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Il 2 luglio 2009, Benedetto XVI ha reso pubblico il motupropio Ecclesiae unitatem con il quale struttura in maniera nuova la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, che fino ad oggi ha avuto il compito di mantenere i rapporti tra la Chiesa e la Fraternità San Pio X, fondata da mons. M. Lefebvre.
Non si tratta di un fatto solamente burocratico, ma tocca «il compito di custodire l’unità della Chiesa, che spetta in maniera particolare al Successore dell’Apostolo Pietro, il quale è perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia dei fedeli» (Ecclesiae unitatem, n. 1).
Per comprendere di che cosa si tratta, bisogna ricordare alcuni fatti del recente passato. Nel 1974 fu chiesto a mons. M. Lefebvre, vescovo e membro del Vaticano II, di chiudere il seminario di Ecône (Svizzera), da lui fondato per formare sacerdoti fedeli alla Chiesa «tradizionale». Egli riteneva infatti di «dover rifiutare di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite. Tutte queste riforme — egli scriveva il 21 novembre 1974 — hanno contribuito e contribuiscono ancora alla demolizione della Chiesa, alla rovina del Sacerdozio, all’annientamento del Sacrificio e dei Sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, a un insegnamento neutralista e teilhardiano nelle università, nei seminari, nella catechesi, insegnamento uscito dal liberalismo e dal protestantesimo più volte condannati dal magistero solenne della Chiesa».