FILM
a cura di R. Cemus
Isola (Russia 2006). Regista Pavel Longuin. Sceneggiatore Dmitry Sobolev, con Piotr Mamonov, Dmitry Diuzhev, Victor Sukhorukov, Yurij Kutnetzov, Victoria Isakova, Nina Usatova, Yana Esipovich, Olga Demidova.
«Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!» sono le parole della cosiddetta «preghiera a Gesù», nota altrimenti come la preghiera del «pellegrino russo» che fa da sottofondo al film Isola (titolo originale Ostrov), il quale affronta un tema oggi attuale nei Paesi post-comunisti: la riconciliazione con il proprio passato. Il film affronta l’argomento rivolgendosi direttamente alle profondità del cuore umano, il quale è — come disse Dostoevskij — l’arena della lotta tra il bene e il male.
Riassumiamo la trama. Durante la seconda guerra mondiale un rimorchiatore russo che trasporta carbone nel mar Bianco incrocia una nave tedesca. Prima che i tedeschi assaltino la nave, il capitano Tichon e il fuochista Anatolij riescono a nascondersi sotto il carbone. Anatolij, scoperto subito, sotto la minaccia dei nemici rivela il nascondiglio del capitano. L’ufficiale tedesco decide di uccidere entrambi, ma davanti all’angoscia straziante del fuochista per la propria vita gli fa una proposta diabolica: «Spara tu stesso al capitano e vivrai!», porgendogli la pistola. Anatolij esita per un attimo, ma poi preme il grilletto. Il corpo di Tichon cade fuori bordo dopo che i tedeschi lasciano la nave. Anatolij barcolla tra lo spavento e l’esultanza. Quello che egli non sa è che i nazisti hanno lasciato sulla nave una carica esplosiva, la quale esplode dopo 20 minuti. Per puro miracolo sopravvive e viene scaraventato dall’esplosione nel mare, che lo trascina sulla spiaggia di un’isola, dove viene ritrovato dai monaci del vicino monastero.
Anatolij rimane nel monastero. Dilaniato dal rimorso di coscienza per aver ucciso l’amico, si accontenta di svolgere lavori pesanti, come fuochista nel monastero. Porta ogni giorno il carbone dal relitto della nave sulla quale prestava servizio insieme con Tichon; e sul carbone va anche a dormire nella caldaia sporca. I monaci, pur considerandolo un uomo bizzarro, non possono non notare che su di Anatolij è scesa una particolare grazia divina, quella di leggere nei cuori e ottenere miracoli con la preghiera. Molti giungono da tutte le parti per chiedere di essere sanati nel corpo e nell’anima. E accadono miracoli: una ragazza incinta, nonostante sia rimasta senza soldi, decide di portare avanti la gravidanza; una vedova di guerra viene a sapere che suo marito non è morto, ma vive in Francia e l’aspetta; e una madre disperata vede il proprio figlio paralizzato buttar via le stampelle dopo le preghiere di «frate» Anatolij. Passano così 30 anni di dura penitenza liberamente scelta. La sua fama di santità cresce nonostante egli cerchi di ostacolarla assumendo atteggiamenti di un «pazzo per Cristo». Eppure Anatolij non trova pace nell’anima, fino a quando avviene un’inattesa svolta.
Sull’isola arriva un ammiraglio sovietico, il quale, nonostante l’ateismo del regime sovietico, decide di incontrare questo monaco di cui si parla tanto, visto che i medici non sono riusciti a guarire sua figlia considerata psichicamente malata. Anatolij invece, riconoscendola come indemoniata, la esorcizza. Nel farlo, anche lui stesso guarisce nell’anima. Riconosce nell’ammiraglio il suo capitano di allora, Tichon, che sopravvisse al famigerato sparo, perché il proiettile gli si conficcò soltanto nel braccio. Ma soprattutto Anatolij viene a sapere che Tichon lo aveva perdonato. Quello che il film non dice ma insinua è che tutto il bene che Dio ha operato tramite Anatolij fu innescato dal suo peccato, perdonato e trasformato in bene dalla provvidenza divina. La parabola della sua vita si chiude. Mentre la nave con l’ammiraglio salpa, Anatolij si sdraia nella bara, preparata in vista della morte e spira, riconciliato con Dio e con il mondo.
L’eco sorprendente che ha sollevato questo film in Russia svela un insospettato interesse — particolarmente tra i giovani — per l’eredità spirituale ortodossa, percepita come l’unico rimedio per salvarsi dal pericolo di «perdere l’anima». Il film ripropone, in modo credibile, i valori nascosti della spiritualità, in Russia tradizionalmente custodita dal monachesimo, noto per le figure luminose degli starets, autentici padri spirituali del popolo.