LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI
Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Thailandia, 2010). Regista: APICHATPONG WEERASETHAKUL. Interpreti principali: T. Saisaymar, J. Pongpas, S. Kaewbuadee, G. Kulhong, N. Aphaiwonk, S. Kugasang, W. Mongkolprasert.
Nella luce incerta del crepuscolo… Comincia così il film Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti del regista thailandese Apichatpong Weerasethakul, vincitore della palma d’oro al festival di Cannes 2010. Una lezione per lo sguardo dello spettatore. Un bufalo legato a una pianta sulla linea che separa l’ombra più buia, nel folto della foresta, dalla fitta penombra che invade l’adiacente prateria. Il bufalo è una sagoma nera sulla quale il fumo di un vicino fuocherello disegna striature un po’ meno scure. Il bufalo tira la corda con strattoni misurati e insistenti finché la rompe. Fugge inseguito dal padrone, che ha lasciato la famigliola accanto al fuoco. Il padrone lo ritroverà più tardi in un intreccio di alberi dai rami contorti. Appare lontana la sagoma di una scimmia dagli occhi al laser. Poi la scena cambia completamente. Un’automobile percorre una strada asfaltata. Siamo in Thailandia, non lontano dai confini del Laos. La macchina da presa osserva il paesaggio attraverso il parabrezza del veicolo in movimento. L’ambiente è perfettamente riconoscibile, ma la meta del viaggio è ignota e, se dobbiamo credere a ciò che è stato visto (o, meglio, intravisto) in precedenza, non poco misteriosa. Ecco in breve sintesi il racconto del film. Facciamo anzitutto conoscenza con quattro personaggi «viventi». Boonmee (Thanapat Saisaymar) dirige una piccola azienda agricola di sua proprietà. Il suo braccio destro, Jaai (Samud Kugasang), è un clandestino che viene dal Laos. Sua cognata Jen (Jenjira Pongpas) viene dalla città a fargli visita assieme al nipote Tong (Sadka Kaewbuadee). Boonmee soffre di una grave malattia ai reni e Jaai lo cura praticandogli la dialisi. All’ora di cena, i quattro «viventi» ricevono la visita di due convitati la cui presenza non è prevista. Si tratta del fantasma di Huay (Natthakarn Aphaiwonk), sposa di Boonmee e sorella maggiore di Jen, morta 18 anni prima, e del figlio scomparso di Boonmee e Jen, Boonsong (Geerasak Kulhong), che si presenta con l’aspetto di una scimmia pelosa dagli occhi rossi. Lo spettatore occidentale non può non essere sorpreso della naturalezza con la quale i thailandesi accolgono gli ospiti alieni e conversano con loro. Soltanto il domestico laotiano mostra qualche segno di turbamento. Boonmee intuisce che i due sono venuti a prenderlo per portarlo in un’altro mondo, in un’altra vita.Il rapporto tra i vivi e i morti fa parte della cultura asiatica in generale, e di quella thailandese in particolare, legate entrambe al mito della reincarnazione. Boonmee ritiene di ricordarsi delle vite precedenti. L’immagine del bufalo che spezza la corda per prendersi un quarto d’ora di libertà, vista all’inizio del film, potrebbe far parte di questa memoria. I tre personaggi giovani (Jaai, Boonsong e Tong) vivono tutti e tre esperienze di confine. Jaai è, come si diceva, un immigrato clandestino. Boonsong è fuggito da casa perché attratto dalla vita di creature aliene (abitanti notturni della foresta) e si è trasformato in una di esse. Tong, che rivive in sogno la favola di una principessa deforme (Wallapa Mongkolprasert) che diventa una donna bellissima immergendosi nelle acque di un fiume ai piedi di una cascata, dove si unisce con un pesce gatto, avverte un richiamo religioso, ma non ha ancora deciso quale strada prendere.Il momento centrale del film è costituito da una lunga camminata notturna nella foresta. Tre personaggi «viventi», Boonmee, la cognata e il nipote, assieme al fantasma di Jen, raggiungono una grotta bellissima, dove Boonmee ricorda di essere nato in una delle vite precedenti. È qui che l’uomo morirà, consumato dal suo male, assistito da due donne, quella viva e quella morta, mentre il nipote, arrampicandosi su una parete rocciosa, indica con questo gesto simbolico la sua aspirazione verso una vita ascetica. Durante il funerale, che si svolge con solennità in un tempio buddista, vediamo in prima fila il nipote del morto vestito da monaco. Di notte però il novizio non riesce a dormire nella cella del monastero. Gli mancano le comodità della vita moderna. Lo vediamo presentarsi senza preavviso nella casa della zia. Si toglie di dosso la tunica arancione, fa una doccia calda e indossa i suoi abiti civili.Al termine del film si aprono davanti a Tong tre diverse possibilità. La prima consiste nel tornare al monastero per trascorrere un periodo di meditazione in onore della memoria dello zio defunto. Non sappiamo se lo farà o non lo farà. Quanto alle altre due possibilità (restare in casa a guardare un insipido programma televisivo assieme alla zia e ad una sua amica, oppure andare a mangiare con la zia in un ristorante allietato dal karaoke), il film non le presenta come reciprocamente alternative, ma come azioni diverse che possono essere compiute simultaneamente. Si vede un’immagine nella quale ci sono due Tong. Uno rimane in casa mentre l’altro esce con la zia. Il cinema, secondo Weerasenthakul, consente non soltanto di far incontrare i vivi con i morti, ma offre ai vivi la possibilità di provare contemporaneamente esperienze diverse. Si tratta di un cinema originale e, almeno per noi, del tutto inconsueto, ricco di suggestioni poetiche, basato su una dilatazione del tempo e dello spazio che, in armonia con la cultura e la mentalità orientali, non si sente vincolata dalle regole della logica aristotelica, né da quella della geometria euclidea.