie Noël ha subìto il tormento del dubbio e l’aridità dell’anima. Molti passi del Diario riecheggiano la «Notte oscura» descritta da san Giovanni della Croce. Lei confessa di essersi trovata «in uno stato di perdizione, diverse settimane, implorando e dibattendomi» (p. 97). Così ha tranquillizzato le «anime turbate» dichiarandosi «la loro sorella».
Vogliamo trascrivere — come commiato da questa nostra sorella — una sua invocazione? Eccola: «Oh, Cristo, io credo — e Voi mi aiuterete — che getterei subito alle ortiche tutto il mio bagaglio, quello che penso, quello che sono, per essere sempre con Voi, dello stesso paese dell’Eucaristia» (p. 63). È morta il 23 dicembre 1967, dopo aver ricevuto l’Eucaristia.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2011
Riproduzione riservata
***
[1] A. BLANCHET, «Nota introduttiva», in Marie Noël, Diario intimo, Torino, Sei, 1961, 6. André Blanchet, gesuita, premio Goncourt per la critica letteraria, è tra gli estimatori dell’opera poetica di Marie Noël. A lei ha dedicato due capitoli nel secondo volune della sua La littérature et le spirituel (Paris, Aubier, 1960), pubblicati in un volume — Marie Noël — nella collana «Poètes d’aujourd’hui» (Paris, Seghers, 1979).
[2] Cfr Marie Noël, Notes intimes, Paris, Stock, 1959.
[3] A. BLANCHET, La littérature et le spirituel, cit., 247.
[4] In una nota, premessa al Diario, Marie Noël scrive: «Questa dedica che firmo non è mia. Fu l’abbé Mugnier a dettarmela, il giorno in cui, sbigottita dalle audacie dei miei pensieri, temevo di lasciarmeli appresso, come se fossero male. “Lei torna da un grande viaggio — aggiunse —; ha fatto il suo piccolo itinerario dantesco. È stata all’inferno. Altri […] vi si dibattono tuttora. Il suo diario di bordo li aiuterà”».
[5] Cfr Marie Noël, Diario segreto, Torino, Sei, 1961. La traduzione è di A. Zarri, scomparsa il 18 novembre dello sorso anno. Le citazioni riprese nell’articolo sono tratte da questo volume. Tra i saggi dedicati a Marie Noël, oltre quelli di A. Blanchet, citiamo il volume di R. ESCHOLIER, Marie Noël. La neige qui brûle (Paris, Stock, 1957), G. FIORI, «Marie Noël: la forza di una rosa» in Studium (anno 98, gen-feb 2002, 127-139), G. DEJAIFVE, «Marie Noël ou la grâce de l’Incarnation» e «Marie Noël. La Chrétienne», in Les études classiques (tome XX, janvier 1952 e tome XLIV, octobre 1976).
[6] «Anche la teologia classica riconosce che una pena proiettata nei secoli dei secoli, nell’eternità, è, come dice Jasquemet (Catholicisme 4, 185), l’oscurità delle oscurità. Dalla patristica fino ai nostri giorni (Péguy, Papini, Barth) si è cercato di mitigare quest’affermazione, immaginando sia una riduzione della pena sia la sua fine. Ma la tesi classica [e teologicamente tradizionale] sostiene che il pentimento non è possibile là dove la scelta è stata e rimane perfettamente lucida. Quello che l’angelo decaduto e l’uomo peccatore hanno voluto l’hanno ottenuto: hanno affermato la loro personalità in opposizione a Dio. Non è lui che non vuole perdonare, ma è il peccatore che non vuole esserlo. La difficoltà, tuttavia, rimane: per tutta l’eternità, accanto a una creazione che loderà il suo Creatore, ci sarà pur sempre un grido di sofferenza e di odio? Come potrebbero alcuni essere felici se altri fratelli non lo sono e non lo saranno mai? Il cuore stesso della Trinità non viene ferito da questa sofferenza che dura per sempre? È certo che la visione beatifica è trasformante, ma i nostri sentimenti vengono sublimati e non aboliti» (S. VITALINI, Credo la vita eterna, Torino, Gribaudi, 1992, 101 s).
[7] A. BLANCHET, La littérature et le spiritual, cit., 248.