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ABSTRACT – La 57a edizione della Biennale di Venezia ha proposto in questa occasione un punto di svolta. La curatrice Christine Macel infatti è nota da sempre per sottrarsi a tutti i teoremi concettualmente imposti all’arte, incluse le questioni sulla sua funzione politica. Era chiaro che c’era da attendersi un impianto puramente orientato all’arte in quanto arte.
Ecco dunque che la curatrice presenta la sua mostra ostentatamente sotto il titolo «Viva Arte Viva», e se la cava senza alcun argomento sovrastante. Nel cammino verso l’opera concreta, l’arte è allo stesso tempo percorso e obiettivo. Proprio in questo modo agisce come pathos creativo dell’individuo nella società; è una forza e un energico «sì» alla vita. Vive prevalentemente e decisamente della domanda sul contenuto e sulla giusta forma. L’arte non è altro che un perpetuo processo di creazione.
Così per la Macel l’arte si è sviluppata in un nuovo «principio di speranza». «Senza speranza siamo spacciati», ella ha detto in una delle tante interviste. Il nostro futuro dipende dalle nostre azioni, poiché l’indifferenza, la passività e il disimpegno possono solo dare fastidio. Per questo ai suoi occhi «l’arte è uno spazio non-ortodosso, relativamente autonomo da difendere, uno degli ultimi bastioni della libertà in cui vengono immaginati nuovi mondi».
Come sempre, la Biennale si espande in modo evidente e consapevole in tutta la città. Si concentra nella mostra centrale e nei padiglioni nazionali ai Giardini e all’ Arsenale, ma si allarga anche a molti musei, palazzi e chiese con i suoi Eventi collaterali, per muoversi infine, attraverso interventi liberi, in vari spazi pubblici e luoghi di Venezia. Da maggio a novembre, per sei mesi, segna il volto e l’atmosfera della città.
Nessuna scultura, nello spazio pubblico di Venezia, cattura meglio lo spirito della Biennale di quest’anno quanto La torre dorata di James Lee Byars (1932-1997). L’opera dà forma a un’idea antica: simboleggia un’ascesa metaforica verso un monte sacro, una realizzazione quasi plastica dell’uomo che si eleva per onorare gli dèi. Byars cercava un modo per collegare simbolicamente il cielo e la terra, per unire l’umanità davanti a Dio. Lo splendore dell’oro rappresenta contemporaneamente un’idea intellettuale e un’esperienza spirituale, la concezione del divino. Ne emerge la motivazione più profonda dell’opera di Byars: usare l’oro come simbolo ultimo del supremo e dell’infinito.