a cura di V. FANTUZZI
Still Life (Cina, 2006). Regista: JIA ZHANG-KE. Interpreti principali: Z. Tao, H. Sanming, W. Hong-Wei.
Vincitore a sorpresa del Leone d’oro come miglior film alla Mostra di Venezia 2006, Still Life di Jia Zhang-Ke, ambientato in Cina sulle rive del fiume Yangtze, nella zona delle Tre Gole che sta per essere sommersa dalle acque di un lago artificiale in seguito alla costruzione di una diga gigantesca, non è fatto per attirare l’attenzione del pubblico con l’uso di facili espedienti spettacolari. Pare di essere tornati all’epoca del neorealismo più rigoroso, quello di De Sica e Rossellini nell’immediato dopoguerra, dove si vedevano personaggi di condizione umile, interpretati per lo più da attori non professionisti, aggirarsi tra le macerie nel tentativo di riallacciare i fili di vite spezzate, costrette da circostanze drammatiche a ripartire da zero.
Non è la guerra, ma qualcosa che le assomiglia: la lotta per la modernizzazione che spinge l’uomo a misurarsi con le forze della natura e a sacrificare alle esigenze del progresso i resti di un’antica civiltà. «Ci sono voluti più di mille anni per costruire questa città — dice con aria sconsolata un abitante di Fenjie — e adesso la vogliono demolire in due anni». Domani si ricostruirà. Per ora si demolisce. Le macerie, tanto quelle materiali quanto quelle morali, si estendono a perdita d’occhio. Su queste macerie e sui piccoli esseri umani che le attraversano si sofferma l’occhio di Jia Zhang-Ke, dotato di straordinaria lucidità non disgiunta da un senso di pietà. Il progetto della diga sullo Yangtze, che dovrebbe metter fine alle devastanti inondazioni del fiume, risale all’inizio del XX secolo e lo stesso Mao aveva sperato di poterlo realizzare. Soltanto lo sviluppo tecnico ed economico degli ultimi decenni ha consentito la realizzazione di quest’opera imponente che, iniziata nel 1994, dovrebbe essere ultimata entro il 2009. Alta 180 metri, lunga due chilometri e mezzo, la diga è destinata ad alimentare la più grande centrale idroelettrica del mondo.
Il film non si sofferma sugli aspetti ciclopici dell’impresa, ma sui costi che essa comporta soprattutto in termini umani. Oltre un milione di persone è costretto a trasferirsi altrove, con la conseguenza di famiglie che si scompongono e spesso si perdono. Contadini che hanno perso la campagna, operai che hanno perso la fabbrica. Il regista, che ha trascorso alcuni mesi nella zona delle Tre Gole per realizzare un documentario sul pittore Liu Xiaodang, uno dei più quotati artisti cinesi contemporanei, ha ascoltato dalla voce degli interessati decine di storie. Si tratta di esistenze sconvolte dalla costruzione della diga. Tra i casi dei quali è venuto a conoscenza ha scelto quelli di un minatore e di un’infermiera che vanno in cerca dei rispettivi coniugi.
Han San-Ming, il minatore, cerca la moglie, della quale non ha più notizie da 16 anni, e la figlia, che non vede da quando è nata. Shen Hong, l’infermiera, cerca il marito che da due anni manca da casa. Il film si nutre dell’ansia di queste due persone in stato di ricerca, del loro girovagare senza posa, della tenacia con la quale fanno fronte alle difficoltà che incontrano, della pazienza che esercitano nelle ore di snervante attesa. Il paesaggio che fa da sfondo al loro muoversi da un luogo a un altro è la città in demolizione. Ci sono parentesi descrittive che si aprono e si chiudono tra un momento e l’altro delle due ricerche parallele: un ragazzino che canta canzoni d’amore, la moglie di un invalido del lavoro che reclama da un dirigente del partito il riconoscimento dei diritti del marito, gente che litiga, gente che danza…
L’atmosfera rimane cupa. La bellezza del paesaggio (quello che ne rimane al di là delle modifiche in corso) è offuscata dalla tonalità grigia della fotografia, tra la polvere dei calcinacci e il cielo chiuso che, nel corso di un’estate afosa, non lascia trapelare un raggio di sole. Alla fine il minatore ritrova la moglie, l’infermiera ritrova il marito. In entrambi i casi il dialogo è affidato a monosillabi intervallati da pause di silenzio (la versione del film doppiata in italiano fa rimpiangere quella con la colonna sonora originale e i sottotitoli). Una delle due storie si conclude con la ricongiunzione della famiglia, l’altra con la separazione definitiva dei coniugi.
«La Cina vuole modernizzarsi a qualunque costo — ha detto Jia Zhang-Ke di passaggio a Roma —. Hanno perfino smontato un tempio e lo hanno ricostruito altrove con tutte le statue, senza pensare che le statue hanno addosso la memoria del luogo in cui sono state fatte. A nessuno interessa la cultura, nessuno si preoccupa della vita della gente. Oggi contano soltanto i soldi. Culturalmente ed economicamente la Cina va nella stessa direzione dell’America».