Recentemente il quotidiano tedesco Die Welt ha scritto che sempre più statunitensi si stanno trasferendo dal sud al nord, perché per molti il tanto desiderato sud è troppo caldo, ma anche troppo pericoloso a causa delle catastrofi naturali[1]. In Russia non si è ancora arrivati a questo punto, e i russi sono più propensi a spostarsi dal nord verso le regioni con un clima un po’ più caldo. La Russia è il più grande Stato nell’area dell’Artico, ma non è una nazione artica, dal momento che la sua popolazione si identifica poco con il lontano nord. Quindi il governo russo deve ancora costruire un’immagine ideale del suo legame con l’Artico, oltre che fare investimenti materiali. Finora è stato fatto ben poco per fermare lo spostamento della popolazione verso sud. Ecco perché i prezzi degli immobili nel nord della Russia continuano a scendere.
Questo però non impedisce al governo di continuare a fare investimenti massicci in quella regione[2] perché esso e anche l’economia hanno altre priorità: l’Artico russo non offre ancora opportunità per una vita confortevole, ma ha qualcosa di abbastanza prezioso per giustificare l’interesse e gli enormi investimenti. Qui si trovano risorse naturali – questa regione è definita la «caverna di Alì Babà» del mondo moderno, anche se le ipotesi sulle risorse potenziali sono molto controverse –, ma anche importanti rotte commerciali: la rotta marittima settentrionale può accorciare di 15 giorni il viaggio dall’Asia all’Europa rispetto a quella attraverso il Canale di Suez.
Poiché per tutti gli Stati che si affacciano sull’Oceano Artico – Russia, Stati Uniti, Canada, Danimarca e Norvegia (a cui va aggiunta anche la Cina) – valgono le stesse cose, questa regione, che un tempo interessava solo gli esploratori polari, è diventata una delle questioni più importanti della politica internazionale.
In questo articolo non intendiamo presentare la prospettiva economica dello sviluppo delle regioni artiche per quanto riguarda le risorse minerarie e la rotta commerciale settentrionale tra l’Estremo Oriente e l’Europa, cosa già ben nota e molto dibattuta; cercheremo invece di mostrare il ruolo che la questione dell’Artico riveste nella politica russa, nel cui contesto è quasi un’esemplificazione di ciò che la Russia è o dovrebbe diventare sotto la guida di Putin, sia al suo interno sia all’esterno.
E innanzitutto possiamo notare che, nonostante tutte le tensioni, a un esame più attento e non senza una certa sorpresa, la regione appare come un esempio di cooperazione tra la Russia e i suoi vicini europei: esempio che può essere applicato ad altre aree in cui sussistono problemi e contraddizioni ancora maggiori.
Come siamo arrivati fin qui?
La maggior parte dell’Artico russo si trova nella Siberia settentrionale, che fu colonizzata dalla Russia solo a partire dal XVII secolo. Nel XII secolo, commercianti e pescatori dello Stato di Novgorod sono arrivati a posti così lontani che quello può essere considerato il primo contatto con l’Artico. Tuttavia la popolazione slava in quello Stato medievale non dev’essere identificata con la Russia. Lo Stato di Novgorod, infatti, apparteneva culturalmente all’Europa, e fu conquistato brutalmente da Ivan il Terribile. Quei commercianti e pescatori erano giunti nella penisola di Kola e ancora oltre, attraverso il Mar Bianco, alla ricerca, proprio come oggi, di risorse naturali – allora si trattava di pesce e zanne di tricheco – e di rotte commerciali che avrebbero dovuto collegare la Russia con le città dell’Hansa. La conquista dell’intera regione del Volga fino al Mar Caspio (nel 1556) e anche della Siberia (raggiunta pacificamente nel 1628) aveva esteso fino alla Persia e alla Cina le rotte commerciali che potevano passare attraverso la regione polare.
Allora, tale espansione non era guidata solo dal governo, ma anche da vari «portatori di interesse»: commercianti, pomory (popolazione del Mar Bianco) e cosacchi. L’interesse del governo per l’Artico fu a dir poco mutevole fino al XIX secolo, e gli eventi in Europa, nei Balcani o nel sud (Mar Nero, Caucaso o Asia Centrale) furono così impegnativi che il governo di Pietroburgo non trovò il tempo per occuparsi di una regione così lontana e così scarsamente popolata.
Il XIX secolo è stata l’epoca della corsa alla supremazia tra le potenze coloniali, e il nord del Pianeta non ha fatto eccezione. L’interesse dell’opinione pubblica russa per gli eventi nel nord – nonostante i successi nell’esplorazione polare, come la scoperta della Terra di Francesco Giuseppe nel 1872 – è stato relativamente limitato, fino a quando l’avanzata degli svedesi sullo Spitzberg e quella dei tedeschi sull’Isola degli Orsi hanno costretto il governo russo a difendere i propri interessi nella regione. Quando, nel 1889, partì da Pietroburgo la prima nave rompighiaccio al mondo in grado di operare in alto mare, la marina e gli scienziati – tra cui Dmitri Mendeleev – cercarono di convincere lo zar a costruire una flotta di rompighiaccio per assicurare la rotta settentrionale, ma non ebbero successo. Per questo la Russia pagò un prezzo elevato durante la guerra con il Giappone (1904-1905), perché la flotta del Baltico, per raggiungere l’Estremo Oriente, dovette fare una lunghissima deviazione.
Le cose cambiarono radicalmente nell’era sovietica. L’ élite nutrì un forte interesse per l’estremo nord sin dagli anni Venti del secolo scorso. Concesse molti diritti ai popoli indigeni, ma allo stesso tempo volle sviluppare la rotta commerciale settentrionale, anche per avere un migliore controllo e un accesso più rapido all’estremo oriente russo, dove si sentiva minacciata. Così furono fondati un Istituto polare e una spedizione polare, che avrebbero dovuto, tra l’altro, esplorare il collegamento dei grandi fiumi siberiani con il nord, e si incrementò la flotta aerea polare. Si doveva portare avanti lo sviluppo industriale forzato, avviato da Stalin, con le risorse del nord: il carbone di Vorkuta, i metalli della penisola di Kola, il petrolio con il gas di Uchta. Il sistema crudele del Gulag permise anche di inviare al nord i lavoratori forzati.
Gli anni Trenta furono l’epoca della nascita del mito dell’«Artico rosso». Così nel 1932 la rompighiaccio Sibiryakov attraversò l’intera rotta settentrionale in un’estate. Nel 1937 il Polo Nord fu attraversato da un aereo che trasvolava dall’Urss agli Usa. Nello stesso anno un aereo riuscì ad atterrare al Polo Nord, e fu anche fondata la prima stazione di ricerca. Lo stesso Stalin considerava la «letteratura polare», che propagandava il mito del «Rosso Nord», uno degli elementi chiave della propaganda sovietica. L’Artico veniva presentato come una tabula rasa su cui poter costruire il socialismo. Esso e tutti i successi che lì si ottenevano costituirono un modello di patriottismo, di progresso tecnologico e di possibilità industriali dello Stato socialista.
Ma, con la morte di Stalin, l’epoca dell’«Artico rosso» finì. L’interesse del governo centrale fu dirottato su altri progetti; alcuni Gulag furono sciolti e si tentò di attirare al nord forza lavoro con una paga migliore. Sebbene il mito dell’«Artico rosso» non sia mai rinato – anche perché la stessa Urss «rossa» finì –, il ricordo delle conquiste dell’Unione sovietica nel nord è stato ripreso negli anni 2000, quando il governo della Russia ha incominciato a rivolgere un’attenzione particolare a quella regione[3].
Dopo il crollo dell’Urss, l’Artico ha perso, per diversi anni, la sua importanza nella politica statale russa. Se l’Artico veniva menzionato nei documenti ufficiali, era solo come piccola parte di un programma politico più ampio. Se venivano preparati progetti di legge, il Parlamento russo non si prendeva nemmeno la briga di votarli (come avvenne per il disegno di legge sulle regioni artiche della Federazione Russa). Solo all’inizio degli anni Duemila l’Artico ha riacquistato la sua importanza economica e strategica per la Russia, e solo allora questa è tornata a essere uno dei Paesi chiave in tale regione.
In realtà, questo ritorno è stato determinato da una pura necessità economica: il 98% di tutti i diamanti, il 90% di petrolio e gas, nichel, cobalto e platino, il 60% del rame e il 24% dell’oro in Russia vengono prodotti a nord del Circolo polare, e tutto questo rappresenta l’11% del Pil russo. Questo rilancio è stato favorito anche dall’elaborazione ideologica di una nuova realtà geopolitica in cui la Russia, a differenza del vecchio Impero russo e dell’Urss, dopo la perdita di vaste aree a ovest e a sud, è tornata a essere un Paese quasi esclusivamente settentrionale.
Ancora più rilevante è il fatto che nella narrativa sia dei principali leader politici di governo sia degli ideologi dei movimenti nazionalisti di opposizione si è iniziato a sottolineare il ruolo chiave dell’Artico nella vita politica, economica e anche culturale della Russia. Ci si doveva impegnare nell’Artico, perché «la Russia è l’Artico»[4].
Solo una questione di prestigio?
La Russia possiede già un’enorme quota delle risorse energetiche mondiali, gran parte delle quali si trova nel nord del Paese. I decisori politici a Mosca affermano che nella battaglia per l’Artico è in gioco l’espansione per l’accesso a ulteriori risorse minerarie disponibili nella regione. L’Istituto geologico degli Stati Uniti (United Stated Geological Survey) afferma che il 20% delle risorse mondiali di petrolio e gas si trova nell’Artico, e che il ministero dell’Energia russo stima che nell’Artico ci sia il doppio del petrolio di quello dell’Arabia Saudita. Si tratta di un’ipotesi che non è stata ancora confermata, mentre si va diffondendo una voce secondo cui nell’Artico c’è una competizione per risorse che non esistono[5].
Anche se questo fosse vero, la leadership russa rimarrebbe interessata all’Artico per ragioni politiche e ideologiche. In politica, si è potuti passare dalla narrativa sullo sviluppo delle risorse al servirsi dell’Artico come dimostrazione di grande potenza, sia nel tentativo di presentare un’alternativa di civiltà all’Occidente, sia per garantire la quota più ampia possibile di territori alla Russia.
La politica russa nell’Artico sembra a prima vista un’espressione di realismo geopolitico, ma, a un’analisi più attenta, appare viziata di idealismo, e alcuni parlano addirittura di «surrealismo». Il discorso sulle enormi risorse minerarie nell’Artico ha lo scopo di spiegare ai russi perché tanto denaro venga investito in quella regione; in realtà, lo scopo è di camuffare l’obiettivo «alto» e «ideale» del controllo dell’Artico: controllo per amore del controllo. Il romanticismo della conquista del nord aveva trovato espressione per la prima volta negli anni Trenta, quando fiorì l’idea dell’«Artico rosso», e Stalin aveva saputo sfruttare questa idea romantica[6].
Anche se non contenesse risorse, l’Artico avrebbe comunque un alto valore ideologico, e non solo per il governo, ma anche per molti movimenti di orientamento nazionalista. Per questi, esso funge da esempio di «metanarrazioni nazionaliste». Il compito – si potrebbe dire, la missione – della Federazione russa nel mondo è determinato dalla geografia. La Russia è il Paese più grande della Terra; in realtà non è un Paese, ma un universo in sé, una civiltà, l’Eurasia. Essa è destinata a volgersi al nord (mitologia artica).
Alcuni vedono l’Artico in una luce puramente geostrategica, come opportunità per riconquistare lo status di grande potenza, in una lotta contro potenze ostili[7]. Altri invece vedono l’Artico in modo più mistico, come elemento nella costruzione dell’identità della Federazione russa e nel compimento della sua missione. Sia gli uni sia gli altri ritengono che l’Artico rappresenti l’ultima chance per la Russia e un’opportunità per vendicarsi della storia, che le ha sottratto il suo Impero.
Il noto studioso geopolitico nazionalista Alexander Dugin, sebbene ispirato dal modello eurasiatico, si rifà anche alle antiche idee tedesche di Iperborea, il luogo di nascita degli ariani. Per lui, il dominio del nord ha un senso mitico ed è anche un prerequisito per l’adempimento della missione della Russia nel mondo[8]. Non si tratta solo di idee. Il movimento giovanile eurasiatico, che sul piano ideologico si ispira a Dugin, ha organizzato manifestazioni a sostegno delle rivendicazioni territoriali russe nell’Artico. Il leader di tale movimento, Aleksandr Bogdanov, afferma che l’Artico non è importante solo per l’aspetto economico, ma è una terra di eroismo, di superamento delle difficoltà, un simbolo di grande valore per il Paese[9].
La questione artica coinvolge anche i comunisti. Il loro principale teorico, Alexander Prokhanov, unisce argomentazioni pragmatiche alla teoria della rinascita della nazione. Egli sostiene che, dopo la disgregazione dell’Urss, enormi aree del sud sono state separate dalla Russia e di conseguenza questa è diventata sempre più un Paese del nord. «Il popolo russo sta lottando per dire addio alla propria coscienza orientale e meridionale, e sostituirla con la coscienza settentrionale. Adesso tutto in Russia è collegato all’Artico: dalla sicurezza all’acqua pulita, alle fonti energetiche. Ora, come in passato, l’Artico sta diventando oggetto di desiderio e preoccupazione. Esso è l’area che non ha soluzione di continuità tra la Russia e il resto del mondo»[10].
Pertanto ora, a differenza del passato, il Paese è spinto a guardare non a sud, ma a nord, per assicurarsi il proprio futuro. Questa viene vista in Russia come una dura necessità, un prerequisito perché si realizzi il suo destino. Nella visione ideologica russa, l’Artico dovrebbe essere una fonte non solo di ricchezza materiale, ma anche di potere «spirituale», perché la civiltà artica richiede un’enorme concentrazione di forze in tutti gli ambiti. Pertanto, questa regione diventerà un «bene e un possesso comune» di tutti i russi, e lì «il popolo russo ritroverà la sua unità, donata da Dio a coloro per i quali ha in serbo una grande missione»[11].
Nella prospettiva russa la questione principale ai nostri giorni, come ai tempi dell’Impero russo e anche dell’Urss, è se la geografia debba continuare a svolgere un ruolo determinante nella formazione dell’identità del popolo e dello Stato russo.
L’ Artico come simbolo della politica di Putin
Oggi la politica artica del governo russo dovrebbe essere considerata in un contesto più ampio, in cui pragmatismo e ideologia sono strettamente collegati e sono a servizio l’uno dell’altra. Fin dall’inizio della sua presidenza, Putin ha fatto del patriottismo la pietra angolare della nuova ideologia nazionale. Durante la presidenza di Dmitrij Medvedev (2008-12) si era cercato di promuovere una narrativa di modernizzazione, ma questa non è riuscita a spodestare l’idea di uno Stato forte. Con il ritorno al potere di Putin (2012), essa ha dovuto cedere il passo alla classica narrazione del potere statale. Nel caso dell’Artico, tuttavia, le due narrazioni – modernizzazione economica e potere statale sostenuto dall’esercito – sembrano essersi congiunte.
Sebbene nei primi anni 2000 si sia tentato di presentare l’Artico come un’area di competizione tra grandi potenze, a partire dal 2008 il Cremlino si era mostrato maggiormente interessato a un progetto di cooperazione con gli altri Stati artici. Al Forum artico del settembre 2010, Putin (allora primo ministro) aveva dichiarato: «Mentre ci prendiamo cura dello sviluppo equilibrato del nord della Russia, lavoriamo allo stesso tempo per rafforzare i nostri legami con i vicini nella nostra comune casa artica. Pensiamo che sia molto importante considerare l’Artico un’area di pace e di cooperazione. La nostra convinzione è che l’Artico debba essere una piattaforma per la cooperazione nei settori dell’economia, della sicurezza, della scienza, dell’istruzione e della conservazione del patrimonio culturale del nord»[12].
Questo può essere visto come un tentativo di creazione di una nuova immagine dell’Artico russo, e può essere valutato anche in un contesto più ampio. La Russia si è cimentata, sin dai tempi d’oro della propaganda sovietica, con il soft power, ma senza mai avere successo, e i politici russi ne erano ben consapevoli. Tuttavia, l’idea dell’«Artico russo» è stata presentata anche nel contesto della «concorrenza civilizzatrice» con l’Occidente, e la sua immagine è stata parte dell’immagine della Russia e della sua civiltà come alternativa all’Occidente.
In questa competizione tra civiltà, l’Artico resta una questione cruciale, che attira l’attenzione internazionale e in cui sono coinvolti quasi tutti i Paesi importanti dell’Occidente, insieme a Cina e India.
Concorrenza non significa contrapposizione, ma voler lavorare pacificamente con gli altri per risolvere problemi comuni. Nel settembre 2010 si è tenuto a Mosca il primo Forum internazionale, intitolato «Artico, una regione di dialogo»[13].
La Russia fa parte delle varie istituzioni internazionali nella regione, in particolare del Consiglio artico[14]. Nonostante la concorrenza internazionale, nel futuro continuerà la collaborazione tra gli scienziati. L’Artico, nonostante tutte le contraddizioni e le differenze di interessi e di opinioni, potrebbe costituire un’opportunità di cooperazione tra la Russia e i Paesi occidentali. Certamente per la Federazione russa, ci sono più divergenze di opinione con il Canada e gli Stati Uniti – ad esempio, con il Canada sul «Passaggio a Nord-Ovest» e con gli Stati Uniti sulla divisione del Mare di Barents – che con i Paesi del Nord Europa. Con questi Paesi essa potrebbe sviluppare progetti bilaterali nell’Artico[15].
Per la Russia, questo orientamento verso il nord è una dimensione rilevante delle relazioni con l’Europa in generale. Per l’Europa, la capacità di cooperare con la Russia in questa regione può essere un modello valido anche per altri ambiti e regioni dove, purtroppo, finora si registrano contrasti insormontabili[16].
Copyright © La Civiltà Cattolica 2022
Riproduzione riservata
***
[1]. Cfr R. Haimann, «Klimakrise am Häusermarkt», in Die Welt, 19 giugno 2021.
[2]. Cfr Z. Ullah – F. Pleitgen, «As the US and Russia spar over the Arctic, Putin creates new facts on the ground», in CNN (https://tinyurl.com/3azcu6wk), 21 maggio 2021.
[3]. Cfr M. Laruelle, «In search of Borea. Hopes, Hypes and Realpolitik in Russia’s arctic Strategy».
[4]. O. Krushcheva – M. Poberezhskaya, «The Arctic in the political discourse of Russian leaders: the national pride and economic ambitions», in East European Politics 32 (2016/4) 547-566.
[5]. Cfr Д. Тренин – П. Баев, АРКТИКА. ВЗГЛЯД ИЗ МОСКВЫ (D. Trenin – P. Baev, «L’Artico visto da Mosca»).
[6]. Cfr ivi.
[7]. Cfr A. Индижев, БИТВА ЗА АРКТИКУ, БУДЕТ ЛИ СЕВЕР РУССКИМ? (A. Indizhev, Battaglia per l’Artico, il Nord sarà Russo?), Mosca, Eksmo, 2010.
[8] . Cfr A. Дугин, МИСТЕРИИ ЕВРАЗИИ (A. Dugin, Misteri dell’Eurasia), Mosca, Arktogeia, 1991.
[9] . Cfr Пикет ЕСМ в защиту Арктики («Raduno del Movimento giovanile eurasiatico per la difesa dell’Artico) Россия 3.
[10]. Д. Стешин, Россия вернулась в Арктику? (D. Stescin, «La Russia è tornata nell’Artico?»), in Komsomolskaya Pravda, 21 gennaio 2008.
[11]. A. Проханов, СЕВЕРНЫЙ МАРШ РОССИИ (A. Prokhanov, «La marcia russa verso il Nord»), in Завтра, 25 aprile 2007.
[12]. РЕЧИ В. В. ПУТИНА И С. К. ШОЙГУ НА I МЕЖДУНАРОДНОМ АРКТИЧЕСКОМ ФОРУМЕ («Discorsi di V. V. Putin e di S. K. Schoigu al 1° Forum artico internazionale»).
[13]. Cfr M. Laruelle, «In search of Borea…», cit.
[14]. Cfr Eurasia Daily Monitor, 22 giugno 2021, vol. 18, n. 99.
[15]. Cfr B. Solum Whist, «Norway and Russia in the High North: Clash of perceptions», in Security Brief, n. 1, 2008.
[16]. Cfr M. Laruelle, «In search of Borea…», cit.